Washington (Rice) e Vaticano (Ruini) vogliono silurare il governo Prodi
Offensiva convergente delle due ”Grandi Potenze”. Condoleeza non gradisce la politica estera dell’Italia e non si accontenta di Vicenza
L’ambasciatore Usa insolentisce D’Alema. Monsignor Ruini, con toni da Pio IX, pretende la testa dell’ex-amico Prodi che considera un traditore
Il disegno è chiaro e passa per un patto di ferro tra due grandi poteri: il Vaticano e il governo americano. Per capirci: Sua eminenza il cardinale Camillo Ruini e Condoleeza Rice faranno di tutto, da qui ai prossimi due mesi, per far cadere il governo Prodi. Al quale, ad ogni modo, hanno già palesemente “dichiarato guerra”. Questa “informazione” o, se preferite, questa tesi circola da vari giorni nei palazzi della politica - una sorta di allarmato tam tam, sostenuto da figure diverse e tutte credibili, cioè nient’affatto dedite alla fantapolitica e per nulla afflitte dalla sindrome del “Grande Complotto”. E dunque? Dunque, noi non possiamo garantirvi che si tratti di una notizia certa, o di una verità politica dimostrata. Non dubitiamo invece della sua credibilità. Proviamo perciò ad analizzarla attraverso le cronache di queste giornate, e qualche spunto di riflessione.
Politica estera. Che stia calando il grande freddo tra Italia e Stati Uniti d’America, e che nel mirino di Washington sia finito soprattutto il ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, è ormai sotto gli occhi di tutti. I tempi del “bye bye Condy” sembrano appartenere ad un’atra stagione, quando il governo americano è sembrato incassare con relativo fair play il ritiro dall’Iraq e l’iniziativa sul Libano: due scelte che certo non sono mai particolarmente piaciute all’amministrazione di Washington, ma che forse, lì per lì, sono state considerate lo “scotto” necessario da pagare al nuovo governo appena insediato, e all’affermazione di una strategia almeno dotata dell’apparenza del multilateralismo. Via via, nel corso dei mesi, la politica estera italiana ha assunto agli occhi nordamericani un pericoloso e crescente livello di autonomia, sia per il suo marcato europeismo, sia per la sua porzione “filoaraba”, sia, anche, per quella che sin da luglio è stata percepita come una scelta di disimpegno (di disimpegno militare) dal fronte afghano. Non è certo un caso che Prodi non abbia a tutt’oggi messo in calendario, come è tradizione dei presidenti del Consiglio italiani, un viaggio nella capitale americana. Per quanto nessuno possa mettere in dubbio la sua collocazione, o i suoi sentimenti, occidentali, anzi occidentalissimi, per quanto egli abbia deciso di autorità il raddoppio della base Usa di Vicenza, Prodi resta per gli americani un politico di profilo europeo. Un leader poco affidabile. Un alleato che ha in testa più gli accordi con la Cina che non la realizzazione di un rapporto di fedele soggezione agli Stati Uniti. Non è da escludere che, avvertendo attorno a se questo clima di sfiducia, il nostro premier abbia deciso, sul Dal Molin, di compiere un vero e proprio “gesto di ubbidienza”, coartando una parte importante della sua coalizione proprio allo scopo di rassicurare il segretario di Stato e di guadagnarsi un gallone di affidabilità. Ma in tutta evidenza a Condoleeza Rice questo gesto non è bastato: pochi giorni dopo, la risposta è stata la lettera a “Repubblica”dei sei ambasciatori amici degli Usa, una interferenza sulla sovranità nazionale italiana così smaccata e pesante da non avere precedenti.
A sua volta, la replica del ministro degli Esteri non ha molti precedenti, per la sua secchezza e per il suo tono: D’Alema, forse, sa che si sono esauriti tutti i margini del bon ton. Gli Stati Uniti pretendono non il semplice rifinanziamento della missione italiana a Kabul, non una nuda e cruda conferma, ma il suo congruo rafforzamento, in vista della annunciata offensiva di primavera dei taliban e in vista di una guerra nella quale si giocano la loro residua credibilità. La partita, come si capisce, è tutta politica - ma anche molto simbolica. E quello che Washington pensa di D’Alema l’ha detto a chiare lettere, ieri sul “Corriere della Sera”, l’ex ambasciatore Secchia: ha detto che D’Alema è un uomo che «non capisce dove sono i suoi amici», che è segnato dalla sua storia nella sinistra radicale, che «se fosse per lui oggi ci sarebbe ancora l’Unione Sovietica». Quando mai un ex diplomatico, peraltro molto vicino al presidente Bush, ha parlato con tanta violenza di un membro eminente del governo di un paese amico?
“I Pacs”. Anche questo è un fronte più che pubblico. Le autorità vaticane hanno da settimane scatenato non una campagna, ma una crociata, contro la moderatissima proposta sulle unioni civili prospettata con una mozione alla Camera. Ci si sono messi tutti, dalle prediche domenicali di Ratzinger, ai cardinali con gli incubi di Satana. Fino al “non possumus” del giornale dei vescovi, che ha il sinistro sapore del sillabo di Pio IX e del peggior clericalismo neotemporalistico: come se avesse senso oggi dettare allo Stato italiano le leggi che può fare e quelle che non può fare. Dunque, i pacs, se così si può dire, sono anche un cavallo ruffiano, uno strumento, un pretesto: il cardinal Ruini, che gestisce in toto la politica della chiesa cattolica, mira in realtà a sgambettare il governo Prodi e l’Unione, ai suoi occhi così zeppi di laicisti e di comunisti. E’ noto che Sua eminenza, tanto legato a Prodi d’aver celebrato il suo matrimonio, considerò la sua discesa in campo, nel ’96, a capo di uno schieramento di centrosinistra, un vero e proprio tradimento. Che abbia deciso di fargliela pagare, anche sul piano personale? Mancano solo tre mesi al pensionamento del cardinale e alla nomina del nuovo presidente della Cei (si dice, speriamo sia vero, che sarà più pastore e meno intrigante). Il tempo stringe, perciò sale a mille la pressione sui politici e parlamentari cattolici, perciò i teodem alzano i toni, anzi strillano, come hanno fatto ieri, annunciando il loro “non possumus”, che va dai pacs alla messa in discussione del testamento biologico.
“Conclusione provvisoria”. La cronaca quotidiana forse non conferma il sospetto del Grande Complotto, ma di sicuro accredita l’inasprimento dell’offensiva vaticana e nordamericana contro il governo dell’Unione. Un’aggressività che si produce in contemporanea e che sfrutta tutte le contraddizioni che sono già presenti nella coalizione e concorre a produrne di nuove. Una coincidenza? Forse. Quel che è sicuro, è che sembra essere tornati ai tempi dell’ambasciatrice Luce e del pontificato di Pio XII e che, oltreoceano e oltretevere, si vorrebbe terremotare il quadro politico ben oltre le speranze e le volontà dello stesso Berlusconi (una crisi di governo in tempi rapidi, magari nuove elezioni, non convengono oggi al Cavaliere: metterebbero comunque in pole position il suo ex alleato Casini). Invece, logorare l’Unione, anzi frantumarla e seppellirla, cacciare Prodi e D’Alema, andare ad un anno e mezzo o due di governo neocentrista, riformare la legge elettorale nel senso indicato dai referendari, ovvero nel senso di recidere per la sinistra radicale e per Rifondazione comunista ogni vera possibilità di rappresentanza, inaugurare, insomma, la terza Repubblica: ecco il programma che, chissà, Camillo può avere spiegato a Condy, e che comunque va realizzato ora, non tra un anno. Non passerà, ne siamo sicuri. Ma, se il cardinale ce lo consente, è davvero diabolico.
Rina Gagliardi (giovedì 8 febbraio)
Io direi che è giunto il momento per il Vaticano di traslocare, non ce lo vogliamo più qui... Si trovi un altro posto, dove vuole lui... Così Roma si riprende ciò che è sempre stato suo come San Pietro e Castel Sant'Angelo, ci riprendiamo tutti i soldi negati dai millemila privilegi alla chiesa, aboliamo questa maledetta ora di religione e tutto l'1 per mille invece che destinarlo alla Chiesa lo destiniamo alle Onlus della Chiesa... Non se ne può veramente più...
Offensiva convergente delle due ”Grandi Potenze”. Condoleeza non gradisce la politica estera dell’Italia e non si accontenta di Vicenza
L’ambasciatore Usa insolentisce D’Alema. Monsignor Ruini, con toni da Pio IX, pretende la testa dell’ex-amico Prodi che considera un traditore
Il disegno è chiaro e passa per un patto di ferro tra due grandi poteri: il Vaticano e il governo americano. Per capirci: Sua eminenza il cardinale Camillo Ruini e Condoleeza Rice faranno di tutto, da qui ai prossimi due mesi, per far cadere il governo Prodi. Al quale, ad ogni modo, hanno già palesemente “dichiarato guerra”. Questa “informazione” o, se preferite, questa tesi circola da vari giorni nei palazzi della politica - una sorta di allarmato tam tam, sostenuto da figure diverse e tutte credibili, cioè nient’affatto dedite alla fantapolitica e per nulla afflitte dalla sindrome del “Grande Complotto”. E dunque? Dunque, noi non possiamo garantirvi che si tratti di una notizia certa, o di una verità politica dimostrata. Non dubitiamo invece della sua credibilità. Proviamo perciò ad analizzarla attraverso le cronache di queste giornate, e qualche spunto di riflessione.
Politica estera. Che stia calando il grande freddo tra Italia e Stati Uniti d’America, e che nel mirino di Washington sia finito soprattutto il ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, è ormai sotto gli occhi di tutti. I tempi del “bye bye Condy” sembrano appartenere ad un’atra stagione, quando il governo americano è sembrato incassare con relativo fair play il ritiro dall’Iraq e l’iniziativa sul Libano: due scelte che certo non sono mai particolarmente piaciute all’amministrazione di Washington, ma che forse, lì per lì, sono state considerate lo “scotto” necessario da pagare al nuovo governo appena insediato, e all’affermazione di una strategia almeno dotata dell’apparenza del multilateralismo. Via via, nel corso dei mesi, la politica estera italiana ha assunto agli occhi nordamericani un pericoloso e crescente livello di autonomia, sia per il suo marcato europeismo, sia per la sua porzione “filoaraba”, sia, anche, per quella che sin da luglio è stata percepita come una scelta di disimpegno (di disimpegno militare) dal fronte afghano. Non è certo un caso che Prodi non abbia a tutt’oggi messo in calendario, come è tradizione dei presidenti del Consiglio italiani, un viaggio nella capitale americana. Per quanto nessuno possa mettere in dubbio la sua collocazione, o i suoi sentimenti, occidentali, anzi occidentalissimi, per quanto egli abbia deciso di autorità il raddoppio della base Usa di Vicenza, Prodi resta per gli americani un politico di profilo europeo. Un leader poco affidabile. Un alleato che ha in testa più gli accordi con la Cina che non la realizzazione di un rapporto di fedele soggezione agli Stati Uniti. Non è da escludere che, avvertendo attorno a se questo clima di sfiducia, il nostro premier abbia deciso, sul Dal Molin, di compiere un vero e proprio “gesto di ubbidienza”, coartando una parte importante della sua coalizione proprio allo scopo di rassicurare il segretario di Stato e di guadagnarsi un gallone di affidabilità. Ma in tutta evidenza a Condoleeza Rice questo gesto non è bastato: pochi giorni dopo, la risposta è stata la lettera a “Repubblica”dei sei ambasciatori amici degli Usa, una interferenza sulla sovranità nazionale italiana così smaccata e pesante da non avere precedenti.
A sua volta, la replica del ministro degli Esteri non ha molti precedenti, per la sua secchezza e per il suo tono: D’Alema, forse, sa che si sono esauriti tutti i margini del bon ton. Gli Stati Uniti pretendono non il semplice rifinanziamento della missione italiana a Kabul, non una nuda e cruda conferma, ma il suo congruo rafforzamento, in vista della annunciata offensiva di primavera dei taliban e in vista di una guerra nella quale si giocano la loro residua credibilità. La partita, come si capisce, è tutta politica - ma anche molto simbolica. E quello che Washington pensa di D’Alema l’ha detto a chiare lettere, ieri sul “Corriere della Sera”, l’ex ambasciatore Secchia: ha detto che D’Alema è un uomo che «non capisce dove sono i suoi amici», che è segnato dalla sua storia nella sinistra radicale, che «se fosse per lui oggi ci sarebbe ancora l’Unione Sovietica». Quando mai un ex diplomatico, peraltro molto vicino al presidente Bush, ha parlato con tanta violenza di un membro eminente del governo di un paese amico?
“I Pacs”. Anche questo è un fronte più che pubblico. Le autorità vaticane hanno da settimane scatenato non una campagna, ma una crociata, contro la moderatissima proposta sulle unioni civili prospettata con una mozione alla Camera. Ci si sono messi tutti, dalle prediche domenicali di Ratzinger, ai cardinali con gli incubi di Satana. Fino al “non possumus” del giornale dei vescovi, che ha il sinistro sapore del sillabo di Pio IX e del peggior clericalismo neotemporalistico: come se avesse senso oggi dettare allo Stato italiano le leggi che può fare e quelle che non può fare. Dunque, i pacs, se così si può dire, sono anche un cavallo ruffiano, uno strumento, un pretesto: il cardinal Ruini, che gestisce in toto la politica della chiesa cattolica, mira in realtà a sgambettare il governo Prodi e l’Unione, ai suoi occhi così zeppi di laicisti e di comunisti. E’ noto che Sua eminenza, tanto legato a Prodi d’aver celebrato il suo matrimonio, considerò la sua discesa in campo, nel ’96, a capo di uno schieramento di centrosinistra, un vero e proprio tradimento. Che abbia deciso di fargliela pagare, anche sul piano personale? Mancano solo tre mesi al pensionamento del cardinale e alla nomina del nuovo presidente della Cei (si dice, speriamo sia vero, che sarà più pastore e meno intrigante). Il tempo stringe, perciò sale a mille la pressione sui politici e parlamentari cattolici, perciò i teodem alzano i toni, anzi strillano, come hanno fatto ieri, annunciando il loro “non possumus”, che va dai pacs alla messa in discussione del testamento biologico.
“Conclusione provvisoria”. La cronaca quotidiana forse non conferma il sospetto del Grande Complotto, ma di sicuro accredita l’inasprimento dell’offensiva vaticana e nordamericana contro il governo dell’Unione. Un’aggressività che si produce in contemporanea e che sfrutta tutte le contraddizioni che sono già presenti nella coalizione e concorre a produrne di nuove. Una coincidenza? Forse. Quel che è sicuro, è che sembra essere tornati ai tempi dell’ambasciatrice Luce e del pontificato di Pio XII e che, oltreoceano e oltretevere, si vorrebbe terremotare il quadro politico ben oltre le speranze e le volontà dello stesso Berlusconi (una crisi di governo in tempi rapidi, magari nuove elezioni, non convengono oggi al Cavaliere: metterebbero comunque in pole position il suo ex alleato Casini). Invece, logorare l’Unione, anzi frantumarla e seppellirla, cacciare Prodi e D’Alema, andare ad un anno e mezzo o due di governo neocentrista, riformare la legge elettorale nel senso indicato dai referendari, ovvero nel senso di recidere per la sinistra radicale e per Rifondazione comunista ogni vera possibilità di rappresentanza, inaugurare, insomma, la terza Repubblica: ecco il programma che, chissà, Camillo può avere spiegato a Condy, e che comunque va realizzato ora, non tra un anno. Non passerà, ne siamo sicuri. Ma, se il cardinale ce lo consente, è davvero diabolico.
Rina Gagliardi (giovedì 8 febbraio)
Io direi che è giunto il momento per il Vaticano di traslocare, non ce lo vogliamo più qui... Si trovi un altro posto, dove vuole lui... Così Roma si riprende ciò che è sempre stato suo come San Pietro e Castel Sant'Angelo, ci riprendiamo tutti i soldi negati dai millemila privilegi alla chiesa, aboliamo questa maledetta ora di religione e tutto l'1 per mille invece che destinarlo alla Chiesa lo destiniamo alle Onlus della Chiesa... Non se ne può veramente più...
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