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  • #31
    ALICE IN CHAINS - MTV UNPLUGGED (1996) DVD



    1- Nutshell
    2- Brother
    3- No Excuses
    4- Sludge Factory
    5- Down in a Hole
    6- Angry Chair
    7- Rooster
    8- Got Me Wrong
    9- Heaven Beside You
    10- Would?
    11- Frogs
    12- Over Now
    13- The Killer Is Me

    Layne Staley - vocals
    Jerry Cantrell - Guitar
    Mike Inez - Bass
    Scottie Olsson - Guitars
    Sean Kinney - Drums

    Questa non e' la recensione di un semplice CD, bensi di un DVD.
    Posseggo questo CD da anni, e lo ritengo il piu bell'esempio di live acustico che mai abbia sentito. Ho trovato casualmente, in una cesta con le svendite di un grande magazzino, questo DVD, a 8.99 euri, e non me lo sono lasciato scappare.
    Ne ignoravo completamente l'esistenza, ed e' stato una piacevolissima sorpresa. Ed e' stato emozionante collegare finalmente i suoni che conosco da anni alle immagini di quella serata memorabile.
    Di quelle serate, a dire il vero, perche il CD e il DVD sono stati il frutto di 4 serate al Brooklyn Academy of Music Majestic Theatre, fra errori, pezzi ripresi qua e la, simpatici passaggi fra un pezzo e l'altro....
    Ora, se da un lato si poteva intuire la sofferenza che Staley stava vivendo in quel particolare periodo, con le immagini questa sofferenza salta subito agli occhi. Sembra quasi che gli altri membri del gruppo lo accompagnino pazientemente, come si puo' stare dietro a un bambino che deve fare i compiti e fa una fatica pazzesca...

    L'atmosfera e' favolosa, il palco e' semplicemente fantastico. Il pubblico siede tutto intorno alla band, su degli spalti, mentre il palco e' ricoperto da cima a fondo di candele, che rendono molto intima l'atmosfera. Dapprima il solo Jerry e' sul palco, mentre introduce la dolcissima Nutshell,o almeno cosi suona in chiave acustica. E uno ad uno entrano i componenti della band, accompagnati dall'ovazione della folla. Cosi ecco Mike Inez, Scottie Olsson (che non e' un membro ufficiale, ma un'amico venuto a dare una mano), Sean Kinney, che uno ad uno si aggiungono al pezzo di Jerry. Ed infine ecco Layne. Si presenta sul palco con gli occhiali da sole. E dire che di luce ce n'e' ben poca, e la poca che c'e' e' tutta tendente al blu. Si sente che non e' piu il cantante di una volta, si vede che e' fisicamente provato.
    Tocca ora a Brother. Jerry regge praticamente da solo molte delle parti vocali, e con la voce che si ritrova riesce a farlo benissimo, e a dare una grande mano a Layne. Ascoltare gli AiC in versione acustica ha un sapore un po strano. In molti si sono avvicinati alla loro musica tramite questo unplugged, che mostra il loro lato piu tranquillo e intimo.
    E mentre Layne ringrazia la folla per l'accoglienza ricevuta, e' Sean ad aprire il successivo No Excuses, pezzo fortemente votato alla versione acustica, dove e' interessante l'incontro delle due voci della band, e il lavoro della sezione ritmica. Uno dei miei pezzi preferiti. Questo e' un brano discretamente duro nella sua versione originale, ma viene eseguito in maniera impeccabile.
    Mike, mentre attende che gli altri siano pronti per il pezzo successivo, si lancia nel riff di Enter Sandman dei Metallica, accompagnato da Sean e dall'ovazione del pubblico.
    Ed ecco arrivare Sludge Factory. Al termine della prima strofa Layne stoppa tutto con un perentorio "Fuck". La canzone in questione sara' il video di lancio del CD, e deve essere perfetta. Cosi, mentre ci si riorganizza, Jerry avvisa il pubblico che questa canzone la sentira' sicuramente piu di una volta, e di portare pazienza, mentre Mike prende in giro Layne. Ma la seconda e' buona, e il pezzo scorre via tranquillo, denotando una vena aggressiva insolita per delle chitarre acustiche. Layne si e' intanto tolto gli occhiali da sole.....mammamia che occhi!!!
    E tocca al pezzo forte, a quello che secondo me rende meglio in acustica, e che denota davvero la vena triste degli AiC, Down in a Hole. Layne lo annuncia con un filo di voce, e il pubblico sembra non capire di cosa si tratti. Ma all'arpeggio scoppia fragoroso l'applauso per la band. Il pezzo e' un lento di bellezza e profondita' incredibili, tutto basato sul continuo dualismo fra le voci di Jerry e Layne, e sugli ottimi passaggi di basso di Mike. Ma qua io adoro la batteria, dove Sean si supera, inserendo qua e la' fraseggi charleston-rullante da urlo.
    Segue un'altro assaggio di Metallica da parte di Jerry, che sfuma in un pezzo country (!!)
    Ed ecco un'altro dei cavalli di battaglia della band, Angry Chair. Che puo' sembrare improponibile in chiave acustica, ma che invece e' bellissimo. Le immagini continuano a giocare sul duo Cantrell-Staley, lasciando poco spazio agli altri, ma forse e' giusto anche cosi'.... Nel frattempo Layne ha imbracciato la chitarra per dare manforte. Non fa granche, ma fa sempre la sua degna figura.
    Altro pezzo storico in arrivo con Rooster. Questo in versione originale ha un riff taglientissimo, molto aggressivo. Buona anche questa trasposizione. E stavolta la parte del leone la fa Sean, che picchia la sua batteria perdisposta per un set acustico fino a farla sembrare la classica batteria da live elettrico. C'e' da dire che ha abbandonato i brushes per le canoniche bacchette in hickory, pero'....
    E con Got Me Wrong arriva un'altro dei miei preferiti. Altra esecuzione da favola, e ancora il duetto vocale a guidare il pezzo. Confesso che senza immagini avevo invertito molte delle parti vocali che Jerry e Layne eseguono.
    Stavolta e' Scottie a introdurre la successiva Heaven Beside You, altro dei miei preferiti. L'originale prevede in effetti l'intro acustico, ma poi passa all'elettrico. Ed e' piacevole sentirla in tutto e per tutto senza i jacks. Bellissimi i cori, peccato si sia data poca risonanza alle voci che vengono dagli spalti...questo e' un pezzo da cantare a squarciagola.
    Visto che i miei pezzi preferiti sembrano non voler smettere, ecco la potentissima Would? ad agitare la serata. Inutile dirlo, anche questa riuscitissima, anche se forse risulta un po scarna nella strofa.
    Si prosegue con Frogs. Non lo amo molto questo pezzo, ma anche lui scorre via piacevole, con tutta l'aura cupa che si porta dietro.
    Siamo alla fine, e arriva Over Now, bellissimo nella sua versione acustica. Continuo ad avere l'impressione che Jerry abbia rubato molte delle parti vocali che solitamente spettano a Layne, ma la cosa credo sia comprensibile.
    E a chiudere c'e' l'inedito The Killer is Me, un pezzo che, forse proprio perche nuovo, non mi lascia molto colpito.

    E qui finisce lo show, e qui, in un certo senso, finisce la storia degli Alice in Chains. Da li a pochi anni Layne morira' per i suoi noti problemi di tossicodipendenza, e la band si sciogliera'. E questo resta un po come quello che vedo come il saluto di Layne ai fans, ma anche ai suoi compagni di viaggio.
    Non amo molto i video, le immagini spesso rovinano l'essenza della musica, ma questa volta e' stato emozionante "vedere" un set dal vivo che conoscevo da anni, a memoria.
    Ovviamente e' consigliato a tutti, sia il CD sia il DVD.

    Voto:95/100

    Zender R. Velkyn
    He had a cloak of gold and eyes of fire
    And as he spoke I felt a deep desire
    To free the world of its fear and pain
    And help the people to feel free again
    Why don't we listen to the voices in our hearts
    Cause then I know we'd find, we're not so far apart
    Everybody's got to be happy, everyone should sing
    For we know the joy of life, the peace that love can bring
    URIAH HEEP - THE WIZARD (DEMONS AND WIZARDS, 1972)

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    • #32
      IN FLAMES - THE TOKYO SHOWDOWN LIVE IN JAPAN 2000 (2001)



      1. Bullet Ride
      2. Embody the Invisible
      3. Jotun
      4. Food for the Gods
      5. Moonshield
      6. Clayman
      7. Swim
      8. Behind Space
      9. Only for the Weak
      10. Gyroscope
      11. Scorn
      12. Ordinary Story
      13. Pinball Map
      14. Colony
      15. Episode 666

      Anders Friden - Vocals
      Jesper Stromblad - Guitars
      Bjorn Gelotte - Guitars
      Peter Iwers - Bass
      Daniel Svensson - Drums

      Stasera devo sentirmi masochista. Con tutta la moltitudine di cd che posseggo, ma proprio questo dovevo andare a tirare fuori? Perche farmi ancora del male dopo che avevo deciso di chiudere in una scatola e di sotterrare nel giardino gli ultimi 8 anni di carriera degli In Flames? Beh, ad ogni modo, vediamo di parlare di questo cd che, senza lode ne infamia, propone Jesper e seguaci in un live nella terra che piu gli sta dando credito e successo: il Giappone.
      Come tutti ben sapete non ho mai amato certe scelte di formazione degli In Flames, a partire dal legnoso batterista Daniel Svensson, un uomo che ha addosso piu ferraglia di quella che puo' contenere un negozio di piercing... Piu che altro non ho mai apprezzato il fatto che il buon Bjorn Gelotte abbia deciso di mettersi a suonare (mediocremente) la chitarra, e abbia abbandonato il suo oscuro ma micidiale lavoro dietro le pelli. Ma si sa, i batteristi non sono molto a posto con la testa.
      Ora, una volta superato il primo boccone amaro, veniamo al secondo....la setlist. Ok, era il tour di Clayman, ma non si possono dimenticare i mostri sacri, quel Lunar Strain e quel The Jester Race che li hanno portati fin li, nella terra del sol levante, a suonare davanti ai nipponici, e anche in tutto il resto del mondo. Beh, dai due gloriosi masterpiece troviamo solo due pessime versioni di Behind Space e Moonshield. Tutto il resto se lo dividono Clayman, Colony e Whoracle....scandaloso!!
      Terza nota dolente, ma non meno importante della seconda.....cari amici di Gotheborg, ma volete cambiare tecnico del suono? Volete licenziare i fenomeni che vi missano i cd? C'era il pubblico presente al vostro concerto? Si? Non me ne ero accorto, perche l'audio esterno e' praticamente inesistente.
      In pratica questo live sembra una presa diretta fattta davanti a una ventina di amici festanti.....mah!

      Ok, partiamo. Niente intro per gli infiammati, il glorioso tema di Star Wars, che li ha accompagnati in precedenza, sparisce. Non c'e' niente di niente. O meglio.....si intuisce che c'e', se ne sentono le note finali, ma e' inspiegabilmente tagliato. E il pathos? L'attesa, la fibrillazione? I defenders che si infoiano mentre le luci crescono e i fumogeni si alzano? Ma dai, non si fa!!
      Il batterista batte il quattro e si parte con Bullet Ride, opener di Clayman. E subito si capisce cosa c'e' di fronte ai nostri timpani. Il suono e' sporco gia per scelta dei musicisti, se poi ci mettiamo i funambolici numeri dei tecnici, ecco il risultato: un'impasto colossale senza precise coordinate, senza anima, senza groove. La canzone e' poi suonata bene, ma non colpisce, non incide. Aggiungeteci la oramai stracotta voce di Friden, che passa dalle sue solite urla strazianti a piccoli mugolii con cui canta la strofa, e il gioco e' fatto. Bah...
      Senza manco salutare il pubblico, si continua con Embody the Invisible, stavolta opener di Colony. Il punto cioe' in cui e' cominciato l'inesorabile declino della band. Come sopra, la canzone e' suonata bene, ma i problemi sono i soliti: suono impastato, la chitarra di Jesper che praticamente cancella quella di Bjorn, salvandola solo nei doppi assoli, e la mia solita voce preferita......
      E mentre Friden continua a ignorare il pubblico, e' stavolta il turno di Jotun (opener di Whoracle). Niente da fare, nemmeno con i pezzi piu vecchi gli In Flames riescono a incidere. Se non altro Bjorn suonicchia la chitarra discretamente, ma ascoltando il tizio dietro le pelli mi viene da pensare che Bjorn lo preferirei in un'altro punto del palco.
      Subito a ruota, senza pause, cosi come era in Whoracle, tocca stavolta a Food for the Gods. Friden continua a ignorare il pubblico. Se c'ero io li sotto, come minimo gli avevo gia lanciato la mia birra addosso alla terza canzone. Inutile commentare la canzone, leggete sopra e saprete.
      Finalmente Friden si degna di rivolgere la parola al pubblico, con la sua solita straziante voce. E dire che ha una bellissima voce pulita. Ma scusate, quello che succede e' comico: Friden annuncia una canzone lenta che arriva da The Jester Race.
      The Jester Race ha una sola canzone lenta....e vai, e' lei, evviva, era ora....godiamo!!
      Il batterista da' il quattro (uhm, mi sembra un 4 un po veloce), e la canzone parte. Lenta? Lenta? Ma mica era lenta?
      E meno male, chissa se decidevano di farla veloce. E oltretutto mi hanno tolto gli arpeggi iniziali. Ecco, io sono quel tipo di fan che a questo punto, dopo un'affronto del genere, se ne va indignato, strappandosi la maglietta degli In Flames di dosso.
      Il break centrale e' perlomeno carino, cadenzato, fatto bene. Ma li' ci dovevano stare gli arpeggi, mica quel riff stoppato li!!!! E alla fine ha anche il coraggio di urlare con fierezza "I am the moonshield"!! Mi sto disperando. A questo punto spero che non rovinino piu nulla dall'album sacro....su, fatelo per i fans....
      Arriva Clayman, una delle migliori dell'omonimo. Suonata bene, precisa, ma niente di piu. E l'impressione che certi suoni non si addicano agli In Flames cresce sempre di piu. Ad accrescere la mia tesi un break centrale degno degli Slipknot....
      Ecco arrivare Swim, e qui potrei aprire un'altra pagina del libro nero che gli In Flames hanno pian piano costruito in me negli ultimi anni. Ma chi diavolo gli scrive i testi? Ma voi siete usciti di testa: L'uomo di cemento, La piantina del flipper, Nuota, Insipido, Zombie incorporated.....ma a voi manca davvero un quarto d'ora abbondante!!!!
      Tornando alla canzone, e' piacevole, per carita', ma siamo alle solite. Una batteria che suona come la mia prima Bontempi (avevo 7 anni), e le solite pecche sonore. E il pubblico? Boh, non si sentono, saranno al bar a bersi qualcosa.....d'altra parte si sa come e' il detto: bevi per dimenticare...
      Ecco arrivare Behind Space. Inizio tambureggiante, ma...qualcosa non va....Daniel suona il primo giro di strofa in controtempo!!!! Aaaaah, ma io ti uccidevo se ero li. E poi, il primo bridge.....che delusione, che pochezza di suoni. Nel complesso suona come la versione che proponevo con la mia vecchia death metal band piu o meno nel lontano 96.....e il nostro nastro registrato su un vecchissimo Saba suonava meglio....Meno male che almeno il break salva la canzone, ma qua l'appunto negativo va fatto a Iwers....bisognerebbe spiegargli che il basso ne ha quattro di corde, e non una....
      Arriva Only for the Weak, e Friden tenta improponibilmente di aizzare la folla con degli urli pietosi.....passiamo oltre...
      Tocca ora al mio pezzo preferito di Whoracle, quella Gyroscope dai magici arpeggi e dalla melodia unica. Tanto per cominciare, di arpeggi non se ne vede nemmeno l'ombra, e poi ancora una volta la accelerano vertiginosamente. Ma che avete? Perdete il treno? Daniel deve andare in bagno? E su, state calmi e suonatela come dio comanda sta benedetta canzone. In compenso Iwers si cimenta in improponibili fraseggi di basso proprio dove non ci vorrebbero. Si sara' accorto delle restanti tre corde... Non ho parole, o meglio, le avrei, ma mi censurerebbero..... Ma insomma, una canzone che dura 4 minuti e passa me la avete schiacciata in 3 miseri minuti e dieci........
      Altro proclama di Friden, che annuncia Scorn. Se non altro riesce ad essere fedele all'originale, almeno questa.
      Altro annuncio, ed ecco Ordinary Story, che sul cd in studio non suona malaccio. E in effeti nemmeno qua mi dispiace. Bella la parte arpeggiata, sorretta da synth (i synth al concerto degli In Flames!!!).
      Ed eccola, la piantina del flipper, la gia' citata Pinball Map. Il pubblico la ama, lo si capisce dall'ovazione (!) con cui accoglie l'annuncio del brano. Il pezzo e' comunque suonato bene, con i soliti difetti che si vedono dall'inizio della serata......
      Si vede lontano un miglio che gli In Flames si trovano a loro agio coi pezzi recenti. Evidentemente i vecchi non se li ricordano bene....
      Dai, un'altro piccolo sforzo, si avvicina la conclusione della performance. Tocca stavolta a Colony, ben eseguita, ma niente di eclatante.
      Siamo alla fine. Dai, chiudete col botto, fateci The Jester Race, fateci December Flower, fateci Lunar Strain, Clad in Shadows, Upon an Oaken Throne....insomma, fateci un po' quello che vi pare cosi ce ne andiamo a casa.....
      Ci avrei scommesso che chiudevano con Episode 666. Bella bella, per carita', ma le vecchie proprio non vi piacciono, eh?
      Insomma, anche stasera a letto senza Dead ********......
      Insomma, si chiude lo show....la folla e' festante, le ragazze si strappano i capelli, si tolgono reggiseni e mutandine e li lanciano a Friden e Stromblad......si, in un'altro film, magari.....
      Dai Hiroshi, accendi la Subaru che la strada per Hokkaido e' lunga......metti su i Bolt Thrower cosi ci ripigliamo da 'sto scempio....

      Azz non ci sto piu...stavolta mi so' superato......

      Zender R. Velkyn
      Ultima modifica di aquilaccia; 03-08-2004, 00:42.
      He had a cloak of gold and eyes of fire
      And as he spoke I felt a deep desire
      To free the world of its fear and pain
      And help the people to feel free again
      Why don't we listen to the voices in our hearts
      Cause then I know we'd find, we're not so far apart
      Everybody's got to be happy, everyone should sing
      For we know the joy of life, the peace that love can bring
      URIAH HEEP - THE WIZARD (DEMONS AND WIZARDS, 1972)

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      • #33
        Seconda parte dello scempio....

        Ora, amici del forum di Gamesnet, la mia potrebbe sembrare una recensione ironica e tagliente ( e infatti lo e' ), ma non parlo cosi tanto per dire. Il live che i ragazzi svedesi hanno avuto il coraggio e la spudoratezza di far ascoltare al mondo intero, io lo ho vissuto davvero. Certo, non a Tokyo, ma al nostrano Rainbow di Milano, il 19 settembre 2000. Serata memorabile quella, almeno finche sul palco non sono saliti gli headliner, ovvero questa brutta copia dei bei tempi che furono.... E meno male che prima di loro almeno ho goduto come un pazzo con Dark Tranquillity e Sentenced.
        Le sensazioni che ho descritto le ho vissute davvero, e come me molti altri ragazzi sono rimasti abbastanza schifati dalla prova degli In Flames. Poi certo, gli stolti che avrebbero esultato persino all'esecuzione di Quel Mazzolin di Fiori ci sono sempre...
        La maglietta non me la sono strappata (anche perche avevo su quella di Projector, mica di Colony, e poi, fradicia come era, in pratica era diventata un'oggetto contundente), la birra non gliela ho tirata a quel pagliaccio di Friden (con quello che costa una birra al concerto...al massimo gli lanciavo il bicchiere di plastica con sputazza incorporata), ma davvero sono rimasto deluso.
        Ma poi io lo so che sono un fesso.
        Cosi alla primavera successiva esce il cd, e io come un fenomeno lo prendo a occhi chiusi, affidandomi ancora al cuore e non alla ragione. Cavolo, li ho visti, hanno fatto pena davanti al signor Pubblico di Milano, figurarsi in Giappone, dove vanno ai concerti in giacca e cravatta e il pogo manco sanno cosa sia......
        Insomma, vale lo stesso discorso fatto per la recensione di Soundtrack to Your Escape....se lo conosci lo eviti, se lo conosci non ti uccide........
        Il mio voto e' 5/100.
        Gli avrei dato anche 50/100, ma 20 punti li perdono dissacrandomi Moonshield, e altri 20 facendo lo stesso trattamento a Behind Space. Gli ultimi 5 rovinandomi Gyroscope.
        Ragazzi, davvero, appendete le chitarre al chiodo......

        Voto: 5/100

        Zender R. Velkyn
        He had a cloak of gold and eyes of fire
        And as he spoke I felt a deep desire
        To free the world of its fear and pain
        And help the people to feel free again
        Why don't we listen to the voices in our hearts
        Cause then I know we'd find, we're not so far apart
        Everybody's got to be happy, everyone should sing
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        • #34
          MAGO DE OZ - BELFAST (2004)



          1. Intro:Irish Pub
          2. Belfast
          3. La Rosa de los Vientos (metal version)
          4. Dame tu Amor
          5. Mujer Amante
          6. Alma (orchestral version)
          7. Mas Que Una Intencion
          8. Dama Negra
          9. Todo Irà Bien
          10. Se Acabò
          11. Hasta Que Tu Muerte Nos Separe (orchestral version)
          12. Somewhere Over the Rainbow

          Josè Andrea - vocals
          Txus di Fellatio - drums
          Jorge Salàn - guitars
          Carlitos - guitars
          Frank - guitars
          Carlos - viola, violin
          Fernando Ponce de Leòn - flute, whistle
          Sergio Cisneros - keyboards, piano
          Sergio Martinez - bass

          A un'anno dall'ottimo Gaia tornano di scena i Mago de Oz, folkloristica (in tutti i sensi) band spagnola che ha saputo perfettamente fondere folk, acustica, rock e metal, in una miscela piacevole e coinvolgente.
          Gaia li ha oramai consacrati in tutta Europa, e in attesa del tanto discusso (nel senso che stanno discutendo se farlo o meno) tour europeo, ecco arrivare a sorpresa sul mercato questo nuovo cd, dal titolo che piu celtico non si può: Belfast.
          Il titolo a dire il vero arriva da una canzone contenuta nel cd, che di celtico ha molto poco, visto che si tratta della rivisitazione della famosa hit dance degli anni 80 di Boney M.....Belfast, appunto.
          E per la maggior parte di questo si tratta: di covers di grandi classici della musica degli ultimi 50 anni reinterpretati alla loro maniera, parole comprese. Si passa cosi da Belfast a Guilty of Love dei Whitesnake, da Lady in Black degli Uriah Heep a Can't help falling in Love di Elvis Presley, fino a Somewhere over The Rainbow, di Judy Garland. In aggiunta alcuni loro pezzi rivisitati in chiave orchestrale, o in chiave piu cattiva, come nel caso di Rosa de los Vientos. Il sound dei MdO e' inconfondibile....a guidare la band sono il violino e il flauto, veri perni della musica folk a cui i madrileni si ispirano. In aggiunta chitarre distorte degne dei vecchi Maiden, e la coinvolgente voce di Josè.

          L'intro, intitolato Irish Pub, non fa altro che far rivivere l'ingresso di una qualunque persona in una classica bettola irlandese....si odono dei passi, una porta che si apre, e una melodia celtica eseguita da chitarre acustiche, violino e flauto all'interno del locale....suggestivo.
          Arriva ora la cover di Boney M: Belfast. Confesso che questa canzone non mi piaceva nella versione originale, e non mi piace molto nemmeno come la eseguono i MdO. Le parole qui restano le stesse, ma e' difficile trasformare un pezzo pop strano come questo in un pezzo metal, per di piu folk. Solo nel finale il pezzo ri riprende un po, ma non mi esalta molto. Cosi' cosi'.
          Il primo singolo di Gaia, La Rosa de Los Vientos, singolo scritto per le radio e quindi molto "easy", viene qui riproposto in chiave piu aggressiva. E questo e' bello, cattivo, deciso. Ad aiutare Josè alla voce c'e' Victor Garcia, gia voce degli Avalanch e ora accasato con i WarCry. Ottimi i cori e ottime le scelte degli arrangiamenti di tastiere e violini.
          Ecco il pezzo dei Whitesnake, Guilty of Love, qui ribattezzato Dame tu Amor. Che bello, in certi passaggi sembra davvero di ascoltare il vecchio serpente bianco. Soliti elementi, e ottime doppie voci. Credo che Coverdale non abbia nulla da ridire su questa ottima versione dei MdO.
          Altro giro, altra cover. Stavolta e' un pezzo dei Rata Blanca, band argentina a cui i MdO sembrano molto legati, visto che avevano gia eseguito in passato un'altra loro cover. Una ballad abbastanza classica, in cui gli elementi folk sono praticamente assenti. Un buon pezzo, ma nulla di trascendentale.
          Ecco un'altro brano degno di nota....la versione orchestrale della cattivissima Alma. Inizio strepitoso....gli strumenti dell'orchestra si stanno accordando, mentre il direttore richiama l'ordine colpendo il leggio con la bacchetta....favoloso. Poi il pezzo non si discosta dall'originale, ma l'orchestra lo completa alla grande....con ottimi passaggi, specie nel refrain. Ottimo.
          Ecco arrivare Mas Que Una Intencion, un'altra cover di un'altra band di rock spagnolo, gli Asfalto. A me sconosciuti, a dire il vero...
          Da quel poco che ho capito in Spagna li considerano un po come noi consideriamo la PFM. E il pezzo infatti ha un vago sapore prog di vecchia scuola, sempre infarcito di elementi folk. Ma a spiccare e' il sintetizzatore che a me fa molto pensare proprio alla PFM. Bello anche questo, anche se mai sentito prima. Cerchero' la versione originale.
          Ed e' il momento della storica Lady in Black degli Uriah Heep, qui rinominata Dama Negra. Il pezzo e' molto fedele all'originale, e ancora una volta Josè si avvale della collaborazione di altre voci. Ecco cosi comparire Sherpa dei Baron Rojo e Julio Castejon, dei gia' citati Asfalto. Visto che la canzone e' composta solo da strofe, i tre ne cantano a turno una a testa. Ottima interpretazione dall'ottimo finale con duetto viola-flauto. Credo che anche Hensley non avrebbe nulla da ridire...
          Il pezzo successivo e' a dir poco spettacolare. La favolosa ballad di Elvis Presley, Can't Help Falling in Love, qui ribattezzata Todo Irtà Bien, viene rivisitata in chiave acustica e in parole castigliane. Grande atmosfera, resa ottima dalla voce di Patricia, in prestito dall'ennesima band spagnola, i Nexx. E il pezzo che sembra spegnersi nella magia delle chitarre acustiche, dei flauti e dei violini, riserva una piccola sorpresa finale. Arrivano anche gli altri strumenti, e accelerano il pezzo che corre allegro e deciso sulle rullate di Txus e sulle voci alzate di tono dei due cantanti. Davero bello, e forse il migliore del lotto.
          Segue lo strumentale Se Acabò, di un'altro chitarrista spagnolo, tale Rosendo Mercado. Ma ignoravo anche la sua esistenza. Il pezzo e' un buon intermezzo, tre minuti colmi dei soliti elementi: chitarre acustiche, violini e flauti.
          Ancora l'orchestra introduce un'altro dei cavalli di battaglia dei MdO, Hasta Que Tu Muerte Nos Separe, dal fortunatissimo Jesus de Chamberì. Ancora fedele all'originale, ma con l'orchestra a completarlo ottimamente.
          Chiude la stranota Somewhere Over the Rainbow, proprio dal famoso film The Wizard of Oz, del 1939, o giu di li. Anche qua solo chitarre flauti e violini. E il pezzo e' proprio bello, e crea un'ottima atmosfera. Ottima chiusura.

          Bel cd, niente da dire. Di ritorno da Barcellona questo e' uno delle prede consquistate in terra di Catalogna. E i Mago de Oz non si smentiscono mai, sfornando sempre lavori eccellenti. Per di piu il layout di questo cd e' bellissimo....all'interno della solita copertina cartonata che tanto va di moda ora non c'e' la solita custodiaccia di plastica, ma un libretto fatto con molta cura. Spiegazioni in lingua madre canzone per canzone, tante foto, e un DVD in aggiunta, che contiene un paio di videoclip, un'altro album fotografico, e un'intervista dalla band.
          Insomma, se siete fanatici del Mago, il cd e' da avere. E se non li conoscete, potrebbe essere un buon modo per avvicinarvici. E se amate melodie alla Skyclad, questo cd potrebbe interessarvi molto....

          Voto: 85/100

          Zender R. Velkyn
          He had a cloak of gold and eyes of fire
          And as he spoke I felt a deep desire
          To free the world of its fear and pain
          And help the people to feel free again
          Why don't we listen to the voices in our hearts
          Cause then I know we'd find, we're not so far apart
          Everybody's got to be happy, everyone should sing
          For we know the joy of life, the peace that love can bring
          URIAH HEEP - THE WIZARD (DEMONS AND WIZARDS, 1972)

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          • #35
            Uscito contemporaneamente in tutto il mondo, Train of Thought è l'ultimo attesissimo studio album registrato dal quintetto all'apice del "prog rock".

            Train of Thought si presenta con un'illustre copertina nera, semplice ed accattivante, che raffigura un paesaggio arboreo dalla cui terra, come fosse una palpebra, si apre un occhio inquietante:



            L'album si compone di sette tracce, della durata media di 10 minuti.

            1. As I Am (7:49)
            Musica: Myung, Petrucci, Portnoy, Rudess
            Lyrics: John Petrucci

            Al primo ascolto di questa canzone vi sembrerà di aver sbagliato CD e di aver inserito per sbaglio il "Black Album". Purtroppo anche i successivi ascolti non la valorizzeranno molto di più: Labrie fa il verso al cantante dei metallica, Petrucci dimentica gli assoli, la musica è in generale banale e ripetitiva. Non merita più di 5.

            2. This Dying Soul (11:20)
            Musica: Myung, Petrucci, Portnoy, Rudess
            Lyrics: Mike Portnoy

            Adesso cominciamo a ragionare. Il pezzo riprende le parti IV V del secondo CD di Six Degrees of Inner Turbolence (l'album precedente) rivedendole con una nuova chiave. La canzone comincia con un richiamo testuale (seppur breve) al mitico Scenes from a Memory, che lascerà i nostalgici con una lacrimuccia agli occhi, per proseguire poi per la sua strada. A metà circa il ritmo cambia gradualmente in un pezzo di "The Glass Prison", che rende il pezzo a tutti gli effetti la canzone "nostalgica" dell'album. Oltre a questi particolari che, seppure possano piacere o meno, rendono la canzone una vera e propria magia di ricordi per quasiasi fan dei DT che si rispetti, la musica è davvero niente male, assoli compresi. Voto: 9+.

            3. Endless Sacrifice (11:23)
            Musica: Myung, Petrucci, Portnoy, Rudess
            Lyrics: John Petrucci

            Ecco il pezzo forse più criticato dell'album; e forse anche il mio preferito. La canzone parte con un arpeggio d'acustica del tutto simile a quello di One (e qui, l'influenza dei Metallica che ha fatto storcere il naso a molti fan si sente ancora), poi Labrie intona con la sua voce una melodia tranquilla e melanconica che accompagna il testo semplice ma suggestivo della canzone. Poi un inizio di batteria e di basso rendono il tono più cupo e la melodia ancora più trascinante per squarciarsi poi in un ritornello che ai primi dieci ascolti vi darà la nausea, per quanto stoni col resto della canzone. Non disperate e continuate ad ascoltarla tutta fino alla fine (dove c'è la parte migliore). Una volta, due volte, tre volte, etc... finchè non vi piacerà, finchè non l'adorerete! Voto: 9 1/2

            4. Honor Thy Father (10:14)
            Musica: Myung, Petrucci, Portnoy, Rudess
            Lyrics: Mike Portnoy

            A mio modesto parere dieci minuti di smaronamento totale. La verità è che l'ho ascoltata ancora troppo poche volte, questa canzone (6 o 7) e non riesco ancora a farmela piacere. Non le do un voto.

            5. Vacant (2:58) + 6. Stream of Consciousness (11:16)
            Musica: Myung, Petrucci, Portnoy, Rudess
            Lyrics: James LaBrie

            Due pezzi uniti. Il primo brevissimo, melanconico, cantato, suggestivo ma niente di più. Il secondo riprende la melodia del primo pezzo e vi costruisce sopra un pezzo in puro stile prog rock con preziosismi strumentali di cui solo i DT potevano farci dono. Davvero stupenda. Voto: 9 1/2

            7. In The Name of God (14:16)
            Musica: Myung, Petrucci, Portnoy, Rudess
            Lyrics: John Petrucci

            Questa canzone intona un vero e proprio inno contro coloro che uccidono nel nome di Dio. Sono ben 14 minuti di canzone ma merita davvero di essere ascoltata, non solo per il testo (che può piacere o meno), quanto per i preziosi acuti di LaBrie, che (ahimè!) di tutto l'album potete ascoltare solo in questa canzone. Voto: 8
            Ultima modifica di Kaisersouze; 05-09-2004, 21:35.
            Who is Kaiser Souze? He is supposed to be Turkish. Some say his father was German. Nobody believed he was real. Nobody ever saw him or knew anybody that ever worked directly for him, but to hear Kobayashi tell it, anybody could have worked for Souze. You never knew. That was his power. The greatest trick the Devil ever pulled was convincing the world he didn't exist. And like that, poof. He's gone.

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            • #36
              Artista: Blind Guardian
              Album: Battalions of Fear
              Anno: 1988
              Genere: Power Metal






              Line-up:
              Hansi Kürsch - Voce e Basso
              Marcus Siepen - Chitarra
              Andre Olbrich - Chitarra
              Thomas Stauch - Batteria




              Siamo nel lontano 1986, quando a Krefeld, una piccola cittadina del Nord Ovest Germania, stava per avere origine quella che sarebbe diventata un istituzione per il Power Metal moderno.
              Dall'idea di quattro amici, nacquero infatti i Lucifer's Heritage, che pubblicarono negli anni successivi, le loro prime due demo, l'omonimo Lucifer's Heritage e Battalions of Fear, che nel 1988 suscitarono l'interesse della Chappel Records, la quale decise di sponzorizzarli.
              Contemporaneamente, il gruppo cambio' il proprio nome, non erano piu i Lucifer's Heritage, bensi i Blind Guardian, nome con il quale raggiunsero la fama all'interno del panorama metal mondiale.
              Il Cd che mi appresto a recensire, segna l'inizio della scalata dei Blind Guardian, che col passare del tempo affineranno uno stile molto diverso e molto piu personale, suscitando comunque ottime impressioni fin dal primo ascolto, per la maturita' compositiva insolita per un debut album, aiutata anche dal fatto che tutti e nove i brani contenuti in questa opera, sono stati modificati e abbelliti piu volte nel periodo in cui la band era senza label.
              Complessivamente il sound ricorda vagamente quello degli Helloween in Walls Of Jericho, con molte influenze anche di mostri sacri del livello dei Metallica o dei Queen, tutte e nove le musiche, sono dotate, in pieno stile power metal, di ottimi Riff, splendidi intrecci solisti delle chitarre e una batteria molto potente e coinvolgente, che si adattano perfettamente con la voce caratteristica di Hansi, molto aggressiva, potente e grintosa.
              Il cd si apre con la bellissima Majesty, un pezzo che nonostante il tempo passi, dimostra sempre di essere uno dei principali esempi di power metal.
              In questa musica di quasi 8 minuti, ci sono potenza, melodia, aggressivita' e tecnica, in un ottimo mix.
              Segue la potentissima Guardian of the Blind, tipica musica da pogo sfrenato, per poi arrivare alla strumentale Trial By The Archon, che introduce a Wizard's Crown, il pezzo, inizialmente chiamato Halloween, e' il mio preferito dell'album, dotato di incredibile potenza e aggressivita', con un testo fortemente ispirato a Stephen King.
              Si arriva quindi a Run for the Night, brano potente e dal ritornello orecchiabile, in pieno stile dei bardi di Krefield, la successiva The Martyr, e' una musica potente e allo stesso tempo incredibilmente tecnica, segue la title track, un brano sullo stesso stile dei precedenti.
              Infine due brani strumentali ispirati al signore degli anelli: By the Gates of Moria e Gandalf's Rebirth, a completare un ottimo debut album.

              Per concludere direi che squesto e' un disco da avere, non solo perchè e' la prima opera di una band che cambiera' il modo di fare Power, o perche porta in se i semi di cio' in cui si evolveranno i quattro tedeschi, ma anche perche quest'album rappresenta una delle pietre miliari del Power Metal vecchio stile, un genere che ormai sta rischiando di scomparire, sommerso dalla incredibile velocita' e tecnica della sua evoluzione.

              Voto: 84/100

              Track List

              1. Majesty
              2. Guardian Of The Blind
              3. Trial By The Archon
              4. Wizard'S Crown
              5. Run For The Night
              6. The Martyr
              7. Battalions Of Fear
              8. By The Gates Of Moria
              9. Gandalf'S Rebirth

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              • #37
                Megadeth - The System has Failed



                Dave Mustaine - Chitarre ritmiche e soliste, voce
                Chris Poland - Chitarra solista
                Jimmy Sloas - Basso
                Vinnie Colaiuta - Batteria

                Intanto ve lo dico: sono tornato dalle vacanze. E cosa mi aspetta al rientro? Un nuovo album dei Megadeth!!!
                Piccola nota: sono il mio gruppo preferito e potrei essere un po' di parte nella recensione. Ok, andiamo.

                Quest'ultimo lavoro dei Megadeth (che, tra parentesi, circolava su internet già da un pezzo...) segna il ritorno sul trono di una delle più grandi band della storia del metal. Anche se di "band" forse poco si può parlare, in quanto oltre al buon vecchio capello arruginito ci sono 3 turnisti.
                L'album parte alla grande con la sconvolgente Blackmail the Universe, che ci fa ricordare quel periodo ('90-'92) considerato dai più come l'età dell'oro dei Megadeth. Ritmiche serrate, assoli stupendi, e già il buon Dave ci sorprende: sulle soliste è molto più pulito di prima. Mentre come non apprezzare l'ottimo lavoro di Poland (che fece parte dei megadeth nel periodo Killing is my business... Peace sells), assoli dall'impronta marcatamente fusion.
                Secondo pezzo, Die Dead Enough, ovvero il primo singolo. Partendo con un arpeggio distorto che sembra preso da una canzone de "Le Vibrazioni", si apre in un pezzo melodico che fa molto "Countdown to Extinction", ma con qualche tocco che sorprende, tipo le tastiere (solo riempitivi ovviamente), e i cori. Arriviamo poi alla già conosciuta Kick the Chair, messa qualche mese fa a disposizione di tutti sul sito dei Megadeth, un pezzo che sembra preso pari pari da Rust in Peace, spettacolare. Segue a ruota The Scorpion, altro spettacolare pezzo del quale possiamo apprezzare le tinte cupi, con un arrangiamento che coinvolge addirittura degli archi in sottofondo. Splendido specialmente il ritornello.
                Siamo giunti così a Tears in a Vial, triste e malinconica, che parla di un amore... passato a miglior vita (senza una storia d'amore finita male non sarebbe un album dei megadeth...), sulla quale non ho molto da dire, tranne che è una delle più orecchiabili e riuscite, assoli da brivido dietro la schiena ed un ottimo refrain.
                Break con I know Jack, pezzo strano, più che altro un'intro di 40 secondi, accattivante, con chitarre armonizzate "da viaggio", se mi passate l'espressione. E ci siamo. Parte la MAIDENIANA (ebbene si, ho detto MAIDENIANA) Back in the day, un vero tuffo nel metal anni '80, pezzo alquanto inconsueto per i 'deth, con dei cori epici e per finire settimine di doppia cassa di Colaiuta... ah, devastante! Orecchiabile e con un ritornello "spettacoloso". Uno dei pezzi più riusciti dell'album.
                Ora arriviamo alla canzone che sarà tra le più chiacchierate: Something that I'm not, che parte con un riff molto nu-metal, nonostante conservi lo stampo Megadeth, ma... sorpresa! Si apre in soli e riff che, tramite alcuni ignoti processi mentali, portano alla mia memoria i Led Zeppelin. Per me è uno spettacolo, ma qualcuno potrebbe non gradire. Segue a ruota Truth Be Told, in breve: partenza sabbathiana, arpeggio spettacolare molto vecchio stampo, ritornello con riffoni stoppati che qualcuno continuerà ad accostare al nu-metal... MA ATTENZIONE! Lo zio Dave ci riserva un finale a sorpresa molto Rust in Peace.
                La decima traccia è Of mice and men, pezzo spensierato, molto ritmato, e potrebbe non piacere a tutti. Segue poi l'intro epica Shadow of deth, da "lacrima all'occhio e spada al cielo", traccia che mi fa venire in mente Bravehearth di Mel Gibson, e chiude l'album My kingdom come, mid-tempo secco e apocalittico. Che dire, passiamo all'impressione generale: arrangiamenti vocali curatissimi, come solo in Risk mi era capitato di sentire, batteria spettacolare, ma è ovvio visto il batterista, produzione un po' più massiccia del solito, il basso fa il suo dovere ma personalmente mi manca quel suono "Ellefson", e Chris Poland è una gioia per le orecchie.
                Le sonorità sono da una parte molto retrospettive, richiamando esplicitamente alcuni lavori del passato, ma sono allo stesso tempo in grado di sorprendere con delle soluzioni stilistiche mai ascoltate nella vecchia produzione del gruppo.

                Conclusione:
                Grande ritorno dei Megadeth?!? Direi proprio di si. E non perdeteveli dal vivo... alle pelli c'è Menza. Si, proprio il tizio di Rust in Peace, Countdown to Extinction, Youthanasia e Cryptic Writings.

                Voto?

                100/100 in mio parere.
                Facciamo un 90/100 per non essere molto di parte.
                E un bel VAFFAN... ai detrattori.
                Ultima modifica di Kranium; 19-09-2004, 22:49.

                Life was like a fantasy / Taken by reality / Does anyone remember me / You once knew me
                Flashes of the day / I knew I was here to stay / But no one stays the same


                Lo Spambollino fa FIGO

                Membro del W.A.M. (War Against Mediaset) e presidente del M.A.I. (Musicians Against Ibanez)

                Ex Custode della Topa (R.I.P.) [NCdS]

                Dedico questa riga alla topa. Mi mancherai.

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                • #38
                  Artist: Black Label Society
                  Title: Hangover Music vol. VI
                  Year: 2004





                  E' con immenso piacere che vi presento questo altro capolavoro di uno dei piu grandi chitarristi rock moderni.
                  Dimenticate tutto quel suono corposo e potente, e immaginatevi ke qst splendido album è concentrato su ballads, e sulla chitarra acustica di Zakk, relegando la sua fida Les Paul a qualche solos (NOTEVOLI!!!) e a qualche sporadico intervento di rifinitura.

                  Il disco si apre con “Crazy or High”, “Queen of Sorrow” (bellissimo l'assolo!!!) e “Steppin’ Stone"...
                  dove il tono caldo della voce di Zakk fà da protagonista.
                  Si procede con “Yesterday, Today, Tomorrow”, “She Deserves A Free Ride (val's Song)”, “Woman Don't Cry” dove propone atmosfere calde e rilassate; continuando appunto con le bellissime “Won’t Find It Here”, “Damage is Done”, “Fear” e “Once More”.
                  “House of Doom” e “No Other”, sono diciamo le uniche track movimentate senza pero' sporcare il tono iniziale dell' album.

                  Per registrare tutto si è fatto aiutare da un paio di amici :

                  Mike Inez (ex Alice in Chains),
                  James LoMenzo (ex White Zombie, Rob Zombie)
                  Craig Nunenmacher (ex Crowbar)

                  voto 85/100

                  neW -- icq # 575727946 --neW
                  Jovinko L'elfo Silvano
                  Vivaldi l'elfo Oscuro

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                  • #39
                    Originally posted by Zender
                    Play With Me, che si apre con la chitarristica interpretazione di Paganini (credo, non sono esperto di musica classica)

                    scusate se quoto ma mi darebbe un po di fastidio...

                    non è Paganini ...ma è Mozart....

                    neW -- icq # 575727946 --neW
                    Jovinko L'elfo Silvano
                    Vivaldi l'elfo Oscuro

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                    • #40
                      DARK TRANQUILLITY - EXPOSURE-IN RETROSPECT AND DENIAL (2004)



                      CD1: RARE AND UNRELEASED
                      1. Static
                      2. The Poison Well
                      3. In Sight
                      4. Misery In Me
                      5. Cornered
                      6. No-one
                      7. Exposure
                      8. Yesterworld
                      9. Unfurled By Dawn
                      10. Midwinter/Beyond Enlightenment
                      11. Vernal Awakening
                      12. Void Of Tranquillity

                      CD2: LIVE
                      1. The Wonders At Your Feet
                      2. The Treason Wall
                      3. Hedon
                      4. White Noise/black Silence
                      5. Haven
                      6. Punish My Heaven
                      7. Monochromatic Stains
                      8. Indifferent Suns
                      9. Format C: For Cortex
                      10. Insanity's Crescendo
                      11. Hours Passed In Exile
                      12. The Sun Fired Blanks
                      13. Damage Done
                      14. Lethe
                      15. Not Built To Last
                      16. Therein
                      17. Zodijackyl Light
                      18. Final Resistance
                      19. Ex Nihilo

                      Mikael Stanne - Vocals
                      Niklas Sundin - Guitars
                      Martin Henriksson - Guitars
                      Michael Niklasson - Bass
                      Martin Brandstrom - Electronics
                      Anders Jivarp - Drums

                      Quasi tutti i lavori di questo genere vengono normalmente definiti album di scarti. E infatti di questo si tratta, visto che stiamo parlando di b-sides, pezzi destinati al mercato giapponese, demotapes e vecchi Ep oramai fuori commercio.
                      Eppure non riesco a farlo passare come un'album di secondo piano nella carriera dei DT.
                      Innanzitutto, esclusi i pezzi del primissimo demotape della band, richiesti da anni dai fans piu incalliti, per il resto si tratta di pezzi provenienti dalle ultime tre produzioni dei DT: Projector, Haven e Damage Done. E per alcuni di loro, la domanda mi e' venuta un po naturale: perche scartarli e non inserirli nel lavoro in uscita? Sarebbe da chiedere a loro, fatto sta che non si tratta di pezzacci di tre accordi buttati li solo per vendere ancora, ma di ottimi pezzi inspiegabilmente messi in un cassetto.
                      Il secondo cd e' invece la (quasi) fedele trasposizione su disco del dvd Live Damage, il live di Cracovia che gia mi aveva entusiasmato l'anno scorso.

                      Partiamo quindi con il primo cd: Rare and Unreleased.
                      L'opener Static riporta subito alla mente Damage Done, sessione da cui proviene. E fedelmente segue il clichee che era il filo conduttore di quell'album. Anche la struttura compositiva e' quella, con tanto di break centrale retto sulle tastiere depechemodeiane di Brandstrom.
                      Sempre dagli scarti di Damage Done arriva poi The Poison Well, altro interessante brano, forse leggermente piu melodico e cattivo della media di DD. Interessante e ben eseguito il cambio di tempo nel finale.
                      Arriva invece da Haven la successiva In Sight, interamente eseguita da Stanne con la voce pulita. A me piacciono molto le sue interpretazioni clean, piene di espressivita' ed energia. Un pezzo che si accosta piu al lavoro precedente, pero', ovvero a Projector. Forse per non fare un passo indietro lo scartarono, chissa'....
                      Sempre dalle incisioni di Haven arriva Misery in Me. Qua vale il discorso fatto per il brano precedente. Il pezzo si accosta molto di piu a Projector che a Haven. Il mid riesce comunque ad essere energico, senza mai perdere la sua vena un po malinconica.
                      La bellissima Cornered, sempre da Haven, ha tutte le caratteristiche dell'opener. Non ce la avrei vista male ad aprire il suddetto cd, anche se avrebbe dovuto togliere il compito a un'altro grande opener come The Wonders.... Bell'intro di batteria, assolo deciso, ritmiche energiche, e un'ottima struttura melodica la avrebbero resa perfetta, comunque. Con il dovuto rispetto e le dovute misure la si potrebbe un po considerare una Punish My Heaven moderna.
                      A richiamare prepotentemente le atmosfere di Projector arrivano le chitarre cariche di effetti di No One. Fortissime le somiglianze con Nether Novas, almeno nella parte dell'arpeggio, e il pezzo si dimostra carico di pathos e di dolore proprio come NN, anche se non arriva mai al suo splendore.
                      Exposure, sempre dalle b-sides di Projector, e' per me un pezzo gia conosciuto, in quanto presente su una raccolta della Century Media, se non mi sbaglio si trattava di In the Eyes of Death (vol 5?). Cattiva, cattivissima, questa in effetti avrebbe un po stonato in Projector. Sicuramente e' quella che piu funge da collegamento fra il vecchio The Mind's I e Projector. Il cambio di tempo in mezzo alla canzone e' comunque da applausi.
                      E a questo punto si fa un "leggero" salto indietro...si torna al 1992, anno dell'Ep A Moonclad Reflection, da cui sono tratte Yesterworld e Unfurled by Dawn. A cantare, da qua alla fine del cd non ci sara' piu Stanne, ma una vecchia conoscenza del death melodico scandinavo, il mio tanto amato/odiato Anders Friden, ora "voce" degli In Flames. Ah che bello sentirlo cantare cosi.
                      I pezzi invece sono ruvidi e caotici, in pieno stile vecchio death metal scandinavo.
                      Ancora dovevano affinarsi i DT, e i tempi di Skydancer sembravano lontanissimi. Comunque restano due tracce da collezionisti.
                      E all'anno prima risalgono le ultime tre tracce, tratte dal famigerato (e tanto agognato dai fans) demotape Trail of Life Decayed.
                      Beh e' bello sentire cosa erano i Dt agli albori della loro storia, ed e' altrettanto bello pensare, 13 anni dopo, a cosa hanno combinato. Musicalmente, i pezzi seguono ne piu ne meno i precedenti gia citati, e di melodia ce ne e' davvero poca.

                      Eccoci al cd2:
                      Non mi soffermero' a parlarne molto, se non per muovere alcuni appunti.
                      Il suono innanzitutto e' molto migliore rispetto a quello del DVD. Paradossale ma vero. Io ho sul mio televisore tanto di Dolby, ma non sono riuscito ad ascoltarmi il dvd cosi bene come mi sto ascoltando il cd ora in cuffia.
                      Appunto nr.2: Possibile che dopo averli visti 5 volte e sempre con un suono di mer*a, questi se ne vanno in Polonia e tirano fuori questo popo' di audio? Boh, saranno i nostri locali che fanno schifo?
                      Terzo appunto: gente polacca, ma che ci andate a fare ai concerti? Statevene a casa, e lasciate che questi mostri vengano a suonare piu spesso in Italia, toccando posti che non hanno mai avuto l'onore di un concerto. Mammamia che schifo, sembra un concerto di morti viventi. Hey, siete di fronte ai Dark Tranquillity, mica alla band dell'oratorio di Cracovia, eccheccavolo.
                      Quarto appunto, stavolta sulla tracklist. Come gia avevo fatto notare nella recensione del live, ci sono troppi pochi classici, e troppi pezzi degli ultimi due lavori. Dai ragazzi, un po piu di impegno, lasciate da parte WhiteNoise/Black Silence, Not Built To Last e Hours Passed in Exhile e fateci Of Melancholy Burning, Silence and Firmament Withdrew, Alone...
                      A febbraio vedremo... sono curioso della nuova scaletta....
                      Ad ogni modo alcune chicche nel live si trovano, a partire dalla immortale Lethe, passando per Hedon, The Gallery, Zodijackyl Light, ThereIn....

                      Conclusioni: Solo per feroci appassionati della band. Per chi vuole sentire come suonavano i DT nel 1991-92, per chi non si e' saziato con Damage Done e con Live Damage, per chi sta contando i giorni che mancano alla loro prossima data italiana e ha in mente l'ultima come se fosse ieri, per chi non li ha mai sentiti live e vorrebbe sentire come suonano, per chi non sa aspettare l'uscita di LOST TO APATHY (15 novembre).
                      Insomma, per chi questa band ce l'ha nel DNA.

                      Voto:85/100

                      Zender R. Velkyn
                      Ultima modifica di aquilaccia; 04-10-2004, 19:40.
                      He had a cloak of gold and eyes of fire
                      And as he spoke I felt a deep desire
                      To free the world of its fear and pain
                      And help the people to feel free again
                      Why don't we listen to the voices in our hearts
                      Cause then I know we'd find, we're not so far apart
                      Everybody's got to be happy, everyone should sing
                      For we know the joy of life, the peace that love can bring
                      URIAH HEEP - THE WIZARD (DEMONS AND WIZARDS, 1972)

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                      • #41
                        Shadow Gallery - Tyranny

                        Anno di uscita: 1998
                        Etichetta: Magna Carta
                        Genere : Metal Progressivo





                        Carl Cadden-James : Bass, Vocals, Flute
                        B.Allman - Guitars, Vocals
                        C.Ingles : Piano
                        G.Wehrkamp : Guitar, Piano, Vocals
                        J.Nevolo : Drums
                        M.Baker : Lead Vocals


                        Dopo aver inanellato due album di pregevolissima fattura, gli Shadow Gallery del prodigioso polistrumentista Carl Cadden-James infilano il terzo clamoroso episodio compositivo, sfornando un ennesimo concept album in due atti di una pomposità e una suggestione assolute.

                        L'argomento trattato è appunto la Tirannia nella società, la voglia di libertà. brani scorrono meravigliosamente bene uno in fila all'altro, complici anche delle melodie vastissime di classe infinita, degli arrangiamenti maniacali veramente eccellenti, una tecnica individuale davvero mirabile. Lo stile ricorda qualcosa dei Queen (soprattutto la coralità delle linee vocali), qualcosa degli Yes che furono, e un pizzico di Dream Theater, ma in generale hanno uno stile abbastanza riconoscibile e personale. Nella canzone "I Believe" vi anche la breve partecipazione di Labrie.


                        TRACKLIST:

                        ACT I

                        1. Stiletto in the Sand
                        2. War for Sale
                        3. Out of Nowhere
                        4. Mystery
                        5. Hope for Us?
                        6. Victims

                        ACT II

                        7. Broken
                        8. I Believe
                        9. Roads of Thunder
                        10. Spoken Words
                        11. New World Order
                        12. Chased
                        13. Ghost of a Chance
                        14. Christmas Day

                        -----------------------------

                        Disco che consiglio agli amanti del genere e non, ne vale la pena sicuramente.

                        85/100

                        neW -- icq # 575727946 --neW
                        Jovinko L'elfo Silvano
                        Vivaldi l'elfo Oscuro

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                        • #42
                          SAVATAGE - DEAD WINTER DEAD (1995)



                          1. Overture
                          2. Sarajevo
                          3. This is the Time
                          4. I Am
                          5. Starlight
                          6. Doesn't Matter Anyway
                          7. This isn't What We Meant
                          8. Mozart and Madness
                          9. Memory
                          10. Dead Winter Dead
                          11. One Child
                          12. Christmas Eve (Sarajevo 12/24)
                          13. Not What You See

                          Zachary Stevens - Vocals
                          Jon Oliva - Vocals, piano, keyboards
                          Chris Caffery - Guitars
                          Al Pitrelli - Guitars
                          Johnny Lee Middleton - Bass
                          Jeff Plate - Drums

                          Volendo scindere in due la carriera dei Savatage, ovvero con e senza il grande e mai dimenticato Criss Oliva, e volendo considerare lo strano Handful of Rain come uno spartiacque, questo Dead Winter Dead si pone come la prima vera pietra della seconda era della band di Tampa.
                          Diversi cambiamenti da Handful of Rain: il ritorno del figliol prodigo Chris Caffery, un nuovo batterista, lo sconosciuto Jeff Plate, a sostituire il dimissionario Doc Killdrum Wacholz, e un'altro nuovo chitarrista, Al Pitrelli, al posto del troppo ruvido e poco adatto Alex Skolnick, ex Testament.
                          Ma sopratutto il ritorno in pianta stabile della mente di questa band, ovvero "the mountain king" jon Oliva, soprattutto in fase canora.
                          E il tema scelto per il ritorno in pompa magna della band non e' dei piu semplici.
                          Tutti ben sanno cosa accadde nell'ex Jugoslavia a cavallo degli anni '90. Una furiosa guerra civile spacco' il paese in fazioni e in nazioni. Jon e compagni decidono cosi di raccontare una storia, una favola, ambientata proprio in una di queste citta', Sarajaevo, dove due amici sono ora divisi da diverse scelte politiche e ideologiche.
                          A far aprire loro gli occhi ci pensera' la musica di un vecchio violoncellista, e la gelida neve che ricopre le strade desolate della citta'.

                          Sul comparto musicale, non c'e' poi molto da dire.
                          I Savatage continuano il discorso sinfonico intrapreso con Handful.. e lo migliorano, lo caricano di atmosfera, di sensazioni dolorose e cupe. Pitrelli compie un'egregio lavoro alla chitarra, costruendo virtuosismi su tutto il lavoro, senza lasciare spazio a momenti banali o a pause. Jeff Plate, l'altro nuovo arrivo, si dimostra sicuramente meno furioso di Wacholz, ma anche piu preciso e fantasioso.

                          Lo dice il titolo stesso.....OVERTURE e' un'......overture. Come ogni degna opera sinfonica pretende! E gia si capisce quella che sara' l'atmosfera dell'intero lavoro. Un'intro da brividi,cupo, cattivo, guidato dall'orchestra ma coadiuvato da tutti i musicisti della band. Un'intro che fa intuire tristi presagi, in modo particolare con il suo incedere finale. Non si poteva cominciare meglio.

                          SARAJEVO continua su questi toni cupi e angoscianti. L'idea e' proprio quella di far immaginare una citta' in preda a morte e distruzione, a dolore e sofferenza.
                          Zack ci conduce cosi a Sarajevo, in un'antica piazza dove domina il campanile di una chiesa. E su questo campanile, un gargoyle di pietra guarda cio' che accade, e si chiede il perche di tutto cio.
                          Chitarre pesanti e orchestrazioni cupe caratterizzano il brano, che sfuma fino al successivo, senza pause.

                          THIS IS THE TIME e' il primo vero pezzo dell'album. Decisamente meno oscuro dei precedenti, il brano introduce alla realta' che si vive a Sarajevo. "Questo e' il tempo, e questo e' il posto. E questi sono i segni che dobbiamo abbracciare.."
                          Favolosa come al solito la teatrale voce di Zack, e strepitoso l'assolo finale di Al, in un crescendo guidato dal piano di Jon che sembra non avere mai fine. Forse il piu bello dell'intero album.

                          Ma e' solo una parentesi. Torna l'oscurita' con I AM. La canzone parla di chi in questa guerra e in queste divisioni ideologiche ci credeva e ci investiva e le voleva, attirando a se la gente con false promesse. "Non c'e' terra tanto piccola da non poter essere divisa. Vieni, ti mostrero' come tracciare la linea, e tu sceglierai da che parte stare, ignorando chiunque ti metta in guardia..."
                          Alla voce c'e' stavolta Jon, con la sua timbrica graffiante e claustrofobica. Adattissima a una canzone del genere, che lascia da parte le orchestrazioni nella parte iniziale per riprenderle nel maestoso break chiuso ancora una volta dall'assolo di Al.

                          E arriva STARLIGHT. Nella notte, guardando verso l'alto, verso il cielo, sembrava di vedere delle stelle cadenti. Ma non ci sono desideri, ma solo colpi di mortaio. "Non abbiamo paura della notte, noi ci creiamo da soli la nostra luce di stelle..."
                          Zack in questo brano sembra voler imitare lo stile canoro di Jon, rendendo il brano fin troppo aggressivo, aiutato dalle chitarre e dalla doppia cassa di Jeff. Vertiginosa e' l'accelerazione finale, a consolidare una struttura compositiva che sembra piacere molto ai Savatage.

                          E' il turno di DOESN'T MATTER ANYWAY. Qui si parla dei signori della guerra, di chi quella guerra la fomentava per trarne i propri vantaggi, vendendo armi e promettendo facili vittorie. "Non importa cosa dici, per qualcuno sei gia morto. E la cosa peggiore e' che vivono proprio di fianco a te. Hai bisogno di armi? Sono qui per questo..."
                          Jon interpreta nella sua solita maniera il brano, a dire il vero un po controverso perche si discosta dalla classicita' che pervade tutto il resto del lavoro. Comunque apprezzabile, anche se un po fuori target.

                          In THIS ISN'T WHAT WE MEANT, la gente comincia a rendersi conto di quello che sta accadendo, e di come i loro sogni e desideri siano stati solo chimere. "E' questa la risposta alle nostre preghiere? E' questo cio che Dio ci ha mandato? Per favore, capisci, non e' cio che intendevamo....."
                          Questo e' un'altro dei capolavori dell'album. Intenso, drammatico, carico di sentimenti di speranza e al tempo stesso di delusione. Alla bellissima prima parte eseguita solo da Zack e da Jon al pianoforte, subentrano gli altri della band, con ancora Al sugli scudi, con un'assolo tanto espressivo quanto gelido e cupo, coadiuvati nella parte finale da una grandiosa orchestra continuamente in crescendo.

                          Ed ecco finalmente il nostro vecchio con il suo violoncello. MOZART AND MADNESS, uno strumentale guidato dalle note, appunto, di un violoncello, vuole mostrare proprio questo vecchio musicista che, nonostante la guerra e la morte, cerca di diffondere un po di gioia con la sua musica. E' lui che i due amici, da posizioni differenti, ascoltano nel cuore della notte. E' lui, con la sua musica, che aprira' loro gli occhi.
                          Tecnicamente, lo strumentale e' ineccepibile, rimarcando un'altra caratteristica e consuetudine dei Savatage. Fantastico il duello fra Al e Jon, che si rincorrono per buona parte del brano.

                          Con MEMORY si ha una specie di fine del primo atto. Il brano non e' altro che l'Inno alla Gioia di Beethoven eseguito esclusivamente dalle chitarre di Chris e Al....davvero bello.

                          DEAD WINTER DEAD mostra finalmente i due amici che realizzano quello che stanno facendo. E decidono di rinunciare a questi propositi di guerra per la loro amicizia. "Ho perso la mia strada, sto pregando, in ginocchio. Sta tutto morendo, e mi porta sempre piu in basso. Guarda dove tutto questo ci ha portato.....morto, morto inverno."
                          La title track presenta poche orchestrazioni, ma in compenso ha quello che e' il piu bell'assolo dell'album, eseguito stavolta (e sara' l'unico) da Chris. Ancora un finale in accelerazione, dove stavolta spicca il lavoro di Jeff dietro le pelli.

                          ONE CHILD e' la fine della ricerca. I due amici si ritrovano, e decidono di scappare da quella violenza e da quell'orrore.
                          "Credero' in te, se lo farai anche tu, oppure dimmi subito che sono solo....."
                          E immancabili ecco i counterpoints. Un brano ordinario diventa cosi uno spettacolo per le orecchie. Forse avevo gia spiegato altrove cosa sono i counterpoints. Beh, lo rifaccio brevemente. In pratica vengono cantate, una sopra l'altra diverse melodie vocali, veri e propri versi slegati fra di loro ma che sovrapposti rendono praticamente inutile l'uso della musica. E' la seconda volta che i Savatage ne fanno uso, dopo Chance su Handful of Rain....
                          Forse non sara' bella come Chance, ma questa One Child ricorda tremendamente alcuni cori tipici dei Queen.

                          Siamo quasi alla fine...ecco CHRISTMAS EVE. I due amici stanno fuggendo da Sarajevo. E' la vigilia di Natale, e lungo il cammino passano per la piazza del campanile, il luogo dove il vecchio era solito suonare il suo violoncello. E lo trovano morto, ucciso da un colpo di mortaio.
                          Ennesimo strumentale carico di passione e dolore per questa traccia. Sembra proprio di poter assistere alla fuga dei due amici, in un crescendo di emozioni e colpi di scena. Altro brano suggestivo.

                          E finalmente, con NOT WHAT YOU SEE, i due amici riescono a fuggire dalla guerra. E ora si chiedono cosa faranno, dove andranno, chi saranno. Hanno solo la loro amicizia, e la speranza nel futuro. "Ho fiducia nel futuro, se prenderai con me questa occasione. La nostra vita sono questi momenti: la musica, la danza. E qui, in questo labirinto di misteri nascosti, chiudo i miei occhi, e sei tutto cio che vedo..."
                          Ancora l'uso dei counterpoints, questa volta in maniera piu maestosa, per meglio sottolineare quello che deve essere il brano principe di questo album. La morale dopo la favola, il messaggio positivo in tutte le domande e i "non capisco" affrontati fino ad ora. E in effetti questo brano ha una chiara predisposizione alla speranza e alla gioia. Una grande chiusura per un album dalle proporzioni e dai contenuti pesanti come un macigno.

                          Ogni altro commento e' superfluo. Se con Streets i Savatage avevano realizzato qualcosa di grande ed eterno, con questo Dead Winter Dead, la band amplifica ulteriormente l'idea del concept-album che tanto amano. Forse tecnicamente non e' il loro lavoro migliore, ma per le tematiche, la passione, l'energia e le emozioni, questo per me rimane il loro masterpiece. E credo lo sara' per sempre.

                          Voto: 95/100

                          Zender R. Velkyn
                          He had a cloak of gold and eyes of fire
                          And as he spoke I felt a deep desire
                          To free the world of its fear and pain
                          And help the people to feel free again
                          Why don't we listen to the voices in our hearts
                          Cause then I know we'd find, we're not so far apart
                          Everybody's got to be happy, everyone should sing
                          For we know the joy of life, the peace that love can bring
                          URIAH HEEP - THE WIZARD (DEMONS AND WIZARDS, 1972)

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                          • #43
                            THERION - SECRET OF THE RUNES (2001)



                            1. Ginnungagap
                            2. Midgård
                            3. Asgård
                            4. Jotunheim
                            5. Schwarzalbenheim
                            6. Ljusalfsheim
                            7. Muspelheim
                            8. Nifelheim
                            9. Vanaheim
                            10. Helheim
                            11. Secret Of The Runes
                            12. Crying Days (Bonus-Track)
                            13. Summernight City (Bonus-Track)


                            Cristofer Johnsson - Guitars, keyboards, percussions
                            Kristian Niemann - Lead guitars
                            John Niemann - Bass
                            Sami Karpinen - Drums

                            Guests:
                            Marika Schonberg - Solo soprano
                            Erika Andersson - Solo alto
                            Karl Rahmqvist - Solo alto-baritono
                            Kristina Hansson, Anna-Maria Krawe - Soprano
                            Anna Artursson - Alto
                            Henrik Holmberg, Patrik Forsman - Tenore
                            Joaquim Berg - Basso-baritono




                            La "bestia selvaggia" (Therion, in greco) ha colpito ancora.
                            Se Vovin era stato superbo, questo Secret of the Runes non e' da meno, anzi, e' probabilmente migliore. Forse perche piu diretto e veloce, anche se mai banale e ripetitivo.
                            Il gruppo piu coraggioso che la storia della musica abbia mai conosciuto torna a stupire e a far sognare. Lontani anni luce gli albori death, i Therion continuano la strada che avevano intrapreso: metal fuso ad opera lirica. Nessun lead singer a cantare, ma un gruppo di tenori, baritoni e contralti, uniti ad un'orchestra e alle solite gigantesche chitarre di Cristofer Johnsson.
                            Oltre a tutto cio, Secret of the Runes si pone all'ascoltatore come un concept che vuol trasportare l'immaginario nei nove mondi della mitologia nordica, ognuno con le sue sfumature e caratteristiche.

                            Si parte da "Ginnungagap", la nascita dell'universo. La piu lunga track del lotto si dimostra subito cattiva, anche se non viaggia a folli velocita'. Subito si nota la perfetta amalgama dei suoni. E subito ottima la fusione fra voci liriche, strumenti distorti e strumenti classici.
                            Si passa al mondo degli uomini, a Midgard. Epico il coro che introduce il pezzo solista di Marika. Le chitarre sembrano non voler forzare mai, e mentre le altre voci entrano pian piano, arrivano gli arpeggi a dare un tono molto quieto al brano. Chitarre che scompaiono totalmente dal chorus, ma la canzone non sembra risentirne affatto. Memorabile l'assolo finale, con la canzone che ha gia subito la sua accelerazione.
                            E dopo il mondo degli uomini, facciamo visita al mondo degli dei nordici. Asgard e' la loro dimora. All'intro, che spetta alla batteria, fa seguito un'altro riff assassino di Cristofer, tanto semplice quanto geniale e coinvolgente. Gli interpreti lirici rendono il pre e il chorus memorabili. Sembra davvero di stare a teatro, ad assistere ad un'opera lirica con chitarristi e batteristi a dare una mano.
                            E ora andiamo a Jotunheim, patria dei titani, nemici giurati degli dei. Forse la canzone che piu di tutte ha i connotati del brano lirico. Cadenzato, ricco di atmosfera, onnipotente. Qualcosa che potrebbe vagamente ricordare un' Aida... Quattro minuti che scorrono via senza particolari variazioni o stravolgimenti.
                            Lasciato il regno dei titani, ci addentriamo a Schwarzalbenheim, il regno dei nani. Fa la sua comparsa la lingua tedesca (cantata dagli uomini), a contrapporsi a quella inglese, interpretata dalle donne. Ad un'inizio lento, fa seguito un'interessante cadenzata parte centrale, che sfuma in un outro interamente eseguito dagli archi, che ci accompagnano nel minuto finale del brano. Usciti dal sottosuolo, ci ritroviamo a Ljusalfheim, verde regno degli elfi. Il brano e' uno dei piu belli dell'intero lavoro, a mescolare sapientemente chitarre acustiche dalla dolce melodia a voci liriche e orchestre sinfoniche. Mirabolante l'assolo di flauto traverso, a precedere quello di Kristian, fatto di continui sweep, con le chitarre che finalmente si distorcono. Magico.
                            Ma la pace non durera' poi molto: siamo diretti a Muspelheim, regno del fuoco e dei golem.
                            All'evocativo e snervante coro iniziale, subentra un furioso attacco sonoro. Il pezzo ha connotati piu metal rispetto a tanti altri qui presenti, ma conserva sempre la sua bellezza classica. Le voci sembrano duellare fra di loro, e cosi sembrano fare anche gli archi.
                            Continuiamo il nostro viaggio verso Nifelheim, cristallino regno dei ghiacci. Un pezzo che continua sulla scia dei precedenti, ma che mostra un'inaspettato growl (probabilmente eseguito da Cristofer stesso) a dare un taglio diverso al brano. E altro elemento inaspettato, e' il tribale assolo di Sami, a chiudere il brano.
                            Spetta ad un violino aprirci le porte verso Vanaheim, casa dei Vanir, la seconda famiglia di dei scandinavi.
                            Dicevamo del violino ai cancelli di questo mondo: ben presto lascia strada a un crescente incedere, che mescola sapientemente chitarre acustiche, soli distorti e i soliti interpreti lirici sugli scudi. E il brano, nel suo incedere maestoso ed epico, accelera furiosamente, per correre veloce sulle note della chitarra di Kristian, autore di un'altro grande assolo finale, coadiuvato in uno dei rari esempi di doppia cassa dell'intero lavoro. Altro dei miei brani preferiti.
                            Si torna nel sottosuolo, a Heldrasil, l'aldila', l'ade. Ottima la prova della voce baritonale, ancora una volta aiutata dalle voci femminili, prima che la chitarra torni a dare un'aspetto piu aggressivo al brano. Ma il passaggio nell'aldila' e' breve, e siamo alla fine del viaggio.
                            The Secret of the Runes chiude degnamente questo lavoro, con un riff iniziale bellissimo, a ricordarmi vagamente una vecchia melodia dei miei amati Anathema, quelli dei bei tempi di ********.
                            Metal canonico, tirato, con chitarre aggressive aiutate dalla cadenzata batteria di Sami. Inutile dire che la parte del leone la fa ancora una volta il comparto vocale, anche se questa traccia si discosta leggermente dalle altre, proprio per la sua piu marcata impronta metal.
                            E letteralmente staccato dall'album ( e lo dimostra l'abbondante minuto di silenzio finale della traccia precedente), ecco la chiusura, le bonus track Crying Days e Summernight City, la prima di proprieta' degli Scorpions, e la seconda degli Abba. Stranamente e' piu cattiva la seconda della prima, ma sinceramente non mi voglio soffermare su questi due brani. Sono solo un regalo ai fans, e con il lavoro non c'entrano nulla. Ci tengo solo a dire che, nonostante la presenza delle voci liriche, stavolta a cantarle c'e' un vero cantante, Piotr Wawrzeniuk, gia collaboratore dei Therion, ex Serpent e ora con i Carbonized.

                            Conclusioni? La conclusione e' che i Therion sono geniali!
                            Nessun gruppo ha osato come loro. Loro hanno aperto una strada che in molti hanno provato a seguire, ma mai con i loro risultati.
                            Una sola parola: maestosi!
                            Vi piace la lirica ma non sopportate il metal? Provate a farlo questo esperimento, ascoltate questo lavoro, chissa' che il metal non cominci a starvi simpatico....

                            Voto: 90/100

                            Zender R. Velkyn
                            He had a cloak of gold and eyes of fire
                            And as he spoke I felt a deep desire
                            To free the world of its fear and pain
                            And help the people to feel free again
                            Why don't we listen to the voices in our hearts
                            Cause then I know we'd find, we're not so far apart
                            Everybody's got to be happy, everyone should sing
                            For we know the joy of life, the peace that love can bring
                            URIAH HEEP - THE WIZARD (DEMONS AND WIZARDS, 1972)

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                            • #44
                              DREAM THEATER - OCTAVARIUM (2005)



                              1. The Root Of All Evil
                              2. The Answer Lies Within
                              3. These Walls
                              4. I Walk Beside You
                              5. Panic Attack
                              6. Never Enough
                              7. Sacrificed Sons
                              8. Octavarium

                              Rieccoli, puntuali come al solito. Il quintetto statunitense che ormai ha consolidato i principi del Prog Metal fornendo un punto fermo per qualunque prog band moderna torna con questo nuovo attesissimo (così pare) album.

                              Dopo l'album Train of Thought (da me considerato di transizione) i DT sembrano aver ritrovato in parte un loro stile personale (seppure si portino dietro alcune delle caratteristiche thrash maturate con l'ultimo album).

                              La prima traccia, The Root of All Evil appare subito accattivante all'orecchio: nuove sonorità si fondono in uno stile prog tipico degli ultimi DT con richiami a This Dying Soul, uno dei pezzi più discussi dell'album precedente. A detta di Portnoy, in effetti, questo brano vorrebbe chiudere un ciclo iniziato con The Glass Prison dall'album Six Degrees of Inner Turbolence e continuato, per l'appunto, con This Dying Soul dell'album Train of Thought.

                              The Answer Lies Within rappresenta il primo pezzo melodico di un certo rilievo dai tempi di Disappear. Le qualità canore di Labrie (indiscutibili sebbene abbia perso gran parte della verve passata) vengono esaltate dall'uso morbido degli strumenti. Una piccola nota (per me negativa): in alcune parti sembra quasi "e" di Vasco Rossi.

                              These Walls è probabilmente uno dei pezzi più belli. Non ha la pretesa di essere il solito pezzo da 10 minuti con assoli impossibili, scale e controtempi ricercati: un brano semplicemente bello.

                              I Walk Beside You comincia con un ticchettio familiare a coloro che ben ricordano Scenes From a Memory. Nonostante l'inizio tipicamente prog, presto le note si trasformano per andare a formare il secondo pezzo melodico dell'album e, ahimè, non ha molto da raccontare nella sua mera banalità.

                              Panic Attack si apre inizialmente con un attacco tipico del nu metal ma poi, credetemi, si rivela tutt'altro. Il paragone coi pezzi passati risulta difficile: la canzone è prog ma dai DT, personalmente, non avevo mai sentito nulla di simile. Durante la seconda metà le cose cambiano: ritornano gli assoli alternati di chitarra/tastiera che tanto ci piacciono (e ogni tanto annoiano).

                              Never Enough alterna pezzi adrenalinici a tratti (perdonatemi il termine, per nulla dispregiativo) sdolcinati. Le qualità canore di Labrie, che riesce ancora ad andare alto (non più come una volta), esaltano il valore di una canzone già di per sè molto bella. Il pezzo si chiude con una serie di scale e assoli prog prima del ritorno finale al main theme.

                              Sacrificed Sons è sin qui il pezzo più prog. L'inizio è tranquilllo e un po'banale (a tratti sembra un pezzo di Avril Lavigne! O_o), poi controtempi e transizioni solenni tipiche dei DT si alternano e la canzone si chiude infine con lo stesso riff ma con un bel controtempo di batteria di sottofondo.

                              Con Octavarium è probabile che i DT non fossero soddisfatti a pieno dei 23 minuti e più di A Change of Seasons. Si sono detti: "famo cifra tonda, 24 minuti, e morta là...". Sorvolando sulla scelta (criticabile secondo me) della durata (tanto valeva fare 5 canzoni da 5 minuti), proviamo un po'ad ascoltare questo pezzo. L'inizio è senz'altro d'atmosfera con la chitarra distorta a basso volume in sottofondo assieme al suono prolungato della tastiera. Ad un certo punto una melodia sembra formarsi lentamente e non saprei dirvi se sembra di più una musica western o orientaleggiante... Parte la batteria assieme ad un assolo semplice ma suggestivo di tastiera. Poi la chitarra acustica di Petrucci accompagna un flauto (cinese credo) in un pezzo del tutto ispirato a Kill Bill, comunque con una sua certa originalità. Comincia poi la parte cantata, guidata da un arpeggio acustico semplice ed efficace. Sono passati otto minuti. Il ritmo diventa più veloce, la melodia più allegra ma l'idillio dura poco: ecco un accattivante assolo di basso del prode Myung. Il cantato riprende e la melodia continua la sua lenta evoluzione (non siamo neanche a metà canzone... O_o). 12 minuti e 16 seconi: comincia un pezzo che non potrà non ricordarvi "è festa" dei PFM, seppure più tecnico. Mancano dieci minuti alla fine e la melodia cambia ancora (bastaaaaaa!!!!!!) in una serie di transizioni più e meno prog sino a giungere alla fine, solenne come in tutti gli ultimi album. Uff!!!!

                              In conclusione, posso dire che quest'album mi è piaciuto più del precedente. Meno tecnico, meno ricercato, meno sperimentale, meno thrash: solo prog e melodia pura e semplice, a tratti forse un po'plagiata, ma adatta alla situazione. Se speravate in un capolavoro pari a Scenes from a Memory, tuttavia, avete inteso male: questo album si lascia ascoltare ma bisogna ormai accettare la realtà che i DT sono una band che sta andando verso il ritiro.
                              Who is Kaiser Souze? He is supposed to be Turkish. Some say his father was German. Nobody believed he was real. Nobody ever saw him or knew anybody that ever worked directly for him, but to hear Kobayashi tell it, anybody could have worked for Souze. You never knew. That was his power. The greatest trick the Devil ever pulled was convincing the world he didn't exist. And like that, poof. He's gone.

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                              • #45
                                9.0 LIVE


                                ARTISTA:SLIPKNOT
                                daTA RELEASE:2005



                                TRACKLIST:
                                1)The blister exist
                                2)(SIC)
                                3)disasterpieces
                                4)before i forget
                                5)liberate
                                6)vermilion
                                7)pulse of the maggots
                                8)purity
                                9)eyeless
                                10)drum solo
                                11)eeyore
                                12)three-nil
                                13)left behind
                                14)the nameless
                                15)skin ticket
                                16)everything ends
                                17)the heretic anthem
                                18)iowa
                                19)duality
                                20)spit it out
                                21)PEOPLE=SHIT
                                22)get this
                                23)wait and bleed
                                24)surfacing

                                Il gruppo dei 9 pazzi provenienti dall'iowa ha sfornato un nuovo album.......questo cd raccoglie i 24 live migliori della storia recente del gruppo che sono stati registrati in varie occasioni a Phoenix,dallas,SIngapore ed al rock AM ring.
                                Gli slipknot per chi non li conoscesse sono un gruppo che si indirizza verso il death metal ma con influenze provenienti da altri generi musicali.
                                La sinergia di questo gruppo creato nel '95 da joey jordison (batterista)corey taylor(cantante) e compagnia ha portato alla creazione di quest'ultima fatica che segue al successo di VOL 3.0 the subliminal verses.........dove gli slipknot hanno scoperto un nuovo lato di se stessi mostrandosi più tecnici e meno pesanti.Ma senza altri indugi passiamo al commento di questo cd...........le canzoni sono il remake di quelle che gli hanno resi più celebri come EYELESS,EEYORE,DUALITY ecc.........in questi live gli slipknot esprimono tutta la loro voglia di fare casino e di andare contro l'industria della musica di "plastica".Dal punto di vista dei vocal Corey taylor delude (anche se mi duole dirlo)nelle canzoni degli album precedenti(get this,PEOPLE=SHIT,left behind) per i suoi gravi problemi alla gola che nn gli permettono più di effettuare scream decenti.......ormai la sua voce si avvicina sempre più a quella del cantante dei children of bodom ossia più alta e stridula.A parte i vocals la parte musicale resta ad ottimi livelli dove i chitarristi JIM ROOT E MICK THOMPSON....danno il meglio di loro stessi con reef strepitosi.....anche se qualche volta eccedono con l'improvvisazione dettata dall'adrenalina del concerto.......i restanti membri fanno il loro lavoro come clown,chris e sid.........ma da segnalare è in questo album è il batterista joey jordison valutato come il più veloce dell'era del metal nel SOLO viene espressa tutta la sua capacità tecnica che vale la pena di ascoltare.

                                COn questo concludo spero di essere stato abbastanza chiaro ed esauriente se volete POGARE Contro il muro o con i vostri amici questo è il cd giusto!!!!!!!!!!!!!!!!

                                RAga menate altre recensioni che questa parte è isolata
                                Ultima modifica di Bestj; 21-08-2006, 14:43.
                                One last thing before I quit
                                I never wanted any more than I could fit
                                Into my head I still remember every single word
                                You said and all the shit that somehow came along with it
                                Still there's one thing that comforts me since I was
                                Always caged and now I'm free
                                R.I.P.

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