Assolto dopo 15 anni per un duplice omicidio Condannato per un delitto mai commesso. Domenico Morrone, 42enne di Taranto, chiederà un risarcimento tra gli 8 e i 12 milioni STRUMENTIVERSIONE STAMPABILEI PIU' LETTIINVIA QUESTO ARTICOLO
Domenico Morrone (Arcieri)
TARANTO - Chiederà allo Stato un risarcimento dei danni tra gli 8 e i 12 milioni di euro per aver scontato 15 anni in conseguenza di una condanna definitiva a 21 anni di reclusione per l'omicidio, compiuto a Taranto, di due studenti minorenni che non ha mai commesso. Questa la richiesta che Domenico Morrone, il quarantaduenne tarantino assolto venerdì dalla Corte di appello di Lecce al termine del processo di revisione, presenterà per l'errore giudiziario che ha subito per aver trascorso undici anni e mezzo in carcere e gli altri in semilibertà. Morrone dovrebbe tornare in libertà in questi giorni. Lo annuncia il suo legale, avv.Claudio Defilippi, del Foro di Milano, che ha difeso Morrone assieme alla collega Maria Riccio del foro di Genova.
«Chiederemo il risarcimento - spiega Defilippi - per l'errore giudiziario compiuto durante i cinque gradi di giudizio che Morrone ha subito, compresi i due rinvii della Cassazione: in base a quelle che sono le mie conoscenze si tratta del caso di errore giudiziario più eclatante della storia giudiziaria italiana. Il nostro assistito quando fu arrestato era un pescatore incensurato e non aveva mai preso neppure una multa per eccesso di velocità. Aveva, inoltre, una fidanzata, che lo ha lasciato, e ha una mamma anziana che vive in una situazione di povertà ».
Morrone, tarantino di 42 anni, era stato condannato per aver ucciso il pomeriggio del 30 gennaio 1991 due ragazzi davanti alla scuola media 'Maria Grazia Deleddà, alla periferia di Taranto. Le due vittime - Antonio Sebastio, di 15 anni, e Giovanni Battista, di 17 - furono sorprese da un sicario che sparò ripetutamente contro di loro con una pistola calibro 22. L'omicidio avvenne tra la gente con modalità efferate.
In base agli indizi raccolti da polizia e carabinieri, coordinati dal pm del tribunale di Taranto Vincenzo Petrocelli, Morrone, poche ore dopo i fatti, fu sottoposto a fermo per duplice omicidio, detenzione e porto illegale di arma da fuoco e munizioni e spari in luogo pubblico. Ad incastrarlo - secondo l'accusa - c'erano le testimonianze di alcune persone. Sia al momento del fermo sia durante i processi a suo carico, l'imputato ha sempre detto di essere estraneo ai fatti, ma nessuno gli ha creduto.
Secondo la ricostruzione accusatoria, movente del duplice omicidio sarebbe stata una vendetta per un litigio con Giovanni Battista avvenuto per futili motivi una ventina di giorni prima del delitto. Dopo il litigio Morrone era stato ferito e, poco tempo più tardi - secondo una testimonianza poi ritrattata - avrebbe minacciato di morte i due ritenendoli legati alla criminalità e responsabili del suo ferimento.
«Tutto falso», ribatte il difensore dell'imputato. «Noi - afferma - abbiamo provato che il duplice omicidio fu compiuto per vendicare lo scippo che una donna aveva subito la mattina del delitto e che, secondo quanto è stato detto nel processo, era stato compiuto dai due ragazzini poi uccisi». All'assoluzione dell'imputato hanno contribuito con le loro dichiarazioni il collaboratore di giustizia Saverio Martinese e l'ex 'pentito Alessandro Ble, che - secondo quanto riferisce l'avv. Defilippi - hanno detto nel corso del processo di revisione di essere certi che Morrone fosse estraneo ai fatti e hanno riferito di aver dedotto, proprio in base alle notizie riferite loro dal presunto autore del delitto, del quale è stato riferito il nome, che a compiere l'omicidio fu il figlio della donna che aveva subito lo scippo, proprio per vendicare l' affronto subito.
«Questo processo è stato caratterizzato da lacune immense - denuncia l'avv. Defilippi - e i giudici di merito non hanno mai tenuto conto dell'alibi che Morrone aveva, che era stato confermato sin dal primo annullamento con rinvio della sentenza da parte della Cassazione. L'imputato ha sempre detto che al momento del delitto si trovava nell'appartamento dei coniugi Masone, che vivevano sullo stesso pianerottolo dell'abitazione della sua famiglia. I Masone hanno confermato l'alibi del giovane durante il processo ma sono stati condannati per falsa testimonianza, così come è stata condannata la mamma del giovane che aveva riferito la stessa circostanza: «Queste persone - conclude il legale - sono cadute nella fossa dell' inferno solo per aver detto la verità».
23 aprile 2006 - Corriere della sera
Incredibile
Domenico Morrone (Arcieri)
TARANTO - Chiederà allo Stato un risarcimento dei danni tra gli 8 e i 12 milioni di euro per aver scontato 15 anni in conseguenza di una condanna definitiva a 21 anni di reclusione per l'omicidio, compiuto a Taranto, di due studenti minorenni che non ha mai commesso. Questa la richiesta che Domenico Morrone, il quarantaduenne tarantino assolto venerdì dalla Corte di appello di Lecce al termine del processo di revisione, presenterà per l'errore giudiziario che ha subito per aver trascorso undici anni e mezzo in carcere e gli altri in semilibertà. Morrone dovrebbe tornare in libertà in questi giorni. Lo annuncia il suo legale, avv.Claudio Defilippi, del Foro di Milano, che ha difeso Morrone assieme alla collega Maria Riccio del foro di Genova.
«Chiederemo il risarcimento - spiega Defilippi - per l'errore giudiziario compiuto durante i cinque gradi di giudizio che Morrone ha subito, compresi i due rinvii della Cassazione: in base a quelle che sono le mie conoscenze si tratta del caso di errore giudiziario più eclatante della storia giudiziaria italiana. Il nostro assistito quando fu arrestato era un pescatore incensurato e non aveva mai preso neppure una multa per eccesso di velocità. Aveva, inoltre, una fidanzata, che lo ha lasciato, e ha una mamma anziana che vive in una situazione di povertà ».
Morrone, tarantino di 42 anni, era stato condannato per aver ucciso il pomeriggio del 30 gennaio 1991 due ragazzi davanti alla scuola media 'Maria Grazia Deleddà, alla periferia di Taranto. Le due vittime - Antonio Sebastio, di 15 anni, e Giovanni Battista, di 17 - furono sorprese da un sicario che sparò ripetutamente contro di loro con una pistola calibro 22. L'omicidio avvenne tra la gente con modalità efferate.
In base agli indizi raccolti da polizia e carabinieri, coordinati dal pm del tribunale di Taranto Vincenzo Petrocelli, Morrone, poche ore dopo i fatti, fu sottoposto a fermo per duplice omicidio, detenzione e porto illegale di arma da fuoco e munizioni e spari in luogo pubblico. Ad incastrarlo - secondo l'accusa - c'erano le testimonianze di alcune persone. Sia al momento del fermo sia durante i processi a suo carico, l'imputato ha sempre detto di essere estraneo ai fatti, ma nessuno gli ha creduto.
Secondo la ricostruzione accusatoria, movente del duplice omicidio sarebbe stata una vendetta per un litigio con Giovanni Battista avvenuto per futili motivi una ventina di giorni prima del delitto. Dopo il litigio Morrone era stato ferito e, poco tempo più tardi - secondo una testimonianza poi ritrattata - avrebbe minacciato di morte i due ritenendoli legati alla criminalità e responsabili del suo ferimento.
«Tutto falso», ribatte il difensore dell'imputato. «Noi - afferma - abbiamo provato che il duplice omicidio fu compiuto per vendicare lo scippo che una donna aveva subito la mattina del delitto e che, secondo quanto è stato detto nel processo, era stato compiuto dai due ragazzini poi uccisi». All'assoluzione dell'imputato hanno contribuito con le loro dichiarazioni il collaboratore di giustizia Saverio Martinese e l'ex 'pentito Alessandro Ble, che - secondo quanto riferisce l'avv. Defilippi - hanno detto nel corso del processo di revisione di essere certi che Morrone fosse estraneo ai fatti e hanno riferito di aver dedotto, proprio in base alle notizie riferite loro dal presunto autore del delitto, del quale è stato riferito il nome, che a compiere l'omicidio fu il figlio della donna che aveva subito lo scippo, proprio per vendicare l' affronto subito.
«Questo processo è stato caratterizzato da lacune immense - denuncia l'avv. Defilippi - e i giudici di merito non hanno mai tenuto conto dell'alibi che Morrone aveva, che era stato confermato sin dal primo annullamento con rinvio della sentenza da parte della Cassazione. L'imputato ha sempre detto che al momento del delitto si trovava nell'appartamento dei coniugi Masone, che vivevano sullo stesso pianerottolo dell'abitazione della sua famiglia. I Masone hanno confermato l'alibi del giovane durante il processo ma sono stati condannati per falsa testimonianza, così come è stata condannata la mamma del giovane che aveva riferito la stessa circostanza: «Queste persone - conclude il legale - sono cadute nella fossa dell' inferno solo per aver detto la verità».
23 aprile 2006 - Corriere della sera
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