il trichecone continua a sparare cazzate come al suo solito difendendo sempre gli indifendibili
Ferrara: Cuffaro, l’apparenza non inganna
Il tentativo di presentare Totò Cuffaro, detto “Vasa vasa”, come un tenebroso e potente amico dei mafiosi e loro favoreggiatore segreto si scontra con l’apparenza. L’apparenza inganna, ma non sempre. Il personaggio è di una bonarietà e simpatia irrefrenabili, contagiose, di una rotondità fisica e psicologica che colpisce a prima vista. Che sia anche un pasticcione politico, è certo. Una volta lo ritrovi assessore con il centrosinistra siciliano, un’altra volta capo popolare amato e votato del centrodestra e governatore della Sicilia a furor di popolo. Mi hanno raccontato che al Meeting di Cl a Rimini per lui e altri oratori si è riempita una grande sala, circa 1.030 persone, lui ha chiesto di parlare per primo perché doveva correre a Santiago de Compostela per farsi 50 chilometri di pellegrinaggio, ha parlato e alla fine si è alzato e se ne è andato, e con lui se ne sono andati in 1.000 dei suoi uditori plaudenti e cammellati, lasciando lì una trentina di astanti. Todos pellegrinos.
L’uomo è così, si mescola alla folla e la attrae, la organizza e la guida, arraffa i voti dove stanno, costruisce il consenso senza badare a spese, è nella sua natura di politico meridionale fatto e finito, il tipico capo popolare che rispetta i poteri sociali, le combriccole professionali, quelli che hanno radici e risorse per fare e disfare la politica e il potere.
Ma c’è un fondo trasparente e perfino ingenuo nel suo modo di fare politica inglobando e ingurgitando tutto, e affabulando, che stabilisce una distanza stellare dalla logica dei pizzini, dei silenzi autorevoli, dei rapporti di scambio segreti della mafiosità tradizionale. Il bacio di Totò Riina a Giulio Andreotti era contro le apparenze, e si è visto come è finita. Non sarebbe intelligente farsi fregare un’altra volta.
Questo per la psicologia di un processo, e da quando i processi sono diventati riscrittura della storia repubblicana e fumosi schermi giudiziari dietro i quali si staglia non già la repressione criminale dei delitti di mafia, impegno doveroso, ma una più generica lotta alla mafia intesa come repulisti politico e morale della Sicilia dalle sue cattive abitudini, inclinazione facoltativa e ambigua, la psicologia conta.
Ma c’è dell’altro. L’imputato Cuffaro ora chiede il legittimo sospetto, chiede di trasferire altrove il dibattimento. E ne ha ben donde. Perché la procura di Palermo si è spaccata sul suo caso in forme inaudite per un giusto processo. Mentre i pubblici accusatori di Cuffaro stavano per parlare dell’ipotesi di favoreggiamento aggravato, altri sostituti procuratori palermitani, a nome dei quali sentenziava il dottor Alfredo Morvillo, hanno attaccato pubblicamente i loro colleghi dicendo che in quel caso ci voleva il concorso esterno in associazione di stampo mafioso, e che questa era la vera linea della procura. Roba da pazzi. Un indice tanto chiaro di spirito divisivo e fazioso non era ancora mai arrivato da una procura della Repubblica, e a farne le spese come al solito è stato un imputato, per il quale il reato attribuitogli e l’entità della pena sono stati messi per così dire all’asta, in un gioco al rialzo.
Era già successo con lo strutturato e sereno e imponente Vladimiro Crisafulli, leader popolare della sinistra nella Sicilia orientale incastrato dalle chiacchiere e poi prosciolto. Era stato beccato a parlare con un mafioso, al quale peraltro spiegava che non doveva rompergli le scatole più di tanto, e rispose all’accusa di collusione che lui nella società siciliana ci campa, come politico eletto e come persona, e che se dovesse interrompere i rapporti sociali ordinari per chiudersi in una bolla perbenista purificatrice dovrebbe cambiare mestiere e lasciare il governo dell’isola ai poliziotti. Decisione di stato che non è ancora legge, né in Sicilia né in Calabria, dove due terzi del consiglio regionale sono sotto indagine, e a parlare con i colleghi si rischia ogni giorno il favoreggiamento.
Giuliano Ferrara
da panorama.it
Ferrara: Cuffaro, l’apparenza non inganna
Il tentativo di presentare Totò Cuffaro, detto “Vasa vasa”, come un tenebroso e potente amico dei mafiosi e loro favoreggiatore segreto si scontra con l’apparenza. L’apparenza inganna, ma non sempre. Il personaggio è di una bonarietà e simpatia irrefrenabili, contagiose, di una rotondità fisica e psicologica che colpisce a prima vista. Che sia anche un pasticcione politico, è certo. Una volta lo ritrovi assessore con il centrosinistra siciliano, un’altra volta capo popolare amato e votato del centrodestra e governatore della Sicilia a furor di popolo. Mi hanno raccontato che al Meeting di Cl a Rimini per lui e altri oratori si è riempita una grande sala, circa 1.030 persone, lui ha chiesto di parlare per primo perché doveva correre a Santiago de Compostela per farsi 50 chilometri di pellegrinaggio, ha parlato e alla fine si è alzato e se ne è andato, e con lui se ne sono andati in 1.000 dei suoi uditori plaudenti e cammellati, lasciando lì una trentina di astanti. Todos pellegrinos.
L’uomo è così, si mescola alla folla e la attrae, la organizza e la guida, arraffa i voti dove stanno, costruisce il consenso senza badare a spese, è nella sua natura di politico meridionale fatto e finito, il tipico capo popolare che rispetta i poteri sociali, le combriccole professionali, quelli che hanno radici e risorse per fare e disfare la politica e il potere.
Ma c’è un fondo trasparente e perfino ingenuo nel suo modo di fare politica inglobando e ingurgitando tutto, e affabulando, che stabilisce una distanza stellare dalla logica dei pizzini, dei silenzi autorevoli, dei rapporti di scambio segreti della mafiosità tradizionale. Il bacio di Totò Riina a Giulio Andreotti era contro le apparenze, e si è visto come è finita. Non sarebbe intelligente farsi fregare un’altra volta.
Questo per la psicologia di un processo, e da quando i processi sono diventati riscrittura della storia repubblicana e fumosi schermi giudiziari dietro i quali si staglia non già la repressione criminale dei delitti di mafia, impegno doveroso, ma una più generica lotta alla mafia intesa come repulisti politico e morale della Sicilia dalle sue cattive abitudini, inclinazione facoltativa e ambigua, la psicologia conta.
Ma c’è dell’altro. L’imputato Cuffaro ora chiede il legittimo sospetto, chiede di trasferire altrove il dibattimento. E ne ha ben donde. Perché la procura di Palermo si è spaccata sul suo caso in forme inaudite per un giusto processo. Mentre i pubblici accusatori di Cuffaro stavano per parlare dell’ipotesi di favoreggiamento aggravato, altri sostituti procuratori palermitani, a nome dei quali sentenziava il dottor Alfredo Morvillo, hanno attaccato pubblicamente i loro colleghi dicendo che in quel caso ci voleva il concorso esterno in associazione di stampo mafioso, e che questa era la vera linea della procura. Roba da pazzi. Un indice tanto chiaro di spirito divisivo e fazioso non era ancora mai arrivato da una procura della Repubblica, e a farne le spese come al solito è stato un imputato, per il quale il reato attribuitogli e l’entità della pena sono stati messi per così dire all’asta, in un gioco al rialzo.
Era già successo con lo strutturato e sereno e imponente Vladimiro Crisafulli, leader popolare della sinistra nella Sicilia orientale incastrato dalle chiacchiere e poi prosciolto. Era stato beccato a parlare con un mafioso, al quale peraltro spiegava che non doveva rompergli le scatole più di tanto, e rispose all’accusa di collusione che lui nella società siciliana ci campa, come politico eletto e come persona, e che se dovesse interrompere i rapporti sociali ordinari per chiudersi in una bolla perbenista purificatrice dovrebbe cambiare mestiere e lasciare il governo dell’isola ai poliziotti. Decisione di stato che non è ancora legge, né in Sicilia né in Calabria, dove due terzi del consiglio regionale sono sotto indagine, e a parlare con i colleghi si rischia ogni giorno il favoreggiamento.
Giuliano Ferrara
da panorama.it
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