La scoperta, nella remota zona di Nimu, provincia si Sichuan, confinante con le montagne di Bayan Kara Ula oggi ribattezzata Bayan Har Shan, di un ceppo di circa trecento individui non classificabili etnologicamente, riporta alla ribalta la vicenda dei cosiddetti "dischi elettrici".
Sembra si tratti di una minoranza etnica composta da individui non più alti di un metro e trenta, che parla una lingua sconosciuta e incomprensibile, installatasi in un accampamento situato all'interno di un'antichissima foresta, a circa 5.000 metri di altitudine.
Manufatti, mummie e antichissime conoscenze tecnologiche e scientifiche, quali volani senza attrito, troppo avanzati per la loro epoca, danno vita ad un "elettrizzante giallo cinese".
Qui di seguito le notizie raccolte, insieme ad un amico, in anni di indagini su quella vicenda che è stata sempre definita da tutti un buon racconto di fantascienza e che, al contrario, rivela un "cover-up" in piena regola, tanto da considerare la storia degna di un "X-files".
GRANDI CRANI E GRANDI OCCHI
La divulgazione di questo caso si deve al giornalista austriaco Peter Krassa, in collaborazione con il collega tedesco Hartwig Hausdorf; il loro punto di partenza fu un articolo in cui, per la prima volta, si era parlato dei cosiddetti "piatti di pietra", sulla base di una relazione stilata da un ricercatore inglese. Questi, nel 1947, riuscì a penetrare nella zona, scoprendo come l'archeologo cinese Chi Pu Tei avesse rinvenuto nel 1937, nelle caverne del massiccio di Bayan Kara Ula, 716 tombe, al cui interno giacevano resti di esseri con caratteristiche anatomiche non comuni.
Il cranio provvisto di cavità oculari molto larghe, si presentava enorme e molto sproporzionato rispetto all'esile corpo, non più lungo di un metro e trenta, e con delle braccia lunghissime.
A colpo d'occhio le spoglie furono credute appartenenti ad una specie di scimmia, ma oltre a non poter pensare che delle scimmie operassero sepolture simili, vennero ritrovati, in ogni tomba, dischi di pietra con un foro centrale da cui iniziava, per finire all'orlo, in forma di spirale, un doppio solco di incisioni e simboli ritenuti una forma di scrittura sconosciuta.
Inoltre, sulle pareti delle caverne, l'archeologo si ritrovò stupito a contemplare alcune pitture raffiguranti il sole, la luna e le stelle. Tra loro dei punti, simili a piselli, discendevano verso le montagne e la superficie della terra in curve aggraziate.
DISCHI CINESI NEOLITICI
L'inglese che nel 1947 esplorò la zona, ancora appartenente al Tibet, (la Cina la occupò solo nel 1950), era Karyl Robin Evans. Intraprese il viaggio dopo che gli fu mostrato un piatto dal prof. Lolladorf il quale, a sua volta, lo avrebbe ottenuto in una regione dell'India del Nord.
Ne nacque un libro, "Sungods in Exile" pubblicato quattro anni dopo la sua morte, nel quale si trova la riproduzione del piatto di evans.
Oggi, esposti nelle sale del British Museum, si trovano dischi di varie misure e fogge tutti provvisti del foro centrale. Sono classificati come dischi di giada con l'antico nome di "bi", usati nel neolitico (2.500 a.C.) nella Cina del sud est, regione di Shangai. Per gli archeologi il loro significato rimane sconosciuto. Molti provengono dalle sepolture del periodo "Lianzhu" e vennero ritrovati insieme ad altri manufatti chiamati "Cong", oggetti con una sezione trasversale quadrata provvisti di foro cilindrico, e a scuri piatti situati lungo gli arti del defunto. Ne sono stati rinvenuti anche nel periodo Shang (XIII° - XIV° sec.), alcuni decorati con leggeri anelli incisi sulla superficie, insieme a ornamenti tubulari di funzione sconosciuta, che richiamano alla mente un "incastro"; tali dischi sono detti "con colletto" a causa del lieve rialzo del bordo intorno al foro centrale, tanto da farli somigliare al colletto della tipica giacca cinese.
Sfugge il significato di porre un disco forato nelle sepolture, tremila o quattromila anni fa, ma può darsi siano divenuti oggetto di culto e ricopiati più volte.
In Cina dischi di ogni dimensione e materiale, o monete forate al centro, sono considerati portafortuna, al pari del nostro corno rosso e vengono venduti per tale uso. L'origine di un'usanza religiosa va comunque ricercata in un remoto passato.
MUMMIE DI 12.000 ANNI FA
Nel 1947 l'ingegner Ernst Wegerer riuscì a fotografare alcuni dischi esposti nel Museo di Bampu di Xian, grazie anche alla collaborazione dell'allora direttrice del museo. Nelle copie nn è possibile vederedella doppia spirale di scrittura. Qualche segno si può vedere invece nella foto di un disco, pubblicata da Krassa sul suo "Als die gelben Gotter kamen" e riportata successivamente in "Satelites of God". Nelle foto dell'ingegnere c'è comunque qualcosa d'importante: 2 dita della mano, sicuramente femminile, che sorreggono il disco in posa. Per meglio capire, ripercorriamo le ricerche di Krassa e Hausdorf. Essi nel 1994 visitarono appositamente il Museo di Xian per vedere i dischi, ma scoprirono che non erano più esposti al pubblico. Il direttore, tale prof. Wang Zhiyun, negò, a lungo, l'esistenza dei dischi e la raffigurazione di una sezione trasversale di uno di questi con evidenziato il punto medio descritto da Wegerer. Mostrò loro una copia ingrandita di argilla di un disco custodita in un fabbricato attiguo al Museo.
La storia è ripetuta su ogni disco, oppure ne sono occorsi 716 (uno per ogni tomba) per raccontarla? Forse la storia è incisa sulle pareti delle caverne. Perché non sono state mai mostrate le foto di quei disegni, né degli scheletri? Se questi ultimi si fanno risalire al 12.000 a.C., si parla di resti mummificati?
Si cerca di sviare le indagini da altri documenti? E se detti dischi fossero semplicemente dei "volani" usati come accumulatori di energie? Osservando le foto nasce il sospetto. In Egitto sembra che l'uso dei volani fosse conosciuto.
IL "VASSOIO DI SCISTO"
Walter B. Emery, autore di "Great Tomb of the First Dinasty", dichiarò, all'epoca, di non trovare una spiegazione plausibile per un reperto rinvenuto in Egitto nel 1936 dentro la tomba del principe Sabu, figlio del re Adjib.
L'oggetto di forma circolare, descritto come "vassoio di scisto" con un diametro di 61cm. e 10cm. di spessore, vi era stato messo nel 3.100 a.C., quindi era senz'altro molto più antico. Provvisto di un foro centrale e tre aperture interne, faceva supporre fosse stato inserito in un perno e immerso in un liquido.
Secondo l' archeologo e scrittore Cyril Aldred si trattava sicuramente di un facsimile di un oggetto di metallo. Zecharia Sitchin scrisse di aver letto nel 1967 qualcosa circa un progetto californiano per calettare "un volano" sull'albero di un motore per accumulare energia.
La "Loockeed Missile Space Company" iniziò le ricerche nel 1970, proponendo una ruota con bordi sottili per ottenere risultati migliori. Più tardi l'"Airsearch Manufactoring Company" perfezionò il tutto producendo un prototipo sigillato in un carter immerso in un bagno d'olio, adottato in seguito per autovetture ferroviarie. Il "vassoio di scisto" ovviamente è scomparso nel nulla.
VOLANI IN FIBRA DI CARBONIO
La soluzione di adottare volani per accumulare energie è stata perseguita ovunque, in particolare per fornire riserve energetiche a centrali elettriche e generatori di emergenza.
Nel n. 49 di "Focus" appare la notizia che, tale Jack Bitterly, scienziato della U.S.Flywheel System, dopo ventidue anni di studi e dopo aver prestato servizio, guarda caso, presso la NASA e la Lookeed, ha trovato il sistema per accumulare energia cinetica riottenendo l'energia necessaria per alimentare un'auto elettrica, e applicando per la prima volta il principio nel settore auto. Si tratta di un "volano" in fibra di carbonio di 25 chilogrammi e circa 30cm. di diametro, inserito su un perno che gira sospeso nel vuoto, grazie a dei supporti magnetici che lo sorreggono, all'interno di un contenitore di alluminio. Ne occorrono sedici per avere la potenza di un'auto di formula uno.
Nell'osservare l'illustrazione che ne mostra la forma si pensa subito ai dischi di pietra.
Se sedici volani di carbonio sviluppano ottocento cavalli e muovono un'auto, possono 716 "volani" di cobalto far volare una macchina?
Sembra si tratti di una minoranza etnica composta da individui non più alti di un metro e trenta, che parla una lingua sconosciuta e incomprensibile, installatasi in un accampamento situato all'interno di un'antichissima foresta, a circa 5.000 metri di altitudine.
Manufatti, mummie e antichissime conoscenze tecnologiche e scientifiche, quali volani senza attrito, troppo avanzati per la loro epoca, danno vita ad un "elettrizzante giallo cinese".
Qui di seguito le notizie raccolte, insieme ad un amico, in anni di indagini su quella vicenda che è stata sempre definita da tutti un buon racconto di fantascienza e che, al contrario, rivela un "cover-up" in piena regola, tanto da considerare la storia degna di un "X-files".
GRANDI CRANI E GRANDI OCCHI
La divulgazione di questo caso si deve al giornalista austriaco Peter Krassa, in collaborazione con il collega tedesco Hartwig Hausdorf; il loro punto di partenza fu un articolo in cui, per la prima volta, si era parlato dei cosiddetti "piatti di pietra", sulla base di una relazione stilata da un ricercatore inglese. Questi, nel 1947, riuscì a penetrare nella zona, scoprendo come l'archeologo cinese Chi Pu Tei avesse rinvenuto nel 1937, nelle caverne del massiccio di Bayan Kara Ula, 716 tombe, al cui interno giacevano resti di esseri con caratteristiche anatomiche non comuni.
Il cranio provvisto di cavità oculari molto larghe, si presentava enorme e molto sproporzionato rispetto all'esile corpo, non più lungo di un metro e trenta, e con delle braccia lunghissime.
A colpo d'occhio le spoglie furono credute appartenenti ad una specie di scimmia, ma oltre a non poter pensare che delle scimmie operassero sepolture simili, vennero ritrovati, in ogni tomba, dischi di pietra con un foro centrale da cui iniziava, per finire all'orlo, in forma di spirale, un doppio solco di incisioni e simboli ritenuti una forma di scrittura sconosciuta.
Inoltre, sulle pareti delle caverne, l'archeologo si ritrovò stupito a contemplare alcune pitture raffiguranti il sole, la luna e le stelle. Tra loro dei punti, simili a piselli, discendevano verso le montagne e la superficie della terra in curve aggraziate.
DISCHI CINESI NEOLITICI
L'inglese che nel 1947 esplorò la zona, ancora appartenente al Tibet, (la Cina la occupò solo nel 1950), era Karyl Robin Evans. Intraprese il viaggio dopo che gli fu mostrato un piatto dal prof. Lolladorf il quale, a sua volta, lo avrebbe ottenuto in una regione dell'India del Nord.
Ne nacque un libro, "Sungods in Exile" pubblicato quattro anni dopo la sua morte, nel quale si trova la riproduzione del piatto di evans.
Oggi, esposti nelle sale del British Museum, si trovano dischi di varie misure e fogge tutti provvisti del foro centrale. Sono classificati come dischi di giada con l'antico nome di "bi", usati nel neolitico (2.500 a.C.) nella Cina del sud est, regione di Shangai. Per gli archeologi il loro significato rimane sconosciuto. Molti provengono dalle sepolture del periodo "Lianzhu" e vennero ritrovati insieme ad altri manufatti chiamati "Cong", oggetti con una sezione trasversale quadrata provvisti di foro cilindrico, e a scuri piatti situati lungo gli arti del defunto. Ne sono stati rinvenuti anche nel periodo Shang (XIII° - XIV° sec.), alcuni decorati con leggeri anelli incisi sulla superficie, insieme a ornamenti tubulari di funzione sconosciuta, che richiamano alla mente un "incastro"; tali dischi sono detti "con colletto" a causa del lieve rialzo del bordo intorno al foro centrale, tanto da farli somigliare al colletto della tipica giacca cinese.
Sfugge il significato di porre un disco forato nelle sepolture, tremila o quattromila anni fa, ma può darsi siano divenuti oggetto di culto e ricopiati più volte.
In Cina dischi di ogni dimensione e materiale, o monete forate al centro, sono considerati portafortuna, al pari del nostro corno rosso e vengono venduti per tale uso. L'origine di un'usanza religiosa va comunque ricercata in un remoto passato.
MUMMIE DI 12.000 ANNI FA
Nel 1947 l'ingegner Ernst Wegerer riuscì a fotografare alcuni dischi esposti nel Museo di Bampu di Xian, grazie anche alla collaborazione dell'allora direttrice del museo. Nelle copie nn è possibile vederedella doppia spirale di scrittura. Qualche segno si può vedere invece nella foto di un disco, pubblicata da Krassa sul suo "Als die gelben Gotter kamen" e riportata successivamente in "Satelites of God". Nelle foto dell'ingegnere c'è comunque qualcosa d'importante: 2 dita della mano, sicuramente femminile, che sorreggono il disco in posa. Per meglio capire, ripercorriamo le ricerche di Krassa e Hausdorf. Essi nel 1994 visitarono appositamente il Museo di Xian per vedere i dischi, ma scoprirono che non erano più esposti al pubblico. Il direttore, tale prof. Wang Zhiyun, negò, a lungo, l'esistenza dei dischi e la raffigurazione di una sezione trasversale di uno di questi con evidenziato il punto medio descritto da Wegerer. Mostrò loro una copia ingrandita di argilla di un disco custodita in un fabbricato attiguo al Museo.
La storia è ripetuta su ogni disco, oppure ne sono occorsi 716 (uno per ogni tomba) per raccontarla? Forse la storia è incisa sulle pareti delle caverne. Perché non sono state mai mostrate le foto di quei disegni, né degli scheletri? Se questi ultimi si fanno risalire al 12.000 a.C., si parla di resti mummificati?
Si cerca di sviare le indagini da altri documenti? E se detti dischi fossero semplicemente dei "volani" usati come accumulatori di energie? Osservando le foto nasce il sospetto. In Egitto sembra che l'uso dei volani fosse conosciuto.
IL "VASSOIO DI SCISTO"
Walter B. Emery, autore di "Great Tomb of the First Dinasty", dichiarò, all'epoca, di non trovare una spiegazione plausibile per un reperto rinvenuto in Egitto nel 1936 dentro la tomba del principe Sabu, figlio del re Adjib.
L'oggetto di forma circolare, descritto come "vassoio di scisto" con un diametro di 61cm. e 10cm. di spessore, vi era stato messo nel 3.100 a.C., quindi era senz'altro molto più antico. Provvisto di un foro centrale e tre aperture interne, faceva supporre fosse stato inserito in un perno e immerso in un liquido.
Secondo l' archeologo e scrittore Cyril Aldred si trattava sicuramente di un facsimile di un oggetto di metallo. Zecharia Sitchin scrisse di aver letto nel 1967 qualcosa circa un progetto californiano per calettare "un volano" sull'albero di un motore per accumulare energia.
La "Loockeed Missile Space Company" iniziò le ricerche nel 1970, proponendo una ruota con bordi sottili per ottenere risultati migliori. Più tardi l'"Airsearch Manufactoring Company" perfezionò il tutto producendo un prototipo sigillato in un carter immerso in un bagno d'olio, adottato in seguito per autovetture ferroviarie. Il "vassoio di scisto" ovviamente è scomparso nel nulla.
VOLANI IN FIBRA DI CARBONIO
La soluzione di adottare volani per accumulare energie è stata perseguita ovunque, in particolare per fornire riserve energetiche a centrali elettriche e generatori di emergenza.
Nel n. 49 di "Focus" appare la notizia che, tale Jack Bitterly, scienziato della U.S.Flywheel System, dopo ventidue anni di studi e dopo aver prestato servizio, guarda caso, presso la NASA e la Lookeed, ha trovato il sistema per accumulare energia cinetica riottenendo l'energia necessaria per alimentare un'auto elettrica, e applicando per la prima volta il principio nel settore auto. Si tratta di un "volano" in fibra di carbonio di 25 chilogrammi e circa 30cm. di diametro, inserito su un perno che gira sospeso nel vuoto, grazie a dei supporti magnetici che lo sorreggono, all'interno di un contenitore di alluminio. Ne occorrono sedici per avere la potenza di un'auto di formula uno.
Nell'osservare l'illustrazione che ne mostra la forma si pensa subito ai dischi di pietra.
Se sedici volani di carbonio sviluppano ottocento cavalli e muovono un'auto, possono 716 "volani" di cobalto far volare una macchina?
Commenta