L'avevo postata come reply in un altro topic ed in un'altra sezione ma mi sembra duopo riportarla anche qui.
E'la storia del mio PG Kaiser Souze, nato come semplice fabbro, diventato prode cavaliere di un piccolo impero e morto in gloria. Vi avverto che è molto romanzata, specie verso la fine.
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Ricordo ancora la prima volta che giunsi su Trammel, nelle terre di Lord British, col piccone in spalla ed un sacco vuoto nella mano sinistra. Sacco che ben presto speravo di riempire d'oro. Purtroppo, scavando e scavando, scoprii che trovare l'oro non era cosa così semplice: la roccia era dura, le mani piene di calli ed il sole cocente bruciava la mia pelle sino al tramonto. Le cose migliorarono quando finalmente raccimolai abbastanza soldi da comprarmi uno scarafaggio gigante addomesticato (il minerale grezzo pesa ragazzi, lasciatevelo dire...). Col tempo velocizzai il mio lavoro perfezionando la mia tecnica. Scrissi anche due libri, riportando tutto ciò che avevo appreso della mia arte:
Il Minatore: un mestiere per matematici (Prima e Seconda Edizione)
e Scava che ti passa! (un trattato meta-filosofico sull'indipendenza dell'uomo raggiunta tramite il proprio piccone)
Oltre a queste due piccole opere letterarie (che ahimè non riscossero abbastanza successo, tant'è che i miei colleghi della miniera cominciarono a prendersi gioco di me, dandomi del ciarlatano) pubblicai anche una mappa geologica completa delle zone montuose e miniere più ambite dai minatori di tutto il regno. Anche qui, però, la fortuna mi voltò le spalle e ben presto divenne arduo per me trovare un angolino con ancora qualche pepita da scavare.
Decisi dunque di mettere via il piccone per tempi migliori e andai in cerca di un nuovo lavoro. L'occasione si presentò quando incontrai il gentile fabbro di Haven. Egli mi disse: "ragazzo... come te la cavi a battere il ferro?". Io non l'avevo mai fatto prima ma conoscevo bene la materia prima, così accettai la sua prima proposta di lavoro (nulla di impegnativo: dovevo solo produrre una decina di pantaloni di maglia di ferro). Guadagnai un po'di soldi e scoprii che mi piaceva battere il ferro.
Da allora accettai diversi lavori, completandoli tutti con diligenza. Negli anni passati avevo scavato così tanto minerale che mi sarebbe stato sufficiente per ancora diversi anni. La mia nuova vita mi piaceva: battevo forte il mio martello contro la lamina metallica incandescente e ne apprezzavo ogni singola scintilla. Mi piacevano quelle scintille: mi facevano sentire vivo. Divenni tanto bravo che ben presto il fabbro smise di pagarmi con semplice oro: mi fornì infatti diversi martelli runici, grazie ai quali forgiai armi e armature magiche che, forse, tuttora qualcuno di voi sta utilizzando.
Ma i tempi cambiano e ben presto mi rendo conto che il semplice battere il ferro non mi soddisfa più. Decido di cambiare vita una volta per tutte. Prendo il mio martello runico d'oro e tutti i miei lingotti di Valorite e Verite. Passo giorni, chiuso nella mia officina a creare. Infine me ne esco con le mani distrutte, il martello ormai consumato ed un carro pieno di armamentari nuovi di zecca. Prendo dal carro un'armatura mista: ha pezzi di piastre, di maglia e ad anelli, di Verite e Valorite. La indosso, il metallo è freddo ma leggero e la sua superficie risplende, ricca del potere magico influssogli dal martello. Poi raccolgo l'unico oggetto ancora rimasto sul carro: una spada di Valorite. La punto verso il cielo, gridando le seguenti parole: "Celebruin, fiamma d'argento! Ora tu nasci per servirmi del tuo magnifico potere!".
Mesi e anni di duro addestramento mi attendevano. Diventai un guerriero tanto forte da sorprendere persino me stesso. Uccisi il mio primo drago che avevo solo 25 anni, con Celebruin ancora perfettamente integra, come quando l'avevo forgiata. Le mie indiscusse doti di gran combattente e di superbo fabbro (la cui professione avevo continuato a praticare, giusto per tenermi in esercizio), mi facilitarono l'entrata in una piccola gilda ma in via di rapida espansione. Nei primi tempi vengo rispettato: tutti mi salutano con ossequi e lusinghe e nei duelli vinco sempre io. Persino l'imperatore della gilda teme la mia forza distruttiva ma la spada che impugna valorosamente contro i nemici più forti reca inciso il mio nome, così anche lui sa di dovermi portare rispetto.
Ma un'ombra si erge a poco a poco alle mie spalle, senza che io la veda. Alcune misteriose morti e furti all'interno della gilda mettono tutti in guardia: qualcuno di indesiderato e terribilmente potente è entrato in gilda prendendo il posto di qualcun altro. La situazione si complica: tutti cominciano a guardarsi alle proprie spalle e l'atmosfera goliardica che un tempo si respirava in gilda presto scema a lasciar spazio all'angoscia e alla paranoia: nessuno si fida più di nessuno e l'imperatore è costretto a inventarsi un capro espiatorio per calmare le acque. La vittima, inutile dirlo, sono proprio io.
Vengo cacciato a malo modo dalla gilda. Girandomi indietro a rimirare il castello un'ultima volta, vedo sopra le sue mura il volto dell'imperatore che mi osserva. Le sue labbra si contraggono in un sorriso malefico, prima di sparire dietro le mura, così finalmente capisco: "ecco il colpevole, dunque...".
Passano altri mesi. Mi ritiro in contemplazione sulle montagne, cibandomi di carne di topo e bevendo neve scongelata. A poco a poco un sentimento di vendetta mi pervade, facendo emergere in me un lato oscuro che ancora non conoscevo.
Il desiderio di giustizia è tanto. Vesto l'armatura che da i più incandescenti soffi del drago mi ha difeso negli anni passati ed impugno Celebruin. Salgo infine in sella al mio Scarafaggio, unico compagno di sempre, e cavalco verso il castello, in cerca della sfida finale.
Giungo dopo settimane di peregrinaggio, infine, sotto le mura. Urlo il nome dell'imperatore, la spada sguainata. Ma egli non risponde. Solo allora noto che il castello non è più splendente come l'avevo lasciato, bensì logoro e sporco, come se nessuno se ne occupasse da diverso tempo.
Butto giù la porta, salgo le scale, sino ad entrare nella sala del trono. Seduto su di esso trovo un vecchio, magro e malnutrito, con in testa una corona troppo pesante per lui e sul fianco una spada che reca il mio nome. L'imperatore.
Imperatore: "sei infine giunto alla tua culla, Souze. Ti aspettavo..."
Io: "Risparmia il fiato vecchio demone, perchè tra poco te ne priverò. Per sempre!"
Avanzo lentamente verso la mia nemesi.
Imperatore: "così è questa la fine di questo povero vecchio. Abbandonato dai suoi sudditi; e ora costretto a fare i conti col proprio unico figlio!"
Mi aresto.
Io: "cosa hai detto?!"
Imperatore: "non ha più importanza, figliuolo. Il demone che era in me si è infine arreso. Ha abbandonato il mio corpo, lasciandolo preda della fine imminente."
Io: "fine? Ma di che stai parlando?! Dove sono tutti?!!!"
Imperatore: "scappati. L'altro ieri. L'esercito del barone rosso sta per invadere. Forse fai ancora in tempo ad andartene se ti è cara la vita..."
Io: "..."
Imperatore: "Non indugiare, figlio mio! Scappa e non voltarti indietro! Questo tuo vecchio imperatore morirà come vuole la tradizione cavalleresca: in sella al suo prode purosangue caricando verso il nemico per una fine gloriosa!"
Mi volto, con le lacrime agli occhi. Giunsi sino a qui credendo di trovare giustizia, invece ritrovai un padre che non avevo mai incontrato prima.
Io: "addio, padre."
Parto al galoppo, scendo le scale, sin fuori dal castello. Ma la mia corsa ben presto si arresta: davanti a me un esercito di 200 cavalieri in armatura rossa come il sangue sguainano le spade, pronti alla battaglia.
Io: "in sella al suo prode purosangue caricando verso il nemico per una fine gloriosa... Per l'imperatore!!!!!!!! Morte al nemico!!!"
Da quella battaglia, certo, non uscii vivo. Molti morirono sotto i miei colpi, sotto i colpi della mia amata Celebruin. Ora vago nel mondo sotto forma di fantasma, in cerca di mio padre. E se anche voi siete prodi e valorosi cavalieri, non piangete la mia morte ma glorificatela con le vostre lame, nel nome dell'Imperatore.
E'la storia del mio PG Kaiser Souze, nato come semplice fabbro, diventato prode cavaliere di un piccolo impero e morto in gloria. Vi avverto che è molto romanzata, specie verso la fine.
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Ricordo ancora la prima volta che giunsi su Trammel, nelle terre di Lord British, col piccone in spalla ed un sacco vuoto nella mano sinistra. Sacco che ben presto speravo di riempire d'oro. Purtroppo, scavando e scavando, scoprii che trovare l'oro non era cosa così semplice: la roccia era dura, le mani piene di calli ed il sole cocente bruciava la mia pelle sino al tramonto. Le cose migliorarono quando finalmente raccimolai abbastanza soldi da comprarmi uno scarafaggio gigante addomesticato (il minerale grezzo pesa ragazzi, lasciatevelo dire...). Col tempo velocizzai il mio lavoro perfezionando la mia tecnica. Scrissi anche due libri, riportando tutto ciò che avevo appreso della mia arte:
Il Minatore: un mestiere per matematici (Prima e Seconda Edizione)
e Scava che ti passa! (un trattato meta-filosofico sull'indipendenza dell'uomo raggiunta tramite il proprio piccone)
Oltre a queste due piccole opere letterarie (che ahimè non riscossero abbastanza successo, tant'è che i miei colleghi della miniera cominciarono a prendersi gioco di me, dandomi del ciarlatano) pubblicai anche una mappa geologica completa delle zone montuose e miniere più ambite dai minatori di tutto il regno. Anche qui, però, la fortuna mi voltò le spalle e ben presto divenne arduo per me trovare un angolino con ancora qualche pepita da scavare.
Decisi dunque di mettere via il piccone per tempi migliori e andai in cerca di un nuovo lavoro. L'occasione si presentò quando incontrai il gentile fabbro di Haven. Egli mi disse: "ragazzo... come te la cavi a battere il ferro?". Io non l'avevo mai fatto prima ma conoscevo bene la materia prima, così accettai la sua prima proposta di lavoro (nulla di impegnativo: dovevo solo produrre una decina di pantaloni di maglia di ferro). Guadagnai un po'di soldi e scoprii che mi piaceva battere il ferro.
Da allora accettai diversi lavori, completandoli tutti con diligenza. Negli anni passati avevo scavato così tanto minerale che mi sarebbe stato sufficiente per ancora diversi anni. La mia nuova vita mi piaceva: battevo forte il mio martello contro la lamina metallica incandescente e ne apprezzavo ogni singola scintilla. Mi piacevano quelle scintille: mi facevano sentire vivo. Divenni tanto bravo che ben presto il fabbro smise di pagarmi con semplice oro: mi fornì infatti diversi martelli runici, grazie ai quali forgiai armi e armature magiche che, forse, tuttora qualcuno di voi sta utilizzando.
Ma i tempi cambiano e ben presto mi rendo conto che il semplice battere il ferro non mi soddisfa più. Decido di cambiare vita una volta per tutte. Prendo il mio martello runico d'oro e tutti i miei lingotti di Valorite e Verite. Passo giorni, chiuso nella mia officina a creare. Infine me ne esco con le mani distrutte, il martello ormai consumato ed un carro pieno di armamentari nuovi di zecca. Prendo dal carro un'armatura mista: ha pezzi di piastre, di maglia e ad anelli, di Verite e Valorite. La indosso, il metallo è freddo ma leggero e la sua superficie risplende, ricca del potere magico influssogli dal martello. Poi raccolgo l'unico oggetto ancora rimasto sul carro: una spada di Valorite. La punto verso il cielo, gridando le seguenti parole: "Celebruin, fiamma d'argento! Ora tu nasci per servirmi del tuo magnifico potere!".
Mesi e anni di duro addestramento mi attendevano. Diventai un guerriero tanto forte da sorprendere persino me stesso. Uccisi il mio primo drago che avevo solo 25 anni, con Celebruin ancora perfettamente integra, come quando l'avevo forgiata. Le mie indiscusse doti di gran combattente e di superbo fabbro (la cui professione avevo continuato a praticare, giusto per tenermi in esercizio), mi facilitarono l'entrata in una piccola gilda ma in via di rapida espansione. Nei primi tempi vengo rispettato: tutti mi salutano con ossequi e lusinghe e nei duelli vinco sempre io. Persino l'imperatore della gilda teme la mia forza distruttiva ma la spada che impugna valorosamente contro i nemici più forti reca inciso il mio nome, così anche lui sa di dovermi portare rispetto.
Ma un'ombra si erge a poco a poco alle mie spalle, senza che io la veda. Alcune misteriose morti e furti all'interno della gilda mettono tutti in guardia: qualcuno di indesiderato e terribilmente potente è entrato in gilda prendendo il posto di qualcun altro. La situazione si complica: tutti cominciano a guardarsi alle proprie spalle e l'atmosfera goliardica che un tempo si respirava in gilda presto scema a lasciar spazio all'angoscia e alla paranoia: nessuno si fida più di nessuno e l'imperatore è costretto a inventarsi un capro espiatorio per calmare le acque. La vittima, inutile dirlo, sono proprio io.
Vengo cacciato a malo modo dalla gilda. Girandomi indietro a rimirare il castello un'ultima volta, vedo sopra le sue mura il volto dell'imperatore che mi osserva. Le sue labbra si contraggono in un sorriso malefico, prima di sparire dietro le mura, così finalmente capisco: "ecco il colpevole, dunque...".
Passano altri mesi. Mi ritiro in contemplazione sulle montagne, cibandomi di carne di topo e bevendo neve scongelata. A poco a poco un sentimento di vendetta mi pervade, facendo emergere in me un lato oscuro che ancora non conoscevo.
Il desiderio di giustizia è tanto. Vesto l'armatura che da i più incandescenti soffi del drago mi ha difeso negli anni passati ed impugno Celebruin. Salgo infine in sella al mio Scarafaggio, unico compagno di sempre, e cavalco verso il castello, in cerca della sfida finale.
Giungo dopo settimane di peregrinaggio, infine, sotto le mura. Urlo il nome dell'imperatore, la spada sguainata. Ma egli non risponde. Solo allora noto che il castello non è più splendente come l'avevo lasciato, bensì logoro e sporco, come se nessuno se ne occupasse da diverso tempo.
Butto giù la porta, salgo le scale, sino ad entrare nella sala del trono. Seduto su di esso trovo un vecchio, magro e malnutrito, con in testa una corona troppo pesante per lui e sul fianco una spada che reca il mio nome. L'imperatore.
Imperatore: "sei infine giunto alla tua culla, Souze. Ti aspettavo..."
Io: "Risparmia il fiato vecchio demone, perchè tra poco te ne priverò. Per sempre!"
Avanzo lentamente verso la mia nemesi.
Imperatore: "così è questa la fine di questo povero vecchio. Abbandonato dai suoi sudditi; e ora costretto a fare i conti col proprio unico figlio!"
Mi aresto.
Io: "cosa hai detto?!"
Imperatore: "non ha più importanza, figliuolo. Il demone che era in me si è infine arreso. Ha abbandonato il mio corpo, lasciandolo preda della fine imminente."
Io: "fine? Ma di che stai parlando?! Dove sono tutti?!!!"
Imperatore: "scappati. L'altro ieri. L'esercito del barone rosso sta per invadere. Forse fai ancora in tempo ad andartene se ti è cara la vita..."
Io: "..."
Imperatore: "Non indugiare, figlio mio! Scappa e non voltarti indietro! Questo tuo vecchio imperatore morirà come vuole la tradizione cavalleresca: in sella al suo prode purosangue caricando verso il nemico per una fine gloriosa!"
Mi volto, con le lacrime agli occhi. Giunsi sino a qui credendo di trovare giustizia, invece ritrovai un padre che non avevo mai incontrato prima.
Io: "addio, padre."
Parto al galoppo, scendo le scale, sin fuori dal castello. Ma la mia corsa ben presto si arresta: davanti a me un esercito di 200 cavalieri in armatura rossa come il sangue sguainano le spade, pronti alla battaglia.
Io: "in sella al suo prode purosangue caricando verso il nemico per una fine gloriosa... Per l'imperatore!!!!!!!! Morte al nemico!!!"
Da quella battaglia, certo, non uscii vivo. Molti morirono sotto i miei colpi, sotto i colpi della mia amata Celebruin. Ora vago nel mondo sotto forma di fantasma, in cerca di mio padre. E se anche voi siete prodi e valorosi cavalieri, non piangete la mia morte ma glorificatela con le vostre lame, nel nome dell'Imperatore.
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