Il 27 gennaio, anniversario della liberazione di Auschwitz, è una ricorrenza significativa per ogni cittadino Italiano, o almeno dovrebbe esserlo.
Questa giornata del ricordo non serve agli ebrei o a coloro che hanno subito le ingiustizie dei regimi totalitari, che non possono dimenticare; serve a noi e a tutte le persone che gli orrori della deportazione e delle sue conseguenze non hanno toccato in prima persona, per ricordarci ciò che è stato e che non deve accadere più.
È un monito a stare attenti, a guardarci intorno e ad allarmarci nel caso vedessimo nella nostra società i presupposti per il ripetersi dell’orrore della Shoa.
Parafrasando Primo Levi: se il mondo dimenticasse che un Auschwitz c’è stato, allora sarebbe più facile che un nuovo Auschwitz venisse costruito e nessuno assicurerebbe che inghiottirà solo ebrei.
La memoria di ciò che è successo è, a mio avviso, la base necessaria su cui fondare poi il nostro comportamento.
La perdita della libertà, l’umiliazione, l’essere additati come diversi, l’essere privati non solo del proprio lavoro, ma della possibilità di avere una cultura, di potersi esprimere liberamente, la perdita della propria casa: tutto il processo che porta dalla discriminazione all’odio e all’intolleranza, che hanno generato le leggi di Norimberga del ’35, in Germania, e le leggi razziali del ’38, in Italia.
Poi, la concentrazione nei ghetti, la deportazione su treni merci, come animali, pigiati in vagoni dove alcuni già trovavano la morte; l’arrivo nei campi di concentramento e di sterminio, l’estenuante lavoro fisico, le umiliazioni inflitte dai soldati tedeschi a quelle povere vittime, colpevoli solo di essere nate ebree. La loro trasformazione in semplici numeri, il ridurli a lottare per la sopravvivenza, la loro morte inutile.
Ed infine… il silenzio; il tacito consenso, l’indifferenza di chi non era coinvolto, di chi ha visto, ha capito, ma non ha voluto intervenire, come fecero addirittura i Papi.
Il 27 gennaio è un invito a pensare, a riflettere su tutto questo, perché se l’orrore c’è stato è dato anche a coloro che si sono limitati a guardare, impietriti dalla paura e dalla viltà.
La viltà di coloro che lasciavano che un crimine orrendo e mostruoso si consumasse sotto i loro occhi, per non correre rischi, per stare tranquilli.
La giornata della memoria può diventare sgradevole per i vili di allora, perché si ricorda il loro opportunismo e la loro indifferenza, che ha causato tante sofferenze, non solo fisiche, agli ebrei che magari loro addirittura conoscevano. Ma era comodo non dire niente, far finta di non avere occhi per vedere; in tal modo si liberavano buoni posti di lavoro, si potevano comprare case, anche di alto valore, ad un prezzo esiguo.
Il 27 gennaio serve a farci prendere coscienza delle nostre tentazioni, che ci portano sulla strada sbagliata, e il ricordo della Shoa ci aiuta a dire no, a riscuoterci dalla nostra indifferenza e a farci fare qualcosa di utile per chi non può difendersi dalle ingiustizie.
Perché il razzismo è ancora vivo,in Asia, in Africa e ancora, in Europa, avvengono delle “pulizie etniche”. Esempi lampanti sono la lotta continua tra israeliani e palestinesi, le persone arrestate come genocidari in Ruanda, dove l’odio tra Utu e Tutsi continua a mietere vittime ed infine la guerra in Kosovo o le dimostrazioni di odio dei Baschi in Spagna.
Il 27 gennaio è un invito a credere nel principio della sostanziale uguaglianza di ogni essere umano; un monito perché non ci siano più discriminazioni, soprattutto verso i tanti extra-comunitari che negli ultimi anni sono sempre più presenti in Italia e in Europa.
Quando ho scritto che il 27 gennaio dovrebbe essere una ricorrenza significativa per tutti, ho usato il condizionale poiché probabilmente ci sarà sempre purtroppo una parte indifferente, che preferisce dimenticare e lasciare perdere. Lo vedo addirittura già in alcuni miei colleghi di lavoro (in real), che sembrano annoiati e infastiditi dalle testimonianze di ebrei sopravvissuti e preferirebbero essere in un pub oppure con gli amici a divertirsi piuttosto che di fronte ad una persona che li rende partecipi della propria dolorosa esperienza; non si sentono toccati e coinvolti, ciò che è successo è avvenimento del passato, resta là; si limitano a sapere cosa è accaduto, senza rifletterci.
Questo mi sconvolge, io non riesco davvero a comprendere queste persone così ciniche e indifferenti e spero che il vedere un giorno dell’anno dedicato al ricordo della Shoa li faccia riflettere e faccia loro capire quanto sia importante non dimenticare, per trasmettere poi valori morali e civili migliori alle loro generazioni, quando i sopravvissuti ai campi di sterminio saranno morti e spetterà a loro diventare “candele della memoria”.
Attraverso la memoria della Shoa, arrivata a noi tramite racconti di sopravvissuti e tramite la letteratura, bisogna lavorare insieme perché i diritti umani non vengano più calpestati e perché l’intolleranza, il razzismo, le discriminazioni, il fanatismo delle religioni siano sempre meno presenti nella nostra società.
Il giorno della memoria ci aiuterà a ricordare l’importanza di certi valori come la libertà, l’uguaglianza, la solidarietà fra singoli e fra popoli diversi. Valori che le leggi razziali e i regimi totalitari nazista e fascista avevano cancellato e come allora fecero la Resistenza, i movimenti anti-fascisti e quei “Giusti”, così anche noi dobbiamo agire, entro i nostri poteri, controre tante ingiustizie che ancora esistono nel mondo. E già molti si sono mossi: pacifisti, movimenti libertari, ecologisti “no global”, contro una globalizzazione disumana, missioni di carità e solidarietà.
Spero che la giornata della memoria aiuti tutti a riflettere ed a muoversi per garantire a tutti il rispetto dei diritti umani, in ricordo di coloro che si videro annullati prima civilmente, poi materialmente sulla base di una presunta inferiorità e pericolosità per la cosiddetta “razza ariana”.
Il 27 gennaio non deve però essere l’unico baluardo della memoria; deve essere affiancato da altre iniziative sia di singoli, sia collettive.
Noi apparteniamo ad una generazione fortunata perché ci è ancora possibile ascoltare di persona i testimoni della Shoa, ma già la generazione prossima non avrà questo privilegio. Quindi i sopravvissuti, raccontando la loro storia, affidano a noi la loro testimonianza e il ricordo, facendo di noi dei testimoni e noi, a nostra volta, potremo rendere partecipi i nostri figli e le generazioni future delle esperienze dei sopravvissuti, perpetuando così la memoria.
Inoltre, la lettura di libri scritti da coloro che hanno vissuto la Shoa aiuterà sicuramente a comprendere fino in fondo il processo di annullamento che è stato attuato dai tedeschi.
Le istituzioni pubbliche dovranno poi, come già stanno facendo, organizzare mostre o riunioni sul tema della Shoa.
Infine, la conservazione dei luoghi di sterminio permette fortunatamente ancora oggi la loro visita, per vedere con i propri occhi che una Shoa c’è stata e che i tentativi di ridimensionare il fatto e di sottovalutarlo sono inutili.
Concludo dicendo che, per quanto mi riguarda, ho intenzione di trasmettere alle generazioni che da me avranno origine ciò che ho imparato ed appresto in merito, sperando che anche loro, come me, riflettano ed infine capiscano il significato della memoria della Shoa.
Questa giornata del ricordo non serve agli ebrei o a coloro che hanno subito le ingiustizie dei regimi totalitari, che non possono dimenticare; serve a noi e a tutte le persone che gli orrori della deportazione e delle sue conseguenze non hanno toccato in prima persona, per ricordarci ciò che è stato e che non deve accadere più.
È un monito a stare attenti, a guardarci intorno e ad allarmarci nel caso vedessimo nella nostra società i presupposti per il ripetersi dell’orrore della Shoa.
Parafrasando Primo Levi: se il mondo dimenticasse che un Auschwitz c’è stato, allora sarebbe più facile che un nuovo Auschwitz venisse costruito e nessuno assicurerebbe che inghiottirà solo ebrei.
La memoria di ciò che è successo è, a mio avviso, la base necessaria su cui fondare poi il nostro comportamento.
La perdita della libertà, l’umiliazione, l’essere additati come diversi, l’essere privati non solo del proprio lavoro, ma della possibilità di avere una cultura, di potersi esprimere liberamente, la perdita della propria casa: tutto il processo che porta dalla discriminazione all’odio e all’intolleranza, che hanno generato le leggi di Norimberga del ’35, in Germania, e le leggi razziali del ’38, in Italia.
Poi, la concentrazione nei ghetti, la deportazione su treni merci, come animali, pigiati in vagoni dove alcuni già trovavano la morte; l’arrivo nei campi di concentramento e di sterminio, l’estenuante lavoro fisico, le umiliazioni inflitte dai soldati tedeschi a quelle povere vittime, colpevoli solo di essere nate ebree. La loro trasformazione in semplici numeri, il ridurli a lottare per la sopravvivenza, la loro morte inutile.
Ed infine… il silenzio; il tacito consenso, l’indifferenza di chi non era coinvolto, di chi ha visto, ha capito, ma non ha voluto intervenire, come fecero addirittura i Papi.
Il 27 gennaio è un invito a pensare, a riflettere su tutto questo, perché se l’orrore c’è stato è dato anche a coloro che si sono limitati a guardare, impietriti dalla paura e dalla viltà.
La viltà di coloro che lasciavano che un crimine orrendo e mostruoso si consumasse sotto i loro occhi, per non correre rischi, per stare tranquilli.
La giornata della memoria può diventare sgradevole per i vili di allora, perché si ricorda il loro opportunismo e la loro indifferenza, che ha causato tante sofferenze, non solo fisiche, agli ebrei che magari loro addirittura conoscevano. Ma era comodo non dire niente, far finta di non avere occhi per vedere; in tal modo si liberavano buoni posti di lavoro, si potevano comprare case, anche di alto valore, ad un prezzo esiguo.
Il 27 gennaio serve a farci prendere coscienza delle nostre tentazioni, che ci portano sulla strada sbagliata, e il ricordo della Shoa ci aiuta a dire no, a riscuoterci dalla nostra indifferenza e a farci fare qualcosa di utile per chi non può difendersi dalle ingiustizie.
Perché il razzismo è ancora vivo,in Asia, in Africa e ancora, in Europa, avvengono delle “pulizie etniche”. Esempi lampanti sono la lotta continua tra israeliani e palestinesi, le persone arrestate come genocidari in Ruanda, dove l’odio tra Utu e Tutsi continua a mietere vittime ed infine la guerra in Kosovo o le dimostrazioni di odio dei Baschi in Spagna.
Il 27 gennaio è un invito a credere nel principio della sostanziale uguaglianza di ogni essere umano; un monito perché non ci siano più discriminazioni, soprattutto verso i tanti extra-comunitari che negli ultimi anni sono sempre più presenti in Italia e in Europa.
Quando ho scritto che il 27 gennaio dovrebbe essere una ricorrenza significativa per tutti, ho usato il condizionale poiché probabilmente ci sarà sempre purtroppo una parte indifferente, che preferisce dimenticare e lasciare perdere. Lo vedo addirittura già in alcuni miei colleghi di lavoro (in real), che sembrano annoiati e infastiditi dalle testimonianze di ebrei sopravvissuti e preferirebbero essere in un pub oppure con gli amici a divertirsi piuttosto che di fronte ad una persona che li rende partecipi della propria dolorosa esperienza; non si sentono toccati e coinvolti, ciò che è successo è avvenimento del passato, resta là; si limitano a sapere cosa è accaduto, senza rifletterci.
Questo mi sconvolge, io non riesco davvero a comprendere queste persone così ciniche e indifferenti e spero che il vedere un giorno dell’anno dedicato al ricordo della Shoa li faccia riflettere e faccia loro capire quanto sia importante non dimenticare, per trasmettere poi valori morali e civili migliori alle loro generazioni, quando i sopravvissuti ai campi di sterminio saranno morti e spetterà a loro diventare “candele della memoria”.
Attraverso la memoria della Shoa, arrivata a noi tramite racconti di sopravvissuti e tramite la letteratura, bisogna lavorare insieme perché i diritti umani non vengano più calpestati e perché l’intolleranza, il razzismo, le discriminazioni, il fanatismo delle religioni siano sempre meno presenti nella nostra società.
Il giorno della memoria ci aiuterà a ricordare l’importanza di certi valori come la libertà, l’uguaglianza, la solidarietà fra singoli e fra popoli diversi. Valori che le leggi razziali e i regimi totalitari nazista e fascista avevano cancellato e come allora fecero la Resistenza, i movimenti anti-fascisti e quei “Giusti”, così anche noi dobbiamo agire, entro i nostri poteri, controre tante ingiustizie che ancora esistono nel mondo. E già molti si sono mossi: pacifisti, movimenti libertari, ecologisti “no global”, contro una globalizzazione disumana, missioni di carità e solidarietà.
Spero che la giornata della memoria aiuti tutti a riflettere ed a muoversi per garantire a tutti il rispetto dei diritti umani, in ricordo di coloro che si videro annullati prima civilmente, poi materialmente sulla base di una presunta inferiorità e pericolosità per la cosiddetta “razza ariana”.
Il 27 gennaio non deve però essere l’unico baluardo della memoria; deve essere affiancato da altre iniziative sia di singoli, sia collettive.
Noi apparteniamo ad una generazione fortunata perché ci è ancora possibile ascoltare di persona i testimoni della Shoa, ma già la generazione prossima non avrà questo privilegio. Quindi i sopravvissuti, raccontando la loro storia, affidano a noi la loro testimonianza e il ricordo, facendo di noi dei testimoni e noi, a nostra volta, potremo rendere partecipi i nostri figli e le generazioni future delle esperienze dei sopravvissuti, perpetuando così la memoria.
Inoltre, la lettura di libri scritti da coloro che hanno vissuto la Shoa aiuterà sicuramente a comprendere fino in fondo il processo di annullamento che è stato attuato dai tedeschi.
Le istituzioni pubbliche dovranno poi, come già stanno facendo, organizzare mostre o riunioni sul tema della Shoa.
Infine, la conservazione dei luoghi di sterminio permette fortunatamente ancora oggi la loro visita, per vedere con i propri occhi che una Shoa c’è stata e che i tentativi di ridimensionare il fatto e di sottovalutarlo sono inutili.
Concludo dicendo che, per quanto mi riguarda, ho intenzione di trasmettere alle generazioni che da me avranno origine ciò che ho imparato ed appresto in merito, sperando che anche loro, come me, riflettano ed infine capiscano il significato della memoria della Shoa.