Misteriosi siti megalitici presenti sulla terraferma e sommersi nelle profondità al largo delle isole micronesiane del Pacifico, richiamano al mito del diluvio e alla leggenda di un drago che creò la terraferma. Tutti tasselli di un unico mistero: l’isola di Pohnpei e le strutture di Nan Madol.
Al centro dell’Oceano Pacifico, nel mezzo della Micronesia, diversi gruppi di isole e di atolli fanno da scenario a un interessante enigma antropologico: la cultura di Pohnpei. Circa cento isole-tempio artificiali costituiscono il meraviglioso complesso archeologico di Nan Madol, al largo delle coste sudorientali dell’isola di Pohnpei. Secondo le teorie ufficiali le costruzioni furono realizzate tra l’800 e il 1250 d.C., ma molti indizi fanno invece ritenere che le strutture siano molto più antiche. Il complesso di isole-tempio è inserito in un articolato sistema di canali, che collegano i siti tra loro, seguendo una disposizione che ricorda molto quella di Angkor Wat, in Cambogia, dove si intrecciano labirinti di canali e di fossati che attraversano tutto il sito. Alcuni ricercatori hanno messo in evidenza che ad Angkor esisteva un numero sacro, il 54, che si manifesta nelle 54 torri del Bayon, nelle 54 figure mitologiche dei deva e asura disposte su entrambi i lati della strada che conduce ad Angkor Thom. Ebbene proprio a 54 gradi di longitudine est, si trova Nam Madol. Un caso? Nel sito cambogiano il tempio principale è separato dall’ambiente circostante da un fossato, a Nan Madol due serie di mura circolari alte fino a 7,60 m sono protette proprio da un fossato. In ultimo è interessante presentare un’ulteriore similitudine tra l’insediamento di Pohnpei e Angkor Wat: la simbologia del drago.
*Il Drago e i Saggi Fratelli*
Le antiche leggende narrano che i templi di Nan Madol furono realizzati sia dal soffio dell’animale sacro, un drago, sia dai gemelli fondatori della città, i fratelli Olosipe e Olosape. Vediamo nel dettaglio: “Si narra, infatti, che la madre di un drago abbia scavato i canali che collegano gli isolotti attorno a Pohnpei, con il suo soffio. Ella sputò nel mare e le piccole isole emersero; i canali rappresentano le tracce di quei “soffi””. Olosipe e Olosape, invece, furono dotati di straordinari poteri. “Convocarono tutte le pietre perché da sole giungessero a formare imponenti costruzioni. Queste udirono la chiamata magica e vi diedero ascolto, raggiungendo i due fratelli. Mediante opere magiche questi ordinarono a ognuno dei grandi blocchi di occupare il suo posto. Così venne eretta Nan Madol”.
Nessuno sa da dove provennero i due fratelli, si conosce solamente che non erano nativi dell’isola, e apparvero nella notte dei tempi a Deke Sokhes, nel nord dell’isola. Secondo la leggenda Olosipe e Olosape erano saggi e santi incredibilmente intelligenti, architetti, costruttori, ingegneri, ma soprattutto dotati di straordinari poteri magici. Entrambi giunsero dal cielo, da una nuvola, con l’intenzione di trovare un basamento per la costruzione di una città-santuario consacrata a un dio protettore della terra e del mare. Essi costruirono e abbandonarono quattro capitali a Pohnpei, la prima a Sokhes, nella zona nordoccidentale dell’isola, poi Net, U e, infine, Madolenihmw. Dopo aver stabilito tale culto, Olosipe e Olosape, posarono la mano ancora su Pohnpei e costruirono la città di Nan Madol, o Sounhleng, “la barriera del cielo”. Essi salirono sulla cima più alta da dove videro nelle acque sconfinate dell’oceano una città sommersa e lì, proprio nel luogo in cui si dice che videro alcune luci sotto l’acqua, eressero una città simmetrica a quella sommersa. In accordo con la tradizione di questa leggenda sotto Nan Madol giace Khanimweiso, la “città di nessuno”. Ma dov’è il limite tra leggenda e archeologia?
Il dottor Arthur Saxe membro dell’Ohio State University ha condotto una serie di indagini volte alla completa mappatura dei fondali sotto l’insediamento di Pohnpei e ha riscontrato l’effettiva presenza di vestigia che si estendono sia sotto il pelo dell’acqua sia a grandi profondità. Le ricerche hanno, dunque, messo in evidenza che la maggior parte di esse è distribuita nei pressi di Nan Douwas, dove un imponente muro sembra assumere la forma di un’imbarcazione poggiata su un piedistallo. Le spedizioni australiane, nordamericane e giapponesi hanno confermato che in quel luogo, a circa nove metri di profondità, si incontrano le sommità di dieci colonne verticali di 20 metri di altezza ciascuna. Indagini su queste strutture sono state condotte dal ricercatore Graham Hancock, il quale durante una campagna di immersioni le ha fotografate e, inoltre, ha individuato alcuni monoliti che sembrano molto simili alle cosiddette Latte Stones, tipiche dell’isola di Guam, su cui torneremo in seguito.
Un altro mito di fondazione di Pohnpei narra: “nuove coppie, nuovi uomini e nuove donne, erravano su una canoa (tale forma forse fu immortalata nel profilo delle mura di Nan Douwas?), per la vastità dell’oceano, in cerca di una nuova terra nella quale stabilirsi. Nel tragitto s’imbatterono in un polipo femmina di nome Letakika. Quando gli uomini spiegarono alla creatura il motivo del lungo viaggio, essa indicò loro un luogo dell’oceano nel quale si tagliava una roccia che sorgeva dalla cresta delle onde. Le nuove coppie proseguirono il loro periglioso cammino e giunsero presso la roccia. Proprio su quella roccia iniziarono a costruire l’isola. In seguito lasciarono in quel luogo un uomo e una donna, mentre gli altri sulla canoa proseguirono il viaggio altrove. Dell’isola che edificarono quegli uomini e quelle donne oggi noi ne possiamo rintracciare le rovine a Tamuen, dove si trovano le enigmatiche vestigia di Nan Madol”.
La Barriera del Cielo
Cosa rende così misteriosa Nan Madol? La risposta è semplice: non si conoscono né le tecniche che furono impiegate per scolpire, tagliare, trasportare dalle cave e mettere in opera i blocchi megalitici di basalto, né tanto meno quale etnia impiegò tanta energia per erigere i templi. Soprattutto è ignoto quale legame esiste tra le strutture sulla terra ferma e quelle che si ritrovano a pochi metri di profondità che si estendono fino a molti metri sotto la superficie dell’oceano. Nan Madol è costituito da elementi colonnari e lunghe travi incastrate e sovrapposte in modo da formare una solida struttura imponente e muta, tale da costituire uno dei principali enigmi di Pohnpei. Secondo le indagini di alcuni esperti di petrografia il materiale impiegato fu certamente la lava solidificata (o blue stones). Nella zona settentrionale dell’isola, in effetti, esistono molti giacimenti di basalto colonnare con sezione pentagonale o esagonale (un esempio di questo tipo di roccia è il selciato del Gigante in Irlanda), che certamente fu inserito nelle strutture, ma è altresì evidente che le lunghe travi dovettero essere sgrossate, lavorate e rifinite prima della messa in opera. Ma con quali arnesi? Le dimensioni dei blocchi pongono altrettanti quesiti sui metodi di spostamento. Se ipotizziamo una stima del tempo necessario per percorrere dalla cava al luogo di costruzione, possiamo supporre che al giorno venissero spostati all’incirca 4 o 5 blocchi. Lavorando per tutto l’arco dell’anno, si possono mettere in opera circa 2.000 blocchi. Mediamente le costruzioni di Nan Madol, possiedono 400.000 blocchi, quindi, sembra evidente che per la realizzazione di almeno una struttura completa si dovessero impiegare più o meno due secoli! Forse siamo sulla strada sbagliata. Il complesso di Nan Madol ha una topografia simile a quella di Angkor Wat, infatti, similmente al sito cambogiano una serie di recinti convergono verso il centro, nel quale presumibilmente era posto il sancta sanctorum. La maggior parte delle costruzioni sono stati erette su isolotti artificiali costruiti sulla barriera corallina, sul versante orientale di Pohnpei. Suddivisi in due settori, il cui limite è segnato da una laguna di acque basse, le costruzioni erano chiuse per tre lati e arrivano al mare con una muraglia esterna che inizia a Pei-ni-ot, nell’estremo nord, e si estende al largo di Nau Molusai, Kanan, e Pan fino a Pon Kaim.
A Kosrae, un’isola vicina a Pohnpei, troviamo costruzioni megalitiche che assomigliano molto a quelle di Nan Madol. Mura monumentali furono erette con pilastri di basalto che raggiungono un’altezza di sei metri. Lo stesso accade a Pahnwi, dove le pietre sono assolutamente colossali, e a Lelu e Menka, queste ultime sperdute all’interno di una foresta. Un elemento che colpisce è certamente l’aspetto estetico del complesso di Nan Madol, infatti, è imponente, ma assolutamente priva di decorazioni, bassorilievi, pitture, sculture o altri orpelli decorativi, quasi si seguissero i dettami di una religione o una di legge segreta. Dall’enorme terrapieno scendono scalinate interrotte da terrazze realizzate con blocchi di basalto squadrati.
Sembra dunque che questa costruzione non corrisponda alle tipologie delle corti reali caratterizzate da sfarzosi elementi decorativi, ma, come alcuni ricercatori hanno proposto, si tratti forse di un complesso difensivo. In opposizione a tale interpretazione, però, sono le molte scale e le terrazze che quasi invitano il visitatore a varcare le soglie del complesso, conducendolo proprio al centro di una struttura quadrangolare dove si apre un pozzo. Anche l’ipotesi della struttura difensiva, quindi, non convince.
Al centro dell’Oceano Pacifico, nel mezzo della Micronesia, diversi gruppi di isole e di atolli fanno da scenario a un interessante enigma antropologico: la cultura di Pohnpei. Circa cento isole-tempio artificiali costituiscono il meraviglioso complesso archeologico di Nan Madol, al largo delle coste sudorientali dell’isola di Pohnpei. Secondo le teorie ufficiali le costruzioni furono realizzate tra l’800 e il 1250 d.C., ma molti indizi fanno invece ritenere che le strutture siano molto più antiche. Il complesso di isole-tempio è inserito in un articolato sistema di canali, che collegano i siti tra loro, seguendo una disposizione che ricorda molto quella di Angkor Wat, in Cambogia, dove si intrecciano labirinti di canali e di fossati che attraversano tutto il sito. Alcuni ricercatori hanno messo in evidenza che ad Angkor esisteva un numero sacro, il 54, che si manifesta nelle 54 torri del Bayon, nelle 54 figure mitologiche dei deva e asura disposte su entrambi i lati della strada che conduce ad Angkor Thom. Ebbene proprio a 54 gradi di longitudine est, si trova Nam Madol. Un caso? Nel sito cambogiano il tempio principale è separato dall’ambiente circostante da un fossato, a Nan Madol due serie di mura circolari alte fino a 7,60 m sono protette proprio da un fossato. In ultimo è interessante presentare un’ulteriore similitudine tra l’insediamento di Pohnpei e Angkor Wat: la simbologia del drago.
*Il Drago e i Saggi Fratelli*
Le antiche leggende narrano che i templi di Nan Madol furono realizzati sia dal soffio dell’animale sacro, un drago, sia dai gemelli fondatori della città, i fratelli Olosipe e Olosape. Vediamo nel dettaglio: “Si narra, infatti, che la madre di un drago abbia scavato i canali che collegano gli isolotti attorno a Pohnpei, con il suo soffio. Ella sputò nel mare e le piccole isole emersero; i canali rappresentano le tracce di quei “soffi””. Olosipe e Olosape, invece, furono dotati di straordinari poteri. “Convocarono tutte le pietre perché da sole giungessero a formare imponenti costruzioni. Queste udirono la chiamata magica e vi diedero ascolto, raggiungendo i due fratelli. Mediante opere magiche questi ordinarono a ognuno dei grandi blocchi di occupare il suo posto. Così venne eretta Nan Madol”.
Nessuno sa da dove provennero i due fratelli, si conosce solamente che non erano nativi dell’isola, e apparvero nella notte dei tempi a Deke Sokhes, nel nord dell’isola. Secondo la leggenda Olosipe e Olosape erano saggi e santi incredibilmente intelligenti, architetti, costruttori, ingegneri, ma soprattutto dotati di straordinari poteri magici. Entrambi giunsero dal cielo, da una nuvola, con l’intenzione di trovare un basamento per la costruzione di una città-santuario consacrata a un dio protettore della terra e del mare. Essi costruirono e abbandonarono quattro capitali a Pohnpei, la prima a Sokhes, nella zona nordoccidentale dell’isola, poi Net, U e, infine, Madolenihmw. Dopo aver stabilito tale culto, Olosipe e Olosape, posarono la mano ancora su Pohnpei e costruirono la città di Nan Madol, o Sounhleng, “la barriera del cielo”. Essi salirono sulla cima più alta da dove videro nelle acque sconfinate dell’oceano una città sommersa e lì, proprio nel luogo in cui si dice che videro alcune luci sotto l’acqua, eressero una città simmetrica a quella sommersa. In accordo con la tradizione di questa leggenda sotto Nan Madol giace Khanimweiso, la “città di nessuno”. Ma dov’è il limite tra leggenda e archeologia?
Il dottor Arthur Saxe membro dell’Ohio State University ha condotto una serie di indagini volte alla completa mappatura dei fondali sotto l’insediamento di Pohnpei e ha riscontrato l’effettiva presenza di vestigia che si estendono sia sotto il pelo dell’acqua sia a grandi profondità. Le ricerche hanno, dunque, messo in evidenza che la maggior parte di esse è distribuita nei pressi di Nan Douwas, dove un imponente muro sembra assumere la forma di un’imbarcazione poggiata su un piedistallo. Le spedizioni australiane, nordamericane e giapponesi hanno confermato che in quel luogo, a circa nove metri di profondità, si incontrano le sommità di dieci colonne verticali di 20 metri di altezza ciascuna. Indagini su queste strutture sono state condotte dal ricercatore Graham Hancock, il quale durante una campagna di immersioni le ha fotografate e, inoltre, ha individuato alcuni monoliti che sembrano molto simili alle cosiddette Latte Stones, tipiche dell’isola di Guam, su cui torneremo in seguito.
Un altro mito di fondazione di Pohnpei narra: “nuove coppie, nuovi uomini e nuove donne, erravano su una canoa (tale forma forse fu immortalata nel profilo delle mura di Nan Douwas?), per la vastità dell’oceano, in cerca di una nuova terra nella quale stabilirsi. Nel tragitto s’imbatterono in un polipo femmina di nome Letakika. Quando gli uomini spiegarono alla creatura il motivo del lungo viaggio, essa indicò loro un luogo dell’oceano nel quale si tagliava una roccia che sorgeva dalla cresta delle onde. Le nuove coppie proseguirono il loro periglioso cammino e giunsero presso la roccia. Proprio su quella roccia iniziarono a costruire l’isola. In seguito lasciarono in quel luogo un uomo e una donna, mentre gli altri sulla canoa proseguirono il viaggio altrove. Dell’isola che edificarono quegli uomini e quelle donne oggi noi ne possiamo rintracciare le rovine a Tamuen, dove si trovano le enigmatiche vestigia di Nan Madol”.
La Barriera del Cielo
Cosa rende così misteriosa Nan Madol? La risposta è semplice: non si conoscono né le tecniche che furono impiegate per scolpire, tagliare, trasportare dalle cave e mettere in opera i blocchi megalitici di basalto, né tanto meno quale etnia impiegò tanta energia per erigere i templi. Soprattutto è ignoto quale legame esiste tra le strutture sulla terra ferma e quelle che si ritrovano a pochi metri di profondità che si estendono fino a molti metri sotto la superficie dell’oceano. Nan Madol è costituito da elementi colonnari e lunghe travi incastrate e sovrapposte in modo da formare una solida struttura imponente e muta, tale da costituire uno dei principali enigmi di Pohnpei. Secondo le indagini di alcuni esperti di petrografia il materiale impiegato fu certamente la lava solidificata (o blue stones). Nella zona settentrionale dell’isola, in effetti, esistono molti giacimenti di basalto colonnare con sezione pentagonale o esagonale (un esempio di questo tipo di roccia è il selciato del Gigante in Irlanda), che certamente fu inserito nelle strutture, ma è altresì evidente che le lunghe travi dovettero essere sgrossate, lavorate e rifinite prima della messa in opera. Ma con quali arnesi? Le dimensioni dei blocchi pongono altrettanti quesiti sui metodi di spostamento. Se ipotizziamo una stima del tempo necessario per percorrere dalla cava al luogo di costruzione, possiamo supporre che al giorno venissero spostati all’incirca 4 o 5 blocchi. Lavorando per tutto l’arco dell’anno, si possono mettere in opera circa 2.000 blocchi. Mediamente le costruzioni di Nan Madol, possiedono 400.000 blocchi, quindi, sembra evidente che per la realizzazione di almeno una struttura completa si dovessero impiegare più o meno due secoli! Forse siamo sulla strada sbagliata. Il complesso di Nan Madol ha una topografia simile a quella di Angkor Wat, infatti, similmente al sito cambogiano una serie di recinti convergono verso il centro, nel quale presumibilmente era posto il sancta sanctorum. La maggior parte delle costruzioni sono stati erette su isolotti artificiali costruiti sulla barriera corallina, sul versante orientale di Pohnpei. Suddivisi in due settori, il cui limite è segnato da una laguna di acque basse, le costruzioni erano chiuse per tre lati e arrivano al mare con una muraglia esterna che inizia a Pei-ni-ot, nell’estremo nord, e si estende al largo di Nau Molusai, Kanan, e Pan fino a Pon Kaim.
A Kosrae, un’isola vicina a Pohnpei, troviamo costruzioni megalitiche che assomigliano molto a quelle di Nan Madol. Mura monumentali furono erette con pilastri di basalto che raggiungono un’altezza di sei metri. Lo stesso accade a Pahnwi, dove le pietre sono assolutamente colossali, e a Lelu e Menka, queste ultime sperdute all’interno di una foresta. Un elemento che colpisce è certamente l’aspetto estetico del complesso di Nan Madol, infatti, è imponente, ma assolutamente priva di decorazioni, bassorilievi, pitture, sculture o altri orpelli decorativi, quasi si seguissero i dettami di una religione o una di legge segreta. Dall’enorme terrapieno scendono scalinate interrotte da terrazze realizzate con blocchi di basalto squadrati.
Sembra dunque che questa costruzione non corrisponda alle tipologie delle corti reali caratterizzate da sfarzosi elementi decorativi, ma, come alcuni ricercatori hanno proposto, si tratti forse di un complesso difensivo. In opposizione a tale interpretazione, però, sono le molte scale e le terrazze che quasi invitano il visitatore a varcare le soglie del complesso, conducendolo proprio al centro di una struttura quadrangolare dove si apre un pozzo. Anche l’ipotesi della struttura difensiva, quindi, non convince.
Commenta