Premessa
Ho scritto questa storia traendo ispirazione essenzialmente da due cose molto differenti tra loro.
La prima e' il mio grande amore letterario : Stephen King che ha scritto una storia di fantasmi(che ho letto da poco su di una raccolta che vi consiglio" Tutto e' Fatidico") che tanto mi ha fatto spaventare come nessuno lo aveva fatto ormai da tanto troppo tempo.
La seconda fonte d'ispirazione e' stata una leggenda popolare della mia zona che narra di una casa infestata,Villa Schifitto, appunto della quale ora vi raccontero' a modo mio.
Spero vi piaccia...
La stanza a Villa Schifitto
Con la mano tremante che usciva appena dalle rozze coperte di lana grezza spensi la luce e chiusi gli occhi.
Avvertì subito freddo: un freddo pungente che mi lasciava ammutolito, attonito ,incapace di reagire, quel genere di freddo che si può provare quando si ha qualche linea di febbre.
Mi accorsi che il fiato che mi usciva dalla bocca si condensava in una nuvoletta di vapore acqueo che subito si disperdeva nell’ambiente. Provai a rifugiarmi sotto le coperte, ma ciò non giovò quasi per nulla alla mia condizione. Riaccesi la luce. La camera aveva un aspetto grottesco , ma non terrificante. Era spoglia e l’arredamento aveva un non so che di sbagliato.
E’ difficile a spiegarsi: Quei pochi mobili ,un armadio ,uno scrittoio,un comodino e due sedie, sembravano le antiche vestigia di civiltà ormai scomparse o dimenticate. Non che fossero brutti di per se ,anzi ,erano dei banalissimi mobili d’ “arte povera” ma la loro presenza era inquietante, sembravano lì da secoli immobili ed astanti come disegnati su di una tela .Erano come bidimensionali e l’effetto era accentuato dal fatto che la luce proveniente dalla piccola abatjour sul mio comodino non disegnava alcuna ombra dietro ai loro polverosi profili. Mi alzai dal letto e con un balzo raggiunsi il giubbotto di jeans appeso alla spalliera di una delle sedie. Lo indossai subito stringendomelo addosso in un abbraccio poco confortante.
Fu in quel occasione che mi accorsi dei quadri. Non ci avevo fatto caso prima, o meglio non li avevo osservati con la dovuta attenzione: c’erano tre quadri appesi sulla parete più lunga della stanza. Mi rimisi a letto ,con la coperta che mi arrivava su fino al naso, ma non spensi la luce, osservai quelle tre “croste”.
Il primo raffigurava una donna. Era distesa su di un giaciglio come quel famoso quadro di Goya , quello raffigurante la famosa “Maya Desnuda” solo che ,ovviamente, il paragone meramente artistico non reggeva. Il quadro che osservavo era dipinto da pennellate secche e furiose tanto da confondere i profili della “Maya” con quelli del giaciglio su cui era sdraiata.
Era nuda, il suo sguardo era confuso per via della scarsa perizia dell’artista nel dare le pennellate pensai, sembrava guardare fuori attraverso la sola finestra di cui la stanza era munita. Aveva uno strano colorito (o forse era la luce dell’abatjour a confondermi) avorio , del tutto identico a quello delle lenzuola sulle quali giaceva. Il gioco di luci e di colori dava l’impressione che stesse venendo fuori da quelle lenzuola e non che vi si fosse semplicemente sdraiata: non c’era peso nel suo corpo. Così come i mobili della stanza anche la mia “Maya” sembrava totalmente bidimensionale mischiata al sottile lenzuolo sul quale giaceva.
La mia attenzione fu attirata da un altro quadro ,quello centrale. Raffigurava un vecchio con un cappello di paglia in testa ed una folta barba rossastra a coprirgli il volto sovrastato da imperiosi occhi blu che sembravano fissarmi.
Era quasi la caricatura di uno dei famosi autoritratti di Van gogh ,dico caricatura perché al pari della “Maya” le pennellate che componevano la figura erano forti e rigide e i contorni delle figura confusi ed offuscati, come una scena in perenne movimento o una foto venuta mossa. Un cappello di paglia copriva quasi del tutto la fronte. L’ultimo quadro rappresentava una natura morta rassomigliante alla omonima opera del Caravaggio ma ,anche in questo caso, tutto appariva piatto e sfocato al contempo, donando al dipinto la stessa caratteristica che avevo già riscontrato negli altri due. Il fondo del quadro era giallo ocre e vi spiccava il soggetto principale: delle mele , dell’uva e pochi agrumi che parevano attaccati da parassiti o da una eccessiva maturazione. La frutta sembrava inghiottita da quella doratura giallo ocre che in realtà voleva essere solo il muro di sfondo dove la scena era stata immaginata o dipinta dal vivo( a confortare la mia tesi era possibile distinguere un foro di pochi centimetri di diametro su quel muro dipinto).Pensai che l’artista che aveva dipinto quei quadri sarebbe potuto essere un grande appassionato di pittura di tutte le epoche visto che i quadri erano l’imitazione più o meno grottesca e ben riuscita di famosi dipinti tra i più noti che la storia dell’arte ricordi.
Tuttavia c’era in tutti e tre quel tratto così confuso e quella bidimensionalità che li faceva assomigliare ,per contrasto, a dei geroglifici egizi ,per un verso , o a dei moderni esperimenti di fotografia artistica ,dall’altro. Dovevo pisciare. Andai in bagno ,forse il luogo più squallido di tutta la camera con le sue ceramiche di quarto ordine e i pezzi ,tazza ,lavandino, bidet e vasca ,di uno scialbo color azzurro confetto che stonava decisamente con il resto della stanza di un opaco giallo ocre(si, molto simile a quello del dipinto con la natura morta).Sentivo la mia urina scrosciare abbondantemente nell’acqua della tazza, girai il mio sguardo verso il basso per controllare ciò che -uhm - stavo producendo e per indirizzare correttamente il getto (non sono un maleducato) per evitare sbavature al di fuori della tazza. Ad un tratto ebbi paura. Ebbi la netta sensazione che stessi pisciando sangue. Scendeva piano e intenso attraverso il mio glande semi chiuso ed andava a lambire la tazza producendo schiumosi rivoli rossastri. Il pozzetto era diventato scuro e torbido. Vi si rifletteva la superficie ellittica e semilucida della tazza a disegnare come una grande pupilla malevola in quel rosso scuro che era stato prima semplice acqua trasparente. Mi accorsi di stare per perdere i sensi, mi allontanai lottando con me stesso per non cedere aggrappandomi al vicino lavandino. Aprì il rubinetto e mi sciacquai la faccia con la gelida acqua che ne usciva, subito mi sentì meglio. Accesi la piccola luce che stava sulla specchiera tralasciando di osservare il mio riflesso , sentivo che ci avrei visto qualcosa di sbagliato…
La luce si accese, mi feci coraggio e osservai nuovamente la tazza.
Tutto il bordo ed il pozzetto era ricoperto dalla mia urina,niente di più.
Pensai che forse stavo male sul serio , che magari ,visto il cerchio di dolore acuto che si allargava nella mia testa ed il freddo che ancora mi faceva tremare come una foglia, mi fosse venuto un malanno: un bel raffreddore di qualche ceppo particolarmente potente come sintomi ed effetti collaterali. Avevo delle mesulid con me.
Fui risoluto a ricondurre tutte quelle stranezze alla mia potenziale febbre da cavallo,anche se tastandomi la fronte con la mano non riuscivo a percepire nessun calore in eccesso rispetto a quello della mia normale temperatura corporea. Riempì il bicchiere di vetro che si trovava sul lavandino con dell’acqua e vi mischiai il contenuto della bustina di Mesulid che avevo prontamente tirato fuori dal mio zaino. Bevvi tutto d’un fiato e andai nuovamente a letto. Ero scosso ed intimorito.
Il sonno era completamente passato, mi sentivo come un peso sullo stomaco che mi schiacciava gli intestini verso il basso. Uno di quei sentimenti di oppressione che forse sono soltanto mentali ma che indubbiamente hanno ripercussioni anche sul fisico. Avevo voglia di leggere per rilassarmi e riuscire a prendere sonno , ma la sola cosa che avevo portato con me era un libro di Stephen King che giudicai inadeguato vista la strana atmosfera che si respirava in quella stanza.
Accesi una sigaretta che iniziai a fumare avidamente ripercorrendo con gli occhi il denso fluttuare di fumo bluastro che saliva verso l’alto. “no , Maddalena e’ morta “ dissi, meravigliandomi di me stesso.”cos…a?!” balbettai. Non capivo cosa mi accadeva, ero certo che fossi stato io a parlare ma non ne avevo la benché minima traccia di consapevolezza.
Mi drizzai di scatto dal letto restandovi seduto con gli occhi spalancati ed il cuore che batteva all’impazzata.”E’ viva” balbettai ancora. Sudavo freddo.
Non riuscivo a capire come potesse accadere un fenomeno simile , mi limitavo a vagliare mentalmente tutte le spiegazioni possibili, o comunque scientifiche ma non ne trovai alcuna, la sola ipotesi che mi restava era un :”Nooo…non può essere…”.
Mi alzai di scatto dal letto in preda a conati di vomito, credo più per la tensione che per altre e misteriose cause. Appena accanto ai tre quadri mi accorsi con sgomento che erano cambiati.
La “Maya” era seduta sul letto e con le mani si abbracciava le ginocchia che aveva piegato fino all’altezza dei seni nudi. La sua candida veste si allargava di scuro, si allargava di sangue e ,anche se non potevo esserne certo, il quadro pareva mutare proprio sotto ai miei occhi: sembrava quasi come guardare scorrere la lancetta grande di un orologio: Si sa che si muove anche se non se ne riesce a percepire il movimento.
Ho scritto questa storia traendo ispirazione essenzialmente da due cose molto differenti tra loro.
La prima e' il mio grande amore letterario : Stephen King che ha scritto una storia di fantasmi(che ho letto da poco su di una raccolta che vi consiglio" Tutto e' Fatidico") che tanto mi ha fatto spaventare come nessuno lo aveva fatto ormai da tanto troppo tempo.
La seconda fonte d'ispirazione e' stata una leggenda popolare della mia zona che narra di una casa infestata,Villa Schifitto, appunto della quale ora vi raccontero' a modo mio.
Spero vi piaccia...
La stanza a Villa Schifitto
Con la mano tremante che usciva appena dalle rozze coperte di lana grezza spensi la luce e chiusi gli occhi.
Avvertì subito freddo: un freddo pungente che mi lasciava ammutolito, attonito ,incapace di reagire, quel genere di freddo che si può provare quando si ha qualche linea di febbre.
Mi accorsi che il fiato che mi usciva dalla bocca si condensava in una nuvoletta di vapore acqueo che subito si disperdeva nell’ambiente. Provai a rifugiarmi sotto le coperte, ma ciò non giovò quasi per nulla alla mia condizione. Riaccesi la luce. La camera aveva un aspetto grottesco , ma non terrificante. Era spoglia e l’arredamento aveva un non so che di sbagliato.
E’ difficile a spiegarsi: Quei pochi mobili ,un armadio ,uno scrittoio,un comodino e due sedie, sembravano le antiche vestigia di civiltà ormai scomparse o dimenticate. Non che fossero brutti di per se ,anzi ,erano dei banalissimi mobili d’ “arte povera” ma la loro presenza era inquietante, sembravano lì da secoli immobili ed astanti come disegnati su di una tela .Erano come bidimensionali e l’effetto era accentuato dal fatto che la luce proveniente dalla piccola abatjour sul mio comodino non disegnava alcuna ombra dietro ai loro polverosi profili. Mi alzai dal letto e con un balzo raggiunsi il giubbotto di jeans appeso alla spalliera di una delle sedie. Lo indossai subito stringendomelo addosso in un abbraccio poco confortante.
Fu in quel occasione che mi accorsi dei quadri. Non ci avevo fatto caso prima, o meglio non li avevo osservati con la dovuta attenzione: c’erano tre quadri appesi sulla parete più lunga della stanza. Mi rimisi a letto ,con la coperta che mi arrivava su fino al naso, ma non spensi la luce, osservai quelle tre “croste”.
Il primo raffigurava una donna. Era distesa su di un giaciglio come quel famoso quadro di Goya , quello raffigurante la famosa “Maya Desnuda” solo che ,ovviamente, il paragone meramente artistico non reggeva. Il quadro che osservavo era dipinto da pennellate secche e furiose tanto da confondere i profili della “Maya” con quelli del giaciglio su cui era sdraiata.
Era nuda, il suo sguardo era confuso per via della scarsa perizia dell’artista nel dare le pennellate pensai, sembrava guardare fuori attraverso la sola finestra di cui la stanza era munita. Aveva uno strano colorito (o forse era la luce dell’abatjour a confondermi) avorio , del tutto identico a quello delle lenzuola sulle quali giaceva. Il gioco di luci e di colori dava l’impressione che stesse venendo fuori da quelle lenzuola e non che vi si fosse semplicemente sdraiata: non c’era peso nel suo corpo. Così come i mobili della stanza anche la mia “Maya” sembrava totalmente bidimensionale mischiata al sottile lenzuolo sul quale giaceva.
La mia attenzione fu attirata da un altro quadro ,quello centrale. Raffigurava un vecchio con un cappello di paglia in testa ed una folta barba rossastra a coprirgli il volto sovrastato da imperiosi occhi blu che sembravano fissarmi.
Era quasi la caricatura di uno dei famosi autoritratti di Van gogh ,dico caricatura perché al pari della “Maya” le pennellate che componevano la figura erano forti e rigide e i contorni delle figura confusi ed offuscati, come una scena in perenne movimento o una foto venuta mossa. Un cappello di paglia copriva quasi del tutto la fronte. L’ultimo quadro rappresentava una natura morta rassomigliante alla omonima opera del Caravaggio ma ,anche in questo caso, tutto appariva piatto e sfocato al contempo, donando al dipinto la stessa caratteristica che avevo già riscontrato negli altri due. Il fondo del quadro era giallo ocre e vi spiccava il soggetto principale: delle mele , dell’uva e pochi agrumi che parevano attaccati da parassiti o da una eccessiva maturazione. La frutta sembrava inghiottita da quella doratura giallo ocre che in realtà voleva essere solo il muro di sfondo dove la scena era stata immaginata o dipinta dal vivo( a confortare la mia tesi era possibile distinguere un foro di pochi centimetri di diametro su quel muro dipinto).Pensai che l’artista che aveva dipinto quei quadri sarebbe potuto essere un grande appassionato di pittura di tutte le epoche visto che i quadri erano l’imitazione più o meno grottesca e ben riuscita di famosi dipinti tra i più noti che la storia dell’arte ricordi.
Tuttavia c’era in tutti e tre quel tratto così confuso e quella bidimensionalità che li faceva assomigliare ,per contrasto, a dei geroglifici egizi ,per un verso , o a dei moderni esperimenti di fotografia artistica ,dall’altro. Dovevo pisciare. Andai in bagno ,forse il luogo più squallido di tutta la camera con le sue ceramiche di quarto ordine e i pezzi ,tazza ,lavandino, bidet e vasca ,di uno scialbo color azzurro confetto che stonava decisamente con il resto della stanza di un opaco giallo ocre(si, molto simile a quello del dipinto con la natura morta).Sentivo la mia urina scrosciare abbondantemente nell’acqua della tazza, girai il mio sguardo verso il basso per controllare ciò che -uhm - stavo producendo e per indirizzare correttamente il getto (non sono un maleducato) per evitare sbavature al di fuori della tazza. Ad un tratto ebbi paura. Ebbi la netta sensazione che stessi pisciando sangue. Scendeva piano e intenso attraverso il mio glande semi chiuso ed andava a lambire la tazza producendo schiumosi rivoli rossastri. Il pozzetto era diventato scuro e torbido. Vi si rifletteva la superficie ellittica e semilucida della tazza a disegnare come una grande pupilla malevola in quel rosso scuro che era stato prima semplice acqua trasparente. Mi accorsi di stare per perdere i sensi, mi allontanai lottando con me stesso per non cedere aggrappandomi al vicino lavandino. Aprì il rubinetto e mi sciacquai la faccia con la gelida acqua che ne usciva, subito mi sentì meglio. Accesi la piccola luce che stava sulla specchiera tralasciando di osservare il mio riflesso , sentivo che ci avrei visto qualcosa di sbagliato…
La luce si accese, mi feci coraggio e osservai nuovamente la tazza.
Tutto il bordo ed il pozzetto era ricoperto dalla mia urina,niente di più.
Pensai che forse stavo male sul serio , che magari ,visto il cerchio di dolore acuto che si allargava nella mia testa ed il freddo che ancora mi faceva tremare come una foglia, mi fosse venuto un malanno: un bel raffreddore di qualche ceppo particolarmente potente come sintomi ed effetti collaterali. Avevo delle mesulid con me.
Fui risoluto a ricondurre tutte quelle stranezze alla mia potenziale febbre da cavallo,anche se tastandomi la fronte con la mano non riuscivo a percepire nessun calore in eccesso rispetto a quello della mia normale temperatura corporea. Riempì il bicchiere di vetro che si trovava sul lavandino con dell’acqua e vi mischiai il contenuto della bustina di Mesulid che avevo prontamente tirato fuori dal mio zaino. Bevvi tutto d’un fiato e andai nuovamente a letto. Ero scosso ed intimorito.
Il sonno era completamente passato, mi sentivo come un peso sullo stomaco che mi schiacciava gli intestini verso il basso. Uno di quei sentimenti di oppressione che forse sono soltanto mentali ma che indubbiamente hanno ripercussioni anche sul fisico. Avevo voglia di leggere per rilassarmi e riuscire a prendere sonno , ma la sola cosa che avevo portato con me era un libro di Stephen King che giudicai inadeguato vista la strana atmosfera che si respirava in quella stanza.
Accesi una sigaretta che iniziai a fumare avidamente ripercorrendo con gli occhi il denso fluttuare di fumo bluastro che saliva verso l’alto. “no , Maddalena e’ morta “ dissi, meravigliandomi di me stesso.”cos…a?!” balbettai. Non capivo cosa mi accadeva, ero certo che fossi stato io a parlare ma non ne avevo la benché minima traccia di consapevolezza.
Mi drizzai di scatto dal letto restandovi seduto con gli occhi spalancati ed il cuore che batteva all’impazzata.”E’ viva” balbettai ancora. Sudavo freddo.
Non riuscivo a capire come potesse accadere un fenomeno simile , mi limitavo a vagliare mentalmente tutte le spiegazioni possibili, o comunque scientifiche ma non ne trovai alcuna, la sola ipotesi che mi restava era un :”Nooo…non può essere…”.
Mi alzai di scatto dal letto in preda a conati di vomito, credo più per la tensione che per altre e misteriose cause. Appena accanto ai tre quadri mi accorsi con sgomento che erano cambiati.
La “Maya” era seduta sul letto e con le mani si abbracciava le ginocchia che aveva piegato fino all’altezza dei seni nudi. La sua candida veste si allargava di scuro, si allargava di sangue e ,anche se non potevo esserne certo, il quadro pareva mutare proprio sotto ai miei occhi: sembrava quasi come guardare scorrere la lancetta grande di un orologio: Si sa che si muove anche se non se ne riesce a percepire il movimento.
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