Il disco giallo si illuminò. Due delle automobili in testa accelerarono prima che apparisse il rosso. Nel segnale pedonale comparve la sagoma dell'omino verde. La gente in attesa cominciò ad attraversare la strada camminando sulle strisce bianche dipinte sul nero dell'asfalto, non c'è niente che assomigli meno a una zebra, eppure le chiamano così. Gli automobilisti, impazienti, con il piede sul pedale della frizione, tenevano le macchine in tensione, avanzando, indietreggiando, come cavalli nervosi che sentissero arrivare nell'aria la frustata. Ormai i pedoni sono passati, ma il segnale di via libera per le macchine tarderà ancora alcuni secondi, c'è chi dice che questo indugio, in apparenza tanto insignificante, se moltiplicato per le migliaia di semafori esistenti nella città e per i successivi cambiamenti dei tre colori di ciascuno, è una delle più significative cause degli ingorghi, o imbottigliamenti, se vogliamo usare il termine corrente, della circolazione automobilistica. Finalmente si accese il verde, le macchine partirono bruscamente ma si notò subito che non erano partite tutte quante. La prima della fila in mezzo è ferma, dev'esserci un problema meccanico, l'acceleratore rotto, la leva del cambio che si è bloccata, o un'avaria nell'impianto idraulico, blocco dei freni, interruzione del circuito elettrico, a meno che non le sia semplicemente finita la benzina, non sarebbe la prima volta. Il nuovo raggruppamento di pedoni che si sta formando sui marciapiedi vide il conducente dell'automobile immobilizzata sbracciarsi dentro il parabrezza, mentre le macchine appresso a lui suonano il clacson freneticamente. Alcuni conducenti sono già balzati fuori, disposti a spingere l'auto in panne fin là dove non blocchi il traffico, picchiano furiosamente sui finestrini chiusi, l'uomo che sta dentro volta la testa verso di loro da un lato, dall'altro, si vede che urla qualche cosa, dai movimenti della bocca si capisce che ripete una parola, non una, due, infatti è così, come si viene a sapere quando qualcuno, finalmente, riesce ad aprire uno sportello, Sono cieco. |
Una strana epidemia, chiamata Il male Bianco, si diffonde rapidamente nel mondo. Il mal Bianco fa diventare ciechi, da un momento all'altro, e le reazioni delle persone sono imprevedibili e assurde. Il mondo cade presto nella barbarie, senza elettricità, acqua corrente e governi.
I personaggi coinvolti, mai chiamati per nome, così come la città in cui si trovano, sono costretti ad affrontare in ogni sfumatura la crudeltà animalesca di un'umanità privata della capacità di vedere, e con essa di ogni vergogna.
È un romanzo incredibile, sia per come è costruito (i periodi sono costituiti da lunghissime frasi. Non ci sono segni grafici a parte le virgole e i punti. I dialoghi sono segnalati senza a capo o caporali, ma con la sola lettera maiuscola), sia per le tematiche. La maestria con la quale Saramago descrive la psicologia del suo mondo, rovesciando i sistemi e liberando per le strade ogni sorta di istinto primordiale, è così realistica che da quando l'ho letto vi odio tutti per quello che potreste fare. È una continua critica della natura umana, e seppure esista un velo sottile di speranza, il pessimismo impregna ogni istante della narrazione.
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