Gods of Dawn
Era ormai notte fonda ma nel maniero di Usgoroth-Keep la debole luce di una candela a mala pena riusciva a rischiarare la notte insonne del barone Soth. Egli soleva, come tutte le notti, da quando sua moglie e i suoi figli erano stati assassinati durante un attacco di briganti locali alla carrozza che li stava portando in visita ai genitori di lei, misurare i passi che portavano da una parte all’altra del proprio studio, calpestando l’oramai sdrucito tappeto emblema di uno splendore che il castello aveva perduto da anni, meditando sulle carte lasciategli da suo padre e dai suoi antenati. Erano passati infatti molti anni ormai, e gli studi erano diventati per il barone l’unica ragione di vita, tali incartamenti narravano di un antico rituale denominato “nuova alba”. Soth inizialmente aveva trovato serie difficoltà nello studio vuoi perché scritti in una lingua a lui sconosciuta vuoi perché non si era mai interessato di magia eppure continuava a studiare poiché aggrappato alla leggenda secondo cui il compimento del rituale avrebbe portato la pace e la giustizia nel mondo. Andando avanti con lo studio, da una parte della lingua e dall’altra del rituale stesso, realizzò ben presto quali fossero i reali effetti: un nuovo “diluvio universale” ma ciò che scorrerà a fiumi non sarà acqua bensì sangue, il sangue dei malfattori, degli assassini e dei ladri e che quelli che le antiche pergamene nominavano come “Dei dell’Alba” non erano veri Dei ma piuttosto “eletti”, “prescelti”; coloro che portavano nel cuore una delle leggendarie “chiavi dell’alba”. Il barone imparò dagli scritti a riconoscerli ed essi lo avrebbero seguito poiché il destino stesso li aveva scelti per dominare Sosaria dopo la rinascita, un’utopia realizzabile grazie al rituale. - Gunther! - esclamò il barone ad un tratto appellandosi al vecchio maggiordomo, uno dei pochi servitori rimastigli fedeli – fai sellare il mio miglior cavallo, parto alla ricerca degli Dei dell’Alba -
Era ormai notte fonda ma nel maniero di Usgoroth-Keep la debole luce di una candela a mala pena riusciva a rischiarare la notte insonne del barone Soth. Egli soleva, come tutte le notti, da quando sua moglie e i suoi figli erano stati assassinati durante un attacco di briganti locali alla carrozza che li stava portando in visita ai genitori di lei, misurare i passi che portavano da una parte all’altra del proprio studio, calpestando l’oramai sdrucito tappeto emblema di uno splendore che il castello aveva perduto da anni, meditando sulle carte lasciategli da suo padre e dai suoi antenati. Erano passati infatti molti anni ormai, e gli studi erano diventati per il barone l’unica ragione di vita, tali incartamenti narravano di un antico rituale denominato “nuova alba”. Soth inizialmente aveva trovato serie difficoltà nello studio vuoi perché scritti in una lingua a lui sconosciuta vuoi perché non si era mai interessato di magia eppure continuava a studiare poiché aggrappato alla leggenda secondo cui il compimento del rituale avrebbe portato la pace e la giustizia nel mondo. Andando avanti con lo studio, da una parte della lingua e dall’altra del rituale stesso, realizzò ben presto quali fossero i reali effetti: un nuovo “diluvio universale” ma ciò che scorrerà a fiumi non sarà acqua bensì sangue, il sangue dei malfattori, degli assassini e dei ladri e che quelli che le antiche pergamene nominavano come “Dei dell’Alba” non erano veri Dei ma piuttosto “eletti”, “prescelti”; coloro che portavano nel cuore una delle leggendarie “chiavi dell’alba”. Il barone imparò dagli scritti a riconoscerli ed essi lo avrebbero seguito poiché il destino stesso li aveva scelti per dominare Sosaria dopo la rinascita, un’utopia realizzabile grazie al rituale. - Gunther! - esclamò il barone ad un tratto appellandosi al vecchio maggiordomo, uno dei pochi servitori rimastigli fedeli – fai sellare il mio miglior cavallo, parto alla ricerca degli Dei dell’Alba -
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