Uno studio scozzese dimostra che, modificato geneticamente, è in grado di uccidere le cellule tumorali.
Il virus che provoca la cosiddetta "febbre" sulle labbra, ovvero l’herpes simplex, potrebbe giocare in futuro un ruolo determinante nella lotta contro il melanoma, il tumore della pelle che molto spesso ha esiti mortali. La notizia arriva da un gruppo di ricercatori scozzesi, coordinati da Rona M. MacKie, professore in dermatologia all’università di Glasgow. "Si tratta per ora di una ricerca sperimentale e ai primi passi", tiene a precisare MacKie nell’articolo che accompagna la pubblicazione dello studio sul Lancet. Ma ciò non toglie che i risultati siano molto interessanti. I ricercatori hanno selezionato cinque pazienti con melanoma metastatico (che cioè si era già diffuso in altri organi del corpo), e a ognuno di loro hanno iniettato in un nodulo del tumore, e a più riprese, una versione geneticamente modificata del virus della "febbre". In un altro nodulo tumorale di ogni paziente hanno immesso una soluzione salina, per avere un termine di paragone. Dopo tre settimane, esaminando i noduli "trattati", hanno verificato la presenza di cellule tumorali morte, "uccise" dal virus modificato.
Come si spiegano questi risultati? Le cellule del melanoma hanno un’affinità con il tessuto nervoso, e a sua volta il virus dell’herpes simplex è neurotropico, cioè è affine alle cellule nervose, nelle quali di fatto si stabilisce, dopo aver infettato la persona, e vi resta per tutta la vita. La versione modificata del virus "uccide" le cellule del melanoma (in pratica, le fa scoppiare) ma non infetta l’organismo. "Quello che abbiamo provato è la non tossicità del trattamento, il che è già una buona notizia. Abbiamo anche dimostrato che quando il virus modificato entra in contatto con le cellule del melanoma le danneggia. Ma c’è ancora molta strada da fare prima di poter mettere a punto un trattamento vero e proprio", conclude MacKie. Il prossimo passo sarà avviare nuovi esperimenti per verificare i risultati di questi primi test.
TRAPIANTI: PRECISAZIONE SU PRIMO STAMINALI CORNEA TRA VIVENTI
Roma, 19 lun. (Adnkronos Salute) - Precisazione del presidente della Societa' oftalmologica italiana (Soi Apimo Amoi), il professor Emilio Balestrazzi, alle notizie, riportate ieri da quotidiani e telegiornali, sul trapianto di cellule staminali della cornea prelevate da donatore vivente, eseguito sabato nell'ospedale di Ravenna. ''Le tecniche chirurgiche di trapianto di tessuto corneo-sclerale e congiuntivale autologo, cioe' prelevato dall'altro occhio del paziente, e omologo anche da cadavere - puntualizza Balestrazzi - sono note da vari anni ed in continuo perfezionamento, applicate da molti chirurghi italiani e stranieri''. Queste tecniche, secondo lo specialista, ''trovano adesso una rinnovata ed esaltante applicazione per le recenti scoperte nel campo delle cellule staminali. I risultati positivi ottenuti sono al vaglio di un verifica scientifica piu' approfondita nel tempo che nulla toglie alla bonta' dell'intervento''.
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I geni sono di due categorie: buoni o cattivi. Non esiste, o ancora non è stato trovato, un gene che si comporta a seconda del suo umore. I geni, anzi i microgeni, che ha scoperto lo scienziato italiano Carlo Croce sul braccio lungo del cromosoma 13, sono straordinariamente buoni. Al punto che senza di loro la leucemia linfatica cronica (4.000 malati solo in Italia, 12mila negli Stati Uniti, la settima causa di decesso per cancro) ha vita facile nell'aggredire il corpo umano. E lo stesso avviene con il mieloma multiplo e con il cancro alla prostata (12mila casi in Italia).
Detto semplicemente, il Mir15 e il Mir16 così sono stati chiamati dal gruppo di lavoro di Croce al "Kimmel Institute" di Filadelfia, uno dei primi centri al mondo di ricerca sul cancro non appartengono alla famiglia dei geni che codificano proteine (su cui si basa ad esempio l'azione del Glivec, il farmaco che ha guarito il 95 per cento dei malati di leucemia mieloide cronica) ma hanno capacità di controllo sulla funzione di altri geni. I microgeni individuati producono piccoli precursori e sono poi trasformati in frammenti ancora più minuti che si chiamano "Interfering Rna".
Nel 70 per cento dei pazienti colpiti da leucemia linfatica cronica una malattia che colpisce e uccide soprattutto dopo i cinquant'anni di età i Mir e dunque l'Interfering Rna, sono mancanti. Questo è l'inizio. Secondo passo. Stabilito che l'assenza dei Mir provoca il cancro, Croce e il suo gruppo devono trovare la strada per produrre il farmaco in grado di ripopolare di Mir le cellule.
E qui scatta l'altra faccia della scoperta. Infatti i microgeni sono talmente piccoli che possono facilmente entrare nelle cellule e da lì iniziare il virtuoso processo curativo. Il loro prodotto si può facilmente sintetizzare in laboratorio, a bassi costi, e ciò apre la strada a una rivoluzionaria "terapia sistemica": immettere la sostanza per via endovenosa, riparare il "gene cattivo" con l'InterferingRna, colpire in modo diffuso ogni forma di metastasi. Un prodotto che cura (e sperabilmente guarisce) il Dna. Una sorta di meccanico biologico. Mentre finora la terapia genica provvedeva a sostituire il gene guasto con il gene sano.
Terzo passo. Per arrivare a produrre il farmaco, bisogna avviare la sperimentazione. Dal 26 novembre, giorno in cui la scoperta è stata pubblicata sull'autorevole "Pnas", Proceeding of the National Academy of Sciences, la situazione è la seguente: "Stiamo già producendo la sostanza per i primi test sui topi spiega Croce, ieri a Rovigo per partecipare al Terzo incontro internazionale sulle terapie contro il cancro e in sei-nove mesi dovremmo essere in grado di avere i primi dati e capire se l'InterferingRna riesce a funzionare un po' come il freno di un'automobile. Fermando, in questo caso, lo sviluppo del tumore".
E dopo il topo, l'uomo. Ma tutto deve andare liscio: ammesso che il farmaco si dimostri veramente efficace bisognerà poi stabilizzare la molecola, dosarla, monitorare la sua funzionalità. Bisognerà aspettare anni? "No, il nostro obiettivo - risponde Croce - è che entro un paio di anni il primo paziente malato di leucemia linfatica cronica possa essere curato con l'Interfering. E credo che lo cureremo qui, in Italia, nel centro di Rovigo".
Il virus che provoca la cosiddetta "febbre" sulle labbra, ovvero l’herpes simplex, potrebbe giocare in futuro un ruolo determinante nella lotta contro il melanoma, il tumore della pelle che molto spesso ha esiti mortali. La notizia arriva da un gruppo di ricercatori scozzesi, coordinati da Rona M. MacKie, professore in dermatologia all’università di Glasgow. "Si tratta per ora di una ricerca sperimentale e ai primi passi", tiene a precisare MacKie nell’articolo che accompagna la pubblicazione dello studio sul Lancet. Ma ciò non toglie che i risultati siano molto interessanti. I ricercatori hanno selezionato cinque pazienti con melanoma metastatico (che cioè si era già diffuso in altri organi del corpo), e a ognuno di loro hanno iniettato in un nodulo del tumore, e a più riprese, una versione geneticamente modificata del virus della "febbre". In un altro nodulo tumorale di ogni paziente hanno immesso una soluzione salina, per avere un termine di paragone. Dopo tre settimane, esaminando i noduli "trattati", hanno verificato la presenza di cellule tumorali morte, "uccise" dal virus modificato.
Come si spiegano questi risultati? Le cellule del melanoma hanno un’affinità con il tessuto nervoso, e a sua volta il virus dell’herpes simplex è neurotropico, cioè è affine alle cellule nervose, nelle quali di fatto si stabilisce, dopo aver infettato la persona, e vi resta per tutta la vita. La versione modificata del virus "uccide" le cellule del melanoma (in pratica, le fa scoppiare) ma non infetta l’organismo. "Quello che abbiamo provato è la non tossicità del trattamento, il che è già una buona notizia. Abbiamo anche dimostrato che quando il virus modificato entra in contatto con le cellule del melanoma le danneggia. Ma c’è ancora molta strada da fare prima di poter mettere a punto un trattamento vero e proprio", conclude MacKie. Il prossimo passo sarà avviare nuovi esperimenti per verificare i risultati di questi primi test.
TRAPIANTI: PRECISAZIONE SU PRIMO STAMINALI CORNEA TRA VIVENTI
Roma, 19 lun. (Adnkronos Salute) - Precisazione del presidente della Societa' oftalmologica italiana (Soi Apimo Amoi), il professor Emilio Balestrazzi, alle notizie, riportate ieri da quotidiani e telegiornali, sul trapianto di cellule staminali della cornea prelevate da donatore vivente, eseguito sabato nell'ospedale di Ravenna. ''Le tecniche chirurgiche di trapianto di tessuto corneo-sclerale e congiuntivale autologo, cioe' prelevato dall'altro occhio del paziente, e omologo anche da cadavere - puntualizza Balestrazzi - sono note da vari anni ed in continuo perfezionamento, applicate da molti chirurghi italiani e stranieri''. Queste tecniche, secondo lo specialista, ''trovano adesso una rinnovata ed esaltante applicazione per le recenti scoperte nel campo delle cellule staminali. I risultati positivi ottenuti sono al vaglio di un verifica scientifica piu' approfondita nel tempo che nulla toglie alla bonta' dell'intervento''.
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I geni sono di due categorie: buoni o cattivi. Non esiste, o ancora non è stato trovato, un gene che si comporta a seconda del suo umore. I geni, anzi i microgeni, che ha scoperto lo scienziato italiano Carlo Croce sul braccio lungo del cromosoma 13, sono straordinariamente buoni. Al punto che senza di loro la leucemia linfatica cronica (4.000 malati solo in Italia, 12mila negli Stati Uniti, la settima causa di decesso per cancro) ha vita facile nell'aggredire il corpo umano. E lo stesso avviene con il mieloma multiplo e con il cancro alla prostata (12mila casi in Italia).
Detto semplicemente, il Mir15 e il Mir16 così sono stati chiamati dal gruppo di lavoro di Croce al "Kimmel Institute" di Filadelfia, uno dei primi centri al mondo di ricerca sul cancro non appartengono alla famiglia dei geni che codificano proteine (su cui si basa ad esempio l'azione del Glivec, il farmaco che ha guarito il 95 per cento dei malati di leucemia mieloide cronica) ma hanno capacità di controllo sulla funzione di altri geni. I microgeni individuati producono piccoli precursori e sono poi trasformati in frammenti ancora più minuti che si chiamano "Interfering Rna".
Nel 70 per cento dei pazienti colpiti da leucemia linfatica cronica una malattia che colpisce e uccide soprattutto dopo i cinquant'anni di età i Mir e dunque l'Interfering Rna, sono mancanti. Questo è l'inizio. Secondo passo. Stabilito che l'assenza dei Mir provoca il cancro, Croce e il suo gruppo devono trovare la strada per produrre il farmaco in grado di ripopolare di Mir le cellule.
E qui scatta l'altra faccia della scoperta. Infatti i microgeni sono talmente piccoli che possono facilmente entrare nelle cellule e da lì iniziare il virtuoso processo curativo. Il loro prodotto si può facilmente sintetizzare in laboratorio, a bassi costi, e ciò apre la strada a una rivoluzionaria "terapia sistemica": immettere la sostanza per via endovenosa, riparare il "gene cattivo" con l'InterferingRna, colpire in modo diffuso ogni forma di metastasi. Un prodotto che cura (e sperabilmente guarisce) il Dna. Una sorta di meccanico biologico. Mentre finora la terapia genica provvedeva a sostituire il gene guasto con il gene sano.
Terzo passo. Per arrivare a produrre il farmaco, bisogna avviare la sperimentazione. Dal 26 novembre, giorno in cui la scoperta è stata pubblicata sull'autorevole "Pnas", Proceeding of the National Academy of Sciences, la situazione è la seguente: "Stiamo già producendo la sostanza per i primi test sui topi spiega Croce, ieri a Rovigo per partecipare al Terzo incontro internazionale sulle terapie contro il cancro e in sei-nove mesi dovremmo essere in grado di avere i primi dati e capire se l'InterferingRna riesce a funzionare un po' come il freno di un'automobile. Fermando, in questo caso, lo sviluppo del tumore".
E dopo il topo, l'uomo. Ma tutto deve andare liscio: ammesso che il farmaco si dimostri veramente efficace bisognerà poi stabilizzare la molecola, dosarla, monitorare la sua funzionalità. Bisognerà aspettare anni? "No, il nostro obiettivo - risponde Croce - è che entro un paio di anni il primo paziente malato di leucemia linfatica cronica possa essere curato con l'Interfering. E credo che lo cureremo qui, in Italia, nel centro di Rovigo".
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