Era un freddo pomeriggio di gennaio e l'armata di Minax era in festa nella propria sede, in mezzo alla palude della desolazione. Le truppe del Concilio dei Maghi e della Squadra dei Falchi erano state battute, e Barracoon era stato sconfitto dai valorosi guerrieri in veste rossa, che si erano portati a casa la gloria e i tesori.
Ma quel giorno, qualcosa non andava. Stryder se ne accorse subito. Il giovane Ninja stava festeggiando assieme ai compagni sorseggiando una buona birra, quando scorse, sola, in un angolino, la magra figura di una guerriera dai lunghi capelli viola. Si trattava di Regan, sua tutrice per lunghi mesi, che aveva insegnato lui a combattere e lo aveva convinto ad unirsi alle forze armate di Minax. Nel mezzo della festa, Stryder si diresse verso la giovane, incuriosito dal quell' insolito atteggiamento: "Che hai Reg? Non sei la solita oggi...non sei felice di questa vittoria? hai combattuto bene..." La giovane stette qualche secondo in silenzio, poi alzò piano piano lo sguardo. Il volto era triste, e una malinconica luce illuminava i begli occhi castani striati di verde. La carnagione, solitamente illuminata dalla luce di un sorriso e dal torpore delle fatiche e, taltolta, dell'alcool, era quel giorno pallida e scarnita, vuota. "Non c'è più posto per me qui, Stryder" disse piano, con voce tremante "Non sono felice qui...". Stryder era perplesso. Quelle parole non si addicevano alla "sua" Regan, di solito così attiva e vivace. "Ma che cosa stai.." "Ti ricordi Stryder, i giorni che abbiamo passato insieme?" lo interruppe: "I tempi in cui eravamo nelle truppe di Algander, le giornate passate nelle terre di Malas? Ti ricordi quando vedesti per la prima volta un Cavaliere Demoniaco? Padre Nero lo chiamavamo...eheh...come eravamo ingenui...". Stryder non capiva cosa volesse dire la sua giovane tutrice, ma quelle parole lo stavano riportando in tempi lontani...troppo lontani...era bello cullarsi in quei ricordi, in quelle favole di due sognatori, alla ricerca di fama e gloria, di potenza e ricchezze: ma sopratutto di un profondo legame di amicizia, il più prezioso di tutti i tesori.
Stryder, con aria sognante, volse nuovamente lo sguardo sulla guerriera: una lacrima scorreva sulla pelle liscia e pallida.
I pensieri di Regan erano scuri e tristi. Erano giorni, ormai, che doveva fronteggiare una persona, una volta tornata a casa; una persona malvagia e disonesta, una persona che incarnava gli ideali in cui Regan non credeva, l'esempio da non imitare, la macchia nera in un oceano di bianco: quando lo guardava, Regan provava rabbia, ribrezzo, paura. Già, paura. Era forte quell'uomo, era spietato, e peggio ancora, era cosciente di esserlo. Centinaia di uomini erano caduti sotto le sue frecce: già era arciere, era stata proprio lei ad insegnarli ad usare l'arco così come gli aveva insegnato i puri e bianchi poteri dei paladini. Ma la bellezza di quelle arti, che Regan sempre aveva usato a fin di bene, era stata brutalmente macchiata da quell'uomo e dalla sua sete di sangue. Purtroppo, però, il destino l'aveva legata fin troppo stretta a quella persona: il destino ci manipola come burattini, ci fa credere nei sogni per poi cancellarli con un unico, letale, colpo alle spalle. E questo Regan lo sapeva fin troppo bene: quell'uomo si chiamava Vanadis, ed era suo fratello.
Cresciuti insieme, i due si erano sempre aiutati l'uno con l'altra. Vanadis era più giovane di Regan di 3 anni, e la sorella maggiore se ne era sempre presa cura, dando lui quell’affetto materno che i due non avevano (e non avrebbero) mai avuto. Regan aveva educato il fratello alla modestia e alla lealtà, senza trascurare le sue sensazionali doti acrobatiche e la sua incredibile destrezza. Una volta diventato diciassettenne, però, Vanadis sfuggì dal controllo della sorella maggiore: divenne testardo e disobbediente, decise addirittura di andarsene di casa, per cercare avventure e gloria senza l’ausilio di nessuno. Fu in quel periodo che Regan, sola e triste, decise di mettersi in gioco e andare anch’essa in cerca di avventure, avventure che la avrebbero fatta diventare ricca e famosa in tutta Sosaria. Non fu lo stesso per Vanadis, il quale, sconfitto nel proprio ego e ridotto a possedere nient’altro che la propria anima, decise di tornare dalla sorella, circa 2 anni dopo la sua partenza. Quando lo vide, Regan nemmeno lo riconobbe, ma una volta capito che quello era suo fratello, decise di prenderlo nuovamente sotto la sua ala: “Ho imparato la lezione” disse Vanadis “Giuro che non ti abbandonerò più e seguirò le tue tracce. Per sempre.” A quelle parole, l’emotiva e sempre ingenua Regan scoppiò in lacrime, abbracciando il ritrovato fratello. Donò lui una buona armatura e gli archi migliori che aveva, credendo di averlo ritrovato veramente. Ma ancora Vanadis non aveva rivelato il suo terribile segreto. Pochi giorni dopo, infatti, Vanadis tornò a casa con uno strano ghigno stampato sulla faccia: “Cos’è quella faccia?” chiese Regan sorridendo “Hai forse ucciso quattro Viverne Ancestrali da solo?” Quanto non avrebbe mai aver sentito la risposta. E quanto, soprattutto, non avrebbe mai voluto vedere quello che stava per vedere…Vanadis sfoderò la risata più maligna che Regan avesse mai visto e dal mantello nero tirò fuori cinque teste, le teste degli innocenti che aveva massacrato personalmente.
Regan inorridì. Anche lei aveva ucciso, aveva ucciso tanti uomini, ma in battaglie leali, sapendo che se non avesse ucciso lei per prima, sarebbe stata la fine. Lo aveva fatto per l’onore e la gloria di Minax. Ma adesso suo fratello, il suo adorato fratello Vanadis, aveva ucciso, ucciso senza pietà. E lo avrebbe fatto ancora, e ancora e ancora. Nessuno l’avrebbe potuto fermare. Ma non era finita lì. Le parole che seguirono furono ancora più truci: “Ho conosciuto i tuoi amichetti…i Minax….” disse Vanadis “Non sembrano poi così giusti come li definisci tu, sorellina…” Regan deglutì, tesa. “Lascia che mi unisca a loro” continuò Vanadis “Lascia che sia io a combattere, lasciami la gloria che non ho mai avuto…”
Regan cercò di tranquillizzarsi, di frenare le lacrime che stavano per scendere copiose dai suoi begli occhi. Fatto ciò, rispose piano: “No Vanadis…le norme della fazione sono chiare…due consanguinei non possono combattere per la stessa fazione…è un reato…non” “E allora vattene. Lasciami il posto. Tu ormai hai avuto ciò che volevi, hai avuto fama, gloria, potenza. Ma adesso basta: abbandona la fazione. Lasciami combattere, lasciami uccidere…lascia che io viva…e che sia ciò che sono nato per essere…” a quelle parole, la tristezza di Regan divenne furia, rabbia, disprezzo: “Che cosa sei nato per essere Vanadis? Che cosa? Un assassino? Un adepto del male? No Vanadis, non ti lascerò compiere questa follia!” esclamò rabbiosa. “Sei tu che parli, sorella? Tu, che per anni hai seguito le orme dei soldati di Minax, dei suoi assassini, dei suoi sicari. Pensa Regan, tu gli hai visti uccidere, li hai visti massacrare decine di avventurieri innocenti e cosa hai fatto tu, eh? Ti sei limitata a nasconderti dietro un velo di silenzio, dietro a un muro di impassibilità, laggiù, nell’ombra del tuo inconscio…non posso essere anche io come loro? Non posso?! Dimmelo chiaramente!! Non posso??!!” Quelle poche parole bastarono. Le lacrime di rabbia scendevano numerose lungo le guance della guerriera: “Basta! Stai zitto!” Gridò mentre, infuriata, mollava un pugno in pieno volto al fratello, che cadde rovinosamente in terra. Regan si pentì immediatamente del gesto. Nella sua bontà di paladina e, soprattutto, di sorella, quel gesto risuonò come il fragore di un martello che si fracassa su uno scudo, nel pieno furore della battaglia. Vanadis si alzò, tastandosi il naso con la mano: sangue. “Le mie parole per te sono state molto più dolorose di un pugno, sorellina” disse, tenendo lo sguardo basso “Possa questa notte portarti consiglio…ci vediamo…” Uscì dalla casa lasciando la sorella avvolta nella sua disperazione, inginocchiata sul pavimento di marmo bianco macchiato da sangue…e lacrime.
Quella notte, e le notti successive, portarono solo tormenti nella testa di Regan: cinque, lunghe, notti insonni, sola, senza Vanadis. Chissà dov’era in quel momento suo fratello…solo, ferito…colpevole...già…colpevole…ma non era forse anche lei colpevole? Non si era forse veramente nascosta dietro quel velo di silenzio annunciato da Vanadis? Lei, da sempre giusta e pura nell’animo, avrebbe potuto mai sopportare la colpa più grande che affligge l’uomo, ovvero il silenzio? No…era vero…Vanadis aveva ragione…era vero…era lei la vera colpevole, e adesso doveva purificarsi. Fu così che nel mezzo della quinta notte prese la propria decisione: il giorno seguente, al momento più opportuno, avrebbe abbandonato la fazione dei Minax, e avrebbe lasciato il posto a suo fratello.
Ma quel giorno, qualcosa non andava. Stryder se ne accorse subito. Il giovane Ninja stava festeggiando assieme ai compagni sorseggiando una buona birra, quando scorse, sola, in un angolino, la magra figura di una guerriera dai lunghi capelli viola. Si trattava di Regan, sua tutrice per lunghi mesi, che aveva insegnato lui a combattere e lo aveva convinto ad unirsi alle forze armate di Minax. Nel mezzo della festa, Stryder si diresse verso la giovane, incuriosito dal quell' insolito atteggiamento: "Che hai Reg? Non sei la solita oggi...non sei felice di questa vittoria? hai combattuto bene..." La giovane stette qualche secondo in silenzio, poi alzò piano piano lo sguardo. Il volto era triste, e una malinconica luce illuminava i begli occhi castani striati di verde. La carnagione, solitamente illuminata dalla luce di un sorriso e dal torpore delle fatiche e, taltolta, dell'alcool, era quel giorno pallida e scarnita, vuota. "Non c'è più posto per me qui, Stryder" disse piano, con voce tremante "Non sono felice qui...". Stryder era perplesso. Quelle parole non si addicevano alla "sua" Regan, di solito così attiva e vivace. "Ma che cosa stai.." "Ti ricordi Stryder, i giorni che abbiamo passato insieme?" lo interruppe: "I tempi in cui eravamo nelle truppe di Algander, le giornate passate nelle terre di Malas? Ti ricordi quando vedesti per la prima volta un Cavaliere Demoniaco? Padre Nero lo chiamavamo...eheh...come eravamo ingenui...". Stryder non capiva cosa volesse dire la sua giovane tutrice, ma quelle parole lo stavano riportando in tempi lontani...troppo lontani...era bello cullarsi in quei ricordi, in quelle favole di due sognatori, alla ricerca di fama e gloria, di potenza e ricchezze: ma sopratutto di un profondo legame di amicizia, il più prezioso di tutti i tesori.
Stryder, con aria sognante, volse nuovamente lo sguardo sulla guerriera: una lacrima scorreva sulla pelle liscia e pallida.
I pensieri di Regan erano scuri e tristi. Erano giorni, ormai, che doveva fronteggiare una persona, una volta tornata a casa; una persona malvagia e disonesta, una persona che incarnava gli ideali in cui Regan non credeva, l'esempio da non imitare, la macchia nera in un oceano di bianco: quando lo guardava, Regan provava rabbia, ribrezzo, paura. Già, paura. Era forte quell'uomo, era spietato, e peggio ancora, era cosciente di esserlo. Centinaia di uomini erano caduti sotto le sue frecce: già era arciere, era stata proprio lei ad insegnarli ad usare l'arco così come gli aveva insegnato i puri e bianchi poteri dei paladini. Ma la bellezza di quelle arti, che Regan sempre aveva usato a fin di bene, era stata brutalmente macchiata da quell'uomo e dalla sua sete di sangue. Purtroppo, però, il destino l'aveva legata fin troppo stretta a quella persona: il destino ci manipola come burattini, ci fa credere nei sogni per poi cancellarli con un unico, letale, colpo alle spalle. E questo Regan lo sapeva fin troppo bene: quell'uomo si chiamava Vanadis, ed era suo fratello.
Cresciuti insieme, i due si erano sempre aiutati l'uno con l'altra. Vanadis era più giovane di Regan di 3 anni, e la sorella maggiore se ne era sempre presa cura, dando lui quell’affetto materno che i due non avevano (e non avrebbero) mai avuto. Regan aveva educato il fratello alla modestia e alla lealtà, senza trascurare le sue sensazionali doti acrobatiche e la sua incredibile destrezza. Una volta diventato diciassettenne, però, Vanadis sfuggì dal controllo della sorella maggiore: divenne testardo e disobbediente, decise addirittura di andarsene di casa, per cercare avventure e gloria senza l’ausilio di nessuno. Fu in quel periodo che Regan, sola e triste, decise di mettersi in gioco e andare anch’essa in cerca di avventure, avventure che la avrebbero fatta diventare ricca e famosa in tutta Sosaria. Non fu lo stesso per Vanadis, il quale, sconfitto nel proprio ego e ridotto a possedere nient’altro che la propria anima, decise di tornare dalla sorella, circa 2 anni dopo la sua partenza. Quando lo vide, Regan nemmeno lo riconobbe, ma una volta capito che quello era suo fratello, decise di prenderlo nuovamente sotto la sua ala: “Ho imparato la lezione” disse Vanadis “Giuro che non ti abbandonerò più e seguirò le tue tracce. Per sempre.” A quelle parole, l’emotiva e sempre ingenua Regan scoppiò in lacrime, abbracciando il ritrovato fratello. Donò lui una buona armatura e gli archi migliori che aveva, credendo di averlo ritrovato veramente. Ma ancora Vanadis non aveva rivelato il suo terribile segreto. Pochi giorni dopo, infatti, Vanadis tornò a casa con uno strano ghigno stampato sulla faccia: “Cos’è quella faccia?” chiese Regan sorridendo “Hai forse ucciso quattro Viverne Ancestrali da solo?” Quanto non avrebbe mai aver sentito la risposta. E quanto, soprattutto, non avrebbe mai voluto vedere quello che stava per vedere…Vanadis sfoderò la risata più maligna che Regan avesse mai visto e dal mantello nero tirò fuori cinque teste, le teste degli innocenti che aveva massacrato personalmente.
Regan inorridì. Anche lei aveva ucciso, aveva ucciso tanti uomini, ma in battaglie leali, sapendo che se non avesse ucciso lei per prima, sarebbe stata la fine. Lo aveva fatto per l’onore e la gloria di Minax. Ma adesso suo fratello, il suo adorato fratello Vanadis, aveva ucciso, ucciso senza pietà. E lo avrebbe fatto ancora, e ancora e ancora. Nessuno l’avrebbe potuto fermare. Ma non era finita lì. Le parole che seguirono furono ancora più truci: “Ho conosciuto i tuoi amichetti…i Minax….” disse Vanadis “Non sembrano poi così giusti come li definisci tu, sorellina…” Regan deglutì, tesa. “Lascia che mi unisca a loro” continuò Vanadis “Lascia che sia io a combattere, lasciami la gloria che non ho mai avuto…”
Regan cercò di tranquillizzarsi, di frenare le lacrime che stavano per scendere copiose dai suoi begli occhi. Fatto ciò, rispose piano: “No Vanadis…le norme della fazione sono chiare…due consanguinei non possono combattere per la stessa fazione…è un reato…non” “E allora vattene. Lasciami il posto. Tu ormai hai avuto ciò che volevi, hai avuto fama, gloria, potenza. Ma adesso basta: abbandona la fazione. Lasciami combattere, lasciami uccidere…lascia che io viva…e che sia ciò che sono nato per essere…” a quelle parole, la tristezza di Regan divenne furia, rabbia, disprezzo: “Che cosa sei nato per essere Vanadis? Che cosa? Un assassino? Un adepto del male? No Vanadis, non ti lascerò compiere questa follia!” esclamò rabbiosa. “Sei tu che parli, sorella? Tu, che per anni hai seguito le orme dei soldati di Minax, dei suoi assassini, dei suoi sicari. Pensa Regan, tu gli hai visti uccidere, li hai visti massacrare decine di avventurieri innocenti e cosa hai fatto tu, eh? Ti sei limitata a nasconderti dietro un velo di silenzio, dietro a un muro di impassibilità, laggiù, nell’ombra del tuo inconscio…non posso essere anche io come loro? Non posso?! Dimmelo chiaramente!! Non posso??!!” Quelle poche parole bastarono. Le lacrime di rabbia scendevano numerose lungo le guance della guerriera: “Basta! Stai zitto!” Gridò mentre, infuriata, mollava un pugno in pieno volto al fratello, che cadde rovinosamente in terra. Regan si pentì immediatamente del gesto. Nella sua bontà di paladina e, soprattutto, di sorella, quel gesto risuonò come il fragore di un martello che si fracassa su uno scudo, nel pieno furore della battaglia. Vanadis si alzò, tastandosi il naso con la mano: sangue. “Le mie parole per te sono state molto più dolorose di un pugno, sorellina” disse, tenendo lo sguardo basso “Possa questa notte portarti consiglio…ci vediamo…” Uscì dalla casa lasciando la sorella avvolta nella sua disperazione, inginocchiata sul pavimento di marmo bianco macchiato da sangue…e lacrime.
Quella notte, e le notti successive, portarono solo tormenti nella testa di Regan: cinque, lunghe, notti insonni, sola, senza Vanadis. Chissà dov’era in quel momento suo fratello…solo, ferito…colpevole...già…colpevole…ma non era forse anche lei colpevole? Non si era forse veramente nascosta dietro quel velo di silenzio annunciato da Vanadis? Lei, da sempre giusta e pura nell’animo, avrebbe potuto mai sopportare la colpa più grande che affligge l’uomo, ovvero il silenzio? No…era vero…Vanadis aveva ragione…era vero…era lei la vera colpevole, e adesso doveva purificarsi. Fu così che nel mezzo della quinta notte prese la propria decisione: il giorno seguente, al momento più opportuno, avrebbe abbandonato la fazione dei Minax, e avrebbe lasciato il posto a suo fratello.
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