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Mururoa, la ferita atomica è aperta

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  • Mururoa, la ferita atomica è aperta

    è un articolo vecchio, ma cmq interessante

    IL REPORTAGE / Viaggio nel paradiso del Pacifico sacrificato dalla Francia per poter costruire la sua bomba

    di Maria Grazia Catulli



    DAL NOSTRO INVIATO
    MURUROA - Daniel l'ha vista, dietro un paio di occhiali scuri. Per cinque volte, protetto dai vetri di un oblò. «La bomba esplodeva normalmente alle nove del mattino. Noi militari stavamo su una nave ormeggiata a un’ottantina di chilometri. Guardavamo la colonna di fuoco levarsi in cielo, il fungo atomico diventare bianco, alla fine rosa. Alle sei del pomeriggio rientravamo in laguna a recuperare i cavi serviti per l’esperimento e a risciacquare i detriti radioattivi». Era il 1968. Daniel Ubertini, origini veneziane, nazionalità francese, aveva 18 anni. Si era arruolato nell’esercito e l’avevano spedito qui, sull’atollo polinesiano di Mururoa, a lavorare per i test che avrebbero permesso alla Francia di realizzare la sua «force de frappe» nucleare. Il veterano, che ormai fa il giornalista per la televisione di Tahiti, se ne va in giro saltellando sulle spianate coralline di Colette, la zona dell’atollo dove si è radicata la più alta concentrazione di plutonio, con una camicia a fiori, i capelli spettinati dal vento tropicale, la telecamera in mano. «Radiazioni? Chissà. All’epoca portavamo un tesserino magnetico nel taschino che veniva controllato regolarmente. Nessuno mi ha mai detto che cosa avessero trovato lì sopra. Sono vivo e mi basta».
    Daniel ha cambiato fronte. E anche Mururoa, 3 ore di aereo a 1.200 chilometri da Tahiti, non è più la stessa. Dopo gli ultimi sei esperimenti sotterranei, ordinati dal presidente Jacques Chirac tra il 5 settembre 1995 e il 27 gennaio 1996, nei mesi dello scontro con la flotta ambientalista di Greenpeace (sconfinamenti, lacrimogeni, arrembaggi), Parigi ha deciso di smantellare quest’anello di sabbia del Pacifico meridionale. Ma solo adesso il ministero della Difesa ha deciso di riaprire alla stampa per la prima volta in quattro anni le porte di Mururoa e Fangataufa, il secondo isolotto utilizzato per i test.
    Oggi a Mururoa non resta che il porto, una corona di costruzioni bianche, una fila di torrette e un campo sportivo circondato da palme e pini. La spiaggia è un cimitero di travi mozze, detriti e legna bruciata. Sono scomparsi gli esperti, i tecnici, gli operai che per trent'anni avevano installato piattaforme, scavato pozzi, maneggiato gli ordigni atomici e le loro scorie. Dei 3.000 addetti che popolavano l'insediamento, non sono rimasti che 24 militari della fanteria di marina francese e un cane. E i fantasmi: la laguna è una ragnatela di cavi, sotto i quali si nasconde un immenso deposito di scorie nucleari. «L'atollo rimane zona militare. È sicuro, ma non sarà mai un posto come un altro», dice l'ammiraglio Jean Moulin, capo delle forze armate della Polinesia francese. Esistono ancora otto chili di plutonio sul fondo della laguna, tracce di tritio e di cesio sulla spiaggia e nell’acqua, superiori alle dosi normali. Ma la concentrazione sarebbe tale da non far temere «nessun effetto sulla salute di eventuali abitanti».
    Alla Cea, la Commissione per l'energia atomica francese, respingono le denunce ambientaliste. Su 50.000 persone passate sull'atollo in 30 anni di sperimentazioni nucleari, solo un radiologo e 4 piloti, incaricati all'epoca dei test atmosferici, prelevando campioni aerei dalla nube atomica, avrebbero ricevuto una dose di radiazioni superiore a 50 milliSievert, la quantità massima tollerata da un organismo umano in un anno. Morti? No, vivi, e anche in perfetta salute. Il giornalista giapponese arrivato a Mururoa con un rilevatore Geiger se ne torna a casa deluso. Ma a Papeete il fronte antinucleare, capitanato dalla Chiesa e dagli indipendentisti, non crede a nessuna delle versioni ufficiali e minaccia di portare la questione davanti alla Corte internazionale di Giustizia. Gli attivisti lasciano parlare un ex lavoratore di Mururoa: Machoro, un tahitiano di 45 anni, con un cappello di paglia e 13 figli a carico, che ha vissuto sull'atollo dal 1980 al 1989. «Facevo parte della squadra incaricata di prelevare la "carota", un campione di materiale radioattivo prodotto dall'esplosione sotterranea. Ci era stato proibito di mangiare il pesce della laguna. Ma noi lo pescavamo lo stesso. Ce ne fregavamo della contaminazione. Tutto quello che ci interessavano erano i soldi. I miei figli sono nati con un'infezione alla pelle. Molti colleghi sono morti di cancro. Ma una cartella sanitaria non si è mai vista».


    l'hopreso da: http://www.verdi.it/document/radioact/cors1.htm

  • #2
    poveri lucertoloni di non so cosa.. che poi mi si trasformano in godzilla per colpa delle radiazioni (come succede nell'omonimo film eheh)
    “Give me some sugar baby!!”

    il fu xaman^ek, vildor alow e caiz nella sperduta città di eldarin

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