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Il pittore con il cervello da topo

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    ATLANTA (CNN) -- Circa 50.000 neuroni provenienti dal cervello di topi di laboratorio controllano un braccio meccanico a più di 19 mila chilometri di distanza per realizzare delle "opere d'arte". Nasce così un nuovo essere creativo, l'artista "semivivente".



    Sviluppato in due differenti laboratori da due gruppi di ricercatori, uno americano e l'altro australiano, il progetto prevede che il "cervello" si trovi presso l'Istituto di Tecnologia di Atlanta, Stati Uniti, mentre il "braccio" è all'Università della Western Australia, di Perth.

    Responsabili dell'esperimento sono l'americano Steve Potter e l'australiano Guy Ben-Ary. Al braccio robotico sono stati messi a disposizione tre pennarelli colorati, e i risultati artistici, realizzati da questo anomalo connubio, sono stati definiti paragonabili a quelli di un bambino di tre anni.

    Le due estremità, comunicano tra loro in tempo reale attraverso internet. Il proponimento del progetto è quello di creare un'entità "vivente" in grado d'imparare, esattamente come avviene con il cervello dell'uomo e degli animali, adattandosi ed esprimendosi attraverso i disegni.





    Un esempio dei disegni così ottenuti



    "Stiamo analizzando scenari futuri in cui le distanze geografiche non siano un problema," ha commentato il professor Ben-Ary. "Il cervello di un essere 'semivivente' può trovarsi in qualsiasi punto del globo, mentre il corpo (la macchina, NdR) s'interfaccia e attinge informazioni da lui."

    Il progetto si chiama Meart, acronimo di Multi-Electrode Array Art. Le cellule sono collegate tra loro attraverso sessantaquattro elettrodi a due vie, e questi ultimi a un computer, e vengono stimolate con delle informazioni; in questo caso trasmettendo delle immagini in scala ridotta di ciò che riprende una webcam posizionata nel laboratorio.

    A questo punto, il computer traduce ogni attività neurale in un preciso movimento robotico. In conclusione, i ricercatori sperano che il cervello del topo impari qualcosa su sé stesso, la sua condizione e sull'ambiente che lo circonda.

    "Non classificherei le cellule come una vera e propria 'intelligenza'," ha ammesso il dottor Potter, "ma è vero che speriamo di poter trovare un modo per permettere loro di apprendere e diventare almeno un po' intelligenti."

    "Mi piacerebbe vedere qualcosa che si possa classificare come effettivo apprendimento," ha continuato lo scienziato americano, "ma per il momento, il solo progresso che abbiamo notato è un sistema che si adatta, sviluppando un maggior controllo e un'impostazione meno caotica dei disegni."

    Forse in un futuro non troppo lontano sentirsi dire "disegni come un cane" non sarà più un'offesa.

    Raffaele Lepore
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