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Racconto a più mani [Incipit Horror]

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  • Racconto a più mani [Incipit Horror]

    Aprile 1945.
    L'anziana donna si svegliò sudata nel cuore della notte, grondava sudore. Aprì gli occhi nel buio e trattenne il respiro. Cos'era stato? Un rumore? Ascoltò il silenzio con ansia.
    Non riusciva a dormire che poche ore, ormai. Quattro, cinque ore per notte. Non di più. Era l'età. Ma aveva un suo sistema per passare il lungo tempo dell'insonnia, in attesa del mattino. Chiudeva gli occhi e pensava. Era riposante anche così. Pensava alla sua vita, alla sua giovinezza, a tutti quegli anni passati che si erano come addossati gli uni agli altri, fino ad apparire come un tempo brevissimo, fatto di lampi luminosi, di immagini perdute, di sensazioni sepolte nel profondo.
    Un rumore, si ripeté. Come uno sfrigolìo vicino che fu subito sovrastato da un altro rumore più forte, meccanico, come di un motore a scoppio e di attrezzi ferrosi ammucchiati l'uno sopra l'altro. Si decise a scendere dal letto con un sospiro. Appoggiò i piedi nudi sul pavimento di cotto e cercò le ciabatte, poi rimase per qualche istante seduta, la testa che le girava, la schiena che le doleva. Si dondolò un po', avanti e indietro, sperando che il dolore scemasse. Di nuovo quel rumore ferroso, stavolta più lontano. Si alzò a fatica, lasciando uscire un lamento dalla bocca amara e impastata. Pensò che aveva bisogno di bere un po' d'acqua e si avvicinò con passo incerto alla finestra.
    Aprì uno scuro e guardò fuori. Non c'era la luna, ma si notava un alone di luce soffusa verso est. In direzione del centro del paese, dove passava la via Aurelia. Non poteva essere già la luce dell'alba, era troppo presto.
    Forse erano i soldati. I tedeschi. Quella parte dell'esercito nazista che si era fermata lì attorno e adesso si preparava a partire. La ritirata. Risalivano l'Italia in direzione di Genova e quello era un percorso obbligato. Sospirò.
    Echi di voci lontane, urla ed ordini recisi e poi ancora rumore di motori pesanti che ruggivano. Se ne andavano. Finalmente. La fine di un incubo. Sarebbe tornata sua figlia, con la nipotina di sette anni che non vedeva da troppo tempo. Sua figlia, col marito e la bambina, erano sfollati nel parmense.
    Lei era voluta restare in paese. Era troppo vecchia per muoversi. Troppo affezionata alla casa per lasciarla, e poi lì, in paese, c'erano le uniche persone che conosceva. Era giusto che i più giovani e i bambini, soprattutto, se ne andassero via da quell'inferno.
    Ripensò ai bombardamenti che si erano succeduti costantemente per mesi e mesi, agli allarmi, alle notti passate in bianco ad ascoltare il muggito funereo delle sirene e il rombo profondo dei bombardieri in avvicinamento. Erano diretti sugli obiettivi militari del porto, al di là delle colline, ma qualche bomba era caduta anche da questa parte.
    Ora che i tedeschi se ne stavano andando avevano smesso di bombardare. Chissà se tutto sarebbe tornato normale, come prima della guerra…
    Ancora quello sfrigolìo leggero: sembrava venire da dietro la porta. Aveva lasciato in casa il gatto? Magari era riuscito ad entrare lo stesso, quel birichino. Cercò a tentoni il lume ma, prima di essere riuscita ad accenderlo, avvertì l'odore del fumo.
    Allargò le narici e restò immobile, i nervi tesi, per cercare di capire la provenienza di quell'odore.
    Doveva scendere al piano terra, per vedere. Accese il lume con le mani tremanti e spalancò di colpo la porta, lasciando entrare una folata di fumo biancastro. Oddio, il fuoco! Lo dicevano che i nazisti, quando se ne vanno, danno fuoco a tutto. Non si lasciano dietro niente, come vandali. Fanno terra bruciata. Ora capiva chiaramente l'origine di quell'alone di luce verso il paese. Quei maledetti!
    Che bisogno c'era d'incendiare quelle povere case? Con le gambe malferme attraversò incespicando la stanza davanti alla sua camera, facendo tintinnare la tenda a cannelle nere e gialle che divideva in due l'ambiente. Arrivò sul pianerottolo, ma dovette fermarsi. Dalle scale salivano minacciose lingue di fiamma, alimentate dalle antiche suppellettili di legno stagionato, dai travi a vista, dalla legna che aveva raccolto attorno al camino, al piano terra. Non poteva passare dalle scale, doveva tornare indietro. Ripiegò sui suoi passi, si chiuse la porta della camera alle spalle e spalancò la finestra.
    "Aiuto!" gridò con la voce spezzata, irriconoscibile. "Aiuto! Il fuoco…" ma nessuno poteva sentirla. Le altre case, intorno, era vuote. Abbandonate dalle famiglie sfollate. Il centro del paese era troppo lontano perché la potessero sentire e, sopra tutto, avvertiva lo sferragliare dei carri della ritirata.
    Il fumo l'avvolse e cominciò a tossire. Le lacrimavano gli occhi, non riusciva a respirare neanche sporgendosi dalla finestra. Le venne in mente che l'unica salvezza potesse essere quella di lasciarsi cadere fuori. Un volo di quattro metri. Si sarebbe potuta far male seriamente. Poteva morire, battendo la testa.
    Morire? Non sarebbe morta lo stesso, tra le fiamme? Doveva farcela. Doveva tentare. Non bisognava darsi per vinti. Con la forza della disperazione cercò di issarsi sul davanzale, ma le gambe non la reggevano. Dopo qualche sforzo vano, che le procurò solo alcune fitte all'anca, desistette. Non le passò per la mente che, per salire sulla finestra, avrebbe potuto utilizzare lo sgabello impagliato che aveva nascosto nell'angolo, dietro il comodino.
    Non riusciva a vedere più a niente, a pensare più a niente. Il lume gettava bagliori sinistri sulle volute di fumo denso che entravano da sotto la porta, sottolineate da un crepitare sempre più forte, sempre più vicino. Si sbracciò ancora fuori dalla finestra, urlando parole orami incomprensibili, poi si accasciò sul davanzale, gli occhi chiusi, il respiro affannoso appannato dal fumo, intriso dell'odore acre della combustione.
    L'ultima cosa che avvertì con ribrezzo fu un rivolo di urina che le scendeva tra le gambe, caldo e umido, poi il fuoco divampò nella stanza, cancellando la porta, appiccandosi alle lenzuola, alle tende e alla sua camicia da notte.
    Mentre il grande circo dell'armata tedesca in ritirata si muoveva lentamente lungo l'Aurelia, dal buio quieto della campagna si levava una voce cantilenante, ossessiva, senza colore.
    "Brucia, strega. Brucia"....

  • #2
    (Premessa: Ok, mi sembra difficile continuare ma ci provo... ma, Saxarb che ***** di nome è? Nessun paese italiano si può chiamare così! Preferisco continuare da dove l'ha interrotta Nja, ignorando il passaggio di Stigesux)

    Aprile 1995
    Dannati segnali! pensò Maria, rigirandosi tra le mani una cartina. Era appena uscita dall'autostrada, oltrepassato un paio di paesini, che già si era persa. Non riusciva proprio ad orientarsi. Dopo aver preso l'uscita per Massa, secondo i cartelli, avrebbe dovuto proseguire verso Berceto, per giungere a San Lazzaro, un paesino di circa un migliaio di anime dove avrebbe dovuto incontrare un uomo per la vendita di una casa. Ma, dopo aver passato Aulla e Pontremoli, un cartello l'aveva fatta deviare verso la costa. E ora si trovava ferma sul ciglio di una stradina di campagna a consultare una stupida cartina. Dopo aver fatto cercato di individuare in quale zona si trovasse, gettò la cartina sul sedile posteriore con un gesto di stizza e rimise in moto l'automobile. Dopo un paio di minuti, quando aveva ormai perduto ogni speranza di trovare San Lazzaro, si ritrovò di fronte ad un bivio, con dei cartelloni stradali. Quasi non credeva di vedere le lettere bianche che le indicavano la meta. San Lazzaro, a sinistra! pensò rincuorata.
    Giunta a San Lazzaro, si rese conto che quel paesino era proprio ciò che si aspettava: poche case, una chiesa, un negozio di alimentari, una stazione di servizio e un'edicola. Perfetto. Dopo aver rotto con Roberto - Quel bastardo di Roberto - aveva deciso di ritirarsi lontano dalla caotica vita della città per un po' di tempo. Aveva trovato un annuncio su un giornale con cui si metteva in vendita una villetta poco al di fuori di questo paesino. Senza pensarci su due volte, aveva telefonato al numero e aveva parlato con un uomo. Avevano stabilito un giorno perché lei potesse vedere la casa, e adesso eccola qui. L'uomo si era impegnato comunque a lasciarle passare la notte in quella casa anche se non avesse voluto comprarla.
    Si diresse davanti alla chiesa, e con il cellulare compose il numero che l'uomo le aveva lasciato. Questi rispose dopo un paio di squilli:
    -Pronto?
    -Salve, sono la signorina Brambilla...
    -Ah, è già arrivata! - la interruppe l'uomo.
    -Si, sono davanti alla chiesa...
    -Mi dia un paio di minuti per arrivare. - rispose lui, e troncò la telefonata. Maria non fece in tempo a girare la testa, che sentì picchiettare al finestrino.
    -Salve! - la salutò l'uomo. Aveva i suoi cinquant'anni e indossava una camicia a scacchi e dei pantaloni marroni. Era di corporatura abbastanza grossa, ma il suo volto infondeva simpatia.
    Maria scese dalla macchina e gli tese la mano.
    -Piacere di conoscerla signor Riccardi.
    -Il piacere è mio, signorina. Se vuole seguirmi, andiamo subito alla villa.
    -Certamente! - rispose Maria. Del resto sono venuta fin qui apposta.
    Il signor Riccardi si infilò in una panda rossa e le fece strada. Dopo un paio di minuti erano già davanti alla villetta...
    Ultima modifica di Kranium; 11-11-2002, 22:32.

    Life was like a fantasy / Taken by reality / Does anyone remember me / You once knew me
    Flashes of the day / I knew I was here to stay / But no one stays the same


    Lo Spambollino fa FIGO

    Membro del W.A.M. (War Against Mediaset) e presidente del M.A.I. (Musicians Against Ibanez)

    Ex Custode della Topa (R.I.P.) [NCdS]

    Dedico questa riga alla topa. Mi mancherai.

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