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[DISFIDA D'OTTOBRE] Akordia La Lamia

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  • [DISFIDA D'OTTOBRE] Akordia La Lamia

    La notte sbagliata nel posto sbagliato, pensò il ragazzo; era spalle al muro con tre scagnozzi di Reiak il Calvo pronti a dargli la lezione che si spettava, aveva spillato dalla borsa del braccio destro della banda qualche spicciolo, e ora stava per essere preso a bastonate.
    La locanda era pressoché deserta, ma tutti gli occhi erano puntati sulla scena, non guastava mai un po’ di movimento, e quella sera ce ne sarebbe stato abbastanza da parlarne per un pò. Sembravano decisi a farlo secco e non era una novità, che chi si metteva contro Reiak faceva una brutta fine; pensò però che avrebbe menato un po’ di fendenti con il suo pugnale, prima di lasciarsi far malmenare.
    E così fece, salto addosso agli assalitori, ci fu un attimo di confusione, una smorfia di dolore, il giovane uscì dalla mischia e si diresse dritto verso l’uscita, si mise a correre ancora incapace di ragionare a pieno.
    Era scampato ai suoi assalitori, la fortuna ancora una volta aveva guardato dalla sua parte.
    Quella notte scappò fino fuori città, pensò che sarebbe stato per un po’ tra i boschi tanto da far calmare le acque; al chiarore dei deboli raggi di luna che filtravano tra gli alberi si accorse che aveva i vestiti macchiati, anche le mani che ancora stringevano saldamente il lungo pugnale erano macchiate del rossore del sangue.
    Non era sicuro stare lì, l’avrebbero cercato, doveva nascondersi da qualche parte; gli tornò alla mente di un vecchio rudere poco distante a non più di mezz’ora di cammino. Si incammino, con fare furtivo, e con l’orecchio teso per recepire qualsiasi rumore provenisse dalle vicinanze.
    Dopo un angoscioso, interminabile cammino, si ritrovò nelle vicinanze del rudere, una torre abbandonata da qualche secolo, alta, imponente, nonostante sembrava cadere a pezzi, si stagliava contro il cielo come per sfidarlo, come per toccarlo, ma ormai era solo un vecchio braccio avvizzito e annerito.
    Nel guardarla gli tornarono alla mente le stupide leggende che la riguardavano e gli venne come da sorridere pensando che in tempi antichi si diceva essere la tomba di un male che aveva afflitto quelle terre e che oramai era estinto e dimenticato.
    Si avvicinò presso l’ingresso, un immenso portale segnato dalle profonde ferite portate dal tempo, che si reggeva in piedi su, ormai, stanchi e logorati cardini, sopra l’arcata che custodiva il portone di spesso metallo scuro, una statua rannicchiata raffigurante il muso di un mostro era posta come ammonimento, un avvertimento che il giovane non rispettò e senza pensarci troppo si addentrò all’interno.
    Una gigantesca sala a pianta circolare comparve davanti ai suoi occhi, completamente spoglia se non per un blocco di pietra al centro di essa e lunghi drappi di pesante tessuto color rosso scuro che cadevano dall’alto oscillavano al debole vento che penetrava da piccole finestre.
    Si avvicinò a passi lenti verso il centro della sala, in penombra, ora, che i suoi occhi si erano abituati a quell’oscurità, vedeva più nitidamente quel grosso blocco di pietra, aveva una forma regolare con delle iscrizioni, e sopra di esso era scolpita una statua, un guerriero, morbidamente steso su un letto di morte, l’armatura indosso e le mani unite sul petto impugnavano l’elsa di una spada, la cui lama era intarsiata di strane rune e brillava di un rosso acceso, i lineamenti del volto perfettamente scolpiti all’interno dell’elmo di pietra, raffiguravano un essere simile ad un uomo, ma la cosa che colpì il giovane erano due lunghi canini che spiccavano dalle fauci aperte.
    Il giovane sobbalzò scosso, poi rise tra se e se e pensò “stupido spauracchio”, si chinò per vedere cosa fosse scolpito alla base dell’altare, erano scritti in lingua antica ma tra le parole contorte appariva un nome “Konrad Von Carstein”.
    Stava cercando di capire ancora le strane incisioni, quando udì una voce alle sue spalle, il suo corpo si irrigidì e un brivido freddo gli percorse la spina dorsale, una voce femminile, una voce calda e seducente, intono un canto, un requiem, un lamento.
    In quel momento si sentì immensamente piccolo e indifeso, la paura si impadronì di lui, ma non aveva le forze per alzarsi, non aveva il coraggio per farlo, non aveva la forza per reagire, si sentiva avvinghiato in un mortale abbraccio da quella melodia tanto triste ma tanto incantevole.
    Dopo pochi istanti che parvero interminabili anni di vita il canto terminò, il ragazzo si alzò, le gambe tremanti lo reggevano a malapena, la fronte madida di sudore; lentamente si girò con l’angosciante idea di dover affrontare chissà quale antico male, un essere dalla voce splendida ma tanto malvagia da impietrirlo; ma ciò che vide non fu quello che si aspettava.
    Una splendida donna dalle attraenti e affilate fattezze, con lunghi capelli neri, come l’ala di un corvo, a coprirgli le spalle scoperte, occhi neri, come una notte senza luna, spiccavano su un volto dagli incantevoli lineamenti e dalla carnagione bianchissima, come una manto innevato, netto il contrasto con lo scuro abito che indossava.
    Non molto alta ma dall’apparenza maestosa, un fisico asciutto e ben modellato, le lunghe e pallide gambe scomparivano in stivali di pelle nera alti fino al ginocchio; con andamento composto e passo quasi impercettibile si stava avvicinando al giovane.
    Mentre si avvicinava lentamente, la donna parlò, il movimento delle carnose labbra violacee, composto allo splendido suono della sua voce era quasi ipnotico; il giovane rimaste esterrefatto guardando l’agile corpo muoversi con grazia.
    “Non spaventarti giovane Umano, come puoi vedere non voglio arrecarti danno, ero semplicemente incuriosita dalla tua presenza in questo luogo. Ti osservo da un pò” disse la donna con voce calma e suadente.
    Il giovane si tranquillizzo, se prima quella voce l’aveva intimorito e spaventato, ora riusciva a farlo sentire a suo agio.
    “Mia Signora, cercavo solo un rifugio per la notte, un posto nascosto a occhi indiscreti”.
    “E’ buffo che proprio un Umano cerchi rifugio in questo luogo, ma non voglio indagare sul motivo che ti ha spinto ad entrarvi”.
    “Immagino che anche lei Signora si stia nascondendo da qualcosa se rimane qua”.
    “Questa un tempo era la mia dimora, la dimora degli ultimi discendenti della mia stirpe, la dimora della mia razza, il santuario di Alyssa, che ha abbandonato i suoi discepoli nel momento del bisogno, il luogo della caduta e il luogo del oblio di ogni cosa che un tempo fu, rimane solo questo altare come testimonianza, le cui iscrizioni non saranno mai comprese da nessuno” parlava con lo sguardo fisso sulla statua del guerriero adagiata sull’altare, nei suoi occhi si leggeva un infinita tristezza
    “Mi scusi Signora, credo di non aver capito, di che razza sta parlando? e di che stirp..”
    La donna lo interruppe, ora stava china sulla statua, le sue mani stavano su quelle incrociate che tenevano la spada, il suo sguardo ora guardava dentro a quell’elmo di pietra, attenta a quei lineamenti come se da un momento all’altro si sarebbero mossi.
    “E’ ancora bellissimo, dopo tutti questi anni” dopo una breve pausa, continuò
    “Ti ho visto interessato alle iscrizioni sull’altare, vuoi che te le legga o ne hai già carpito il significato?”
    “So leggere e scrivere a malapena mia Signora, non conosco questi caratteri”
    “Le iscrizioni recitano:

    Qui giace l’ultimo Conte discepolo della stirpe dei Draghi Sanguinari
    Konrad Von Carstein"
    Recitò quelle parole senza scostare lo sguardo dal viso della statua.
    “Signora lei conosceva questa persona?”
    “Un tempo era il mio Sire, colui che mi diede il maledetto Abbraccio, colui che mi costrinse a un esistenza di sofferenze, un esistenza senza emozioni”
    “E perché è ancora legata a questo luogo se quest’uomo le ha portato solo tristezza”
    “Io ero unita a lui da un vincolo maledetto, non provavo odio per lui, non provavo amore per lui, non ho mai odiato e non ho mai amato, agivo per soddisfarlo, agivo per continuare a esistere” dopo aver pronunciato queste parole si volse verso l’entrata e rimase a osservare l’oscurità impenetrabile del bosco ai confini della spoglia radura.
    “E perché non se ne và da questo luogo e comincia una nuova vita? Questo uomo è morto, ormai non la può costringere a fare nulla”
    “Una nuova vita” sussurrò; poi si interruppe come per meditare su quelle parole, fissando la nera boscaglia all’esterno della torre.
    “Una nuova vita…”

  • #2
    è veramente incantevole e pieno di significato, quasi quanto il mio :P

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    • #3
      bhe il fatto è che ci saranno anche molte imprecisioni letterarie, e errori nei verbi, non è stato semplice riscriverlo in italiano.

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      • #4
        era in francese il testo originario? bhe è cmq veramente bello

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        • #5
          si l'avevo scritta in francese, ma tempo fa.
          Cmq ho notato quelche errore qua e là ma vabbè

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