Il governo Prodi ha ribadito a più riprese il ritiro del contingente militare da Nassiriyah. Ma dimentica che l'avvio della missione a guida civile civile «Nuova Babilonia» non potrà prescindere dalla presenza di almeno mille uomini armati per proteggerla
Si fa presto a dire ritiro: nonostante una campagna elettorale condotta all’insegna del “via dall’Iraq senza se e senza ma” il governo dell’Unione sembra ora in gravi difficoltà nel gestire la doppia patata bollente della fine della missione militare “Antica Babilonia” e dell’avvio della nuova missione a guida civile del Provinicial Reconstruction Team annunciata mesi fa dal ministro della Difesa Antonio Martino.
IL VERO NODO POLITICO
Gli elementi che stanno creando confusione nel governo sono due, entrambe di natura politica.
Da un lato la necessità di riprogrammare la fine della missione militare già prevista per dicembre dal governo Berlusconi, per “marcare le differenze” con il centro-destra. Dall’altro il centro-sinistra si è reso conto solo ora che “missione civile” significa comunque mantenere circa un migliaio di militari in Iraq con compiti logistici e di protezione. Difficile sbandierare il “ritiro” se si tengono mille militari a Nassiryah e difficile spiegarne le ragioni all’elettorato pacifista.
La prima questione ha gettato nell’incertezza i comandi militari in Italia e in Iraq che hanno messo a punto il piano logistico. Per ora il programma va avanti come pianificato nei mesi scorsi con la brigata “Sassari” che si appresta a lasciare l’Iraq con i suoi 2.600 militari per essere rimpiazzata dalla “Garibaldi” (le cui avanguardie sono arrivate due giorni or sono nella base di “Camp Mittica”) che dovrebbe tenere la posizione fino a dicembre con soli 1.600 soldati.
TAPPE DEL RITIRO
In realtà tutti sanno che questo piano è già vecchio mentre di quello nuovo ancora non c’è traccia anche se indiscrezioni rivelano che il governo intende portare a casa tutti entro l’estate.
Il generale Natalino Madeddu, comandante di “Antica Babilonia” ha ammesso che “se arrivasse l’ordine e con i mezzi navali adeguati tutte le forze italiane potrebbero essere ritirate in 80-90 giorni”, ma nei giorni scorsi autorità militari e politiche irachene, rumene, statunitensi, britanniche e dell’ONU hanno visitato la base italiana chiedendo dettagli circa il futuro della nostra presenza in Iraq. In caso di ritiro anticipato gli alleati dovranno occuparsi di inviare truppe nel Dhiqar per garantire il controllo del territorio, specie ora che i disordini e gli scontri fomentatoi dall’Iran a Basora e nel maysan minacciano di coinvolgere anche il Dhiqar.
GUIDA AMERICANA
Se è incerta la conclusione della missione militare non è da meno l’inizio di quella civile che prevede l’installazione di un PRT simile a quelli istituiti in Afghanistan che però in Iraq saranno a guida civile.
Ugo Trojano, nominato direttore del PRT di Nassiryah, è già da tempo a Camp Mittica con la sua squadra di tecnici civili della Cooperazione allo Sviluppo che sarà pienamente operativa a giugno. Sempre che l’intera missione non venga annullata di fronte all’esigenza di fornire un robusto contingente militare a supporto della missione e soprattutto di fronte ai rischi che comunque gli italiani continueranno a correre.
Il PRT italiano fa parte di un progetto della Coalizione e delle autorità irachene che prevede di costituire centri di supporto alla ricostruzione in tutte le 18 province irachene: 8 saranno guidati dagli americani, sei dagli iracheni stessi e 4 da britannici, italiani, polacchi e sud coreani.
Sul PRT italiano contano non solo alleati e iracheni ma anche l’ONU che intende appoggiarsi sull’Unità di Supporto alla Ricostruzione per i suoi progetti di sviluppo del Dhiqar.
Panorama
di Gianandrea Gaiani
Si fa presto a dire ritiro: nonostante una campagna elettorale condotta all’insegna del “via dall’Iraq senza se e senza ma” il governo dell’Unione sembra ora in gravi difficoltà nel gestire la doppia patata bollente della fine della missione militare “Antica Babilonia” e dell’avvio della nuova missione a guida civile del Provinicial Reconstruction Team annunciata mesi fa dal ministro della Difesa Antonio Martino.
IL VERO NODO POLITICO
Gli elementi che stanno creando confusione nel governo sono due, entrambe di natura politica.
Da un lato la necessità di riprogrammare la fine della missione militare già prevista per dicembre dal governo Berlusconi, per “marcare le differenze” con il centro-destra. Dall’altro il centro-sinistra si è reso conto solo ora che “missione civile” significa comunque mantenere circa un migliaio di militari in Iraq con compiti logistici e di protezione. Difficile sbandierare il “ritiro” se si tengono mille militari a Nassiryah e difficile spiegarne le ragioni all’elettorato pacifista.
La prima questione ha gettato nell’incertezza i comandi militari in Italia e in Iraq che hanno messo a punto il piano logistico. Per ora il programma va avanti come pianificato nei mesi scorsi con la brigata “Sassari” che si appresta a lasciare l’Iraq con i suoi 2.600 militari per essere rimpiazzata dalla “Garibaldi” (le cui avanguardie sono arrivate due giorni or sono nella base di “Camp Mittica”) che dovrebbe tenere la posizione fino a dicembre con soli 1.600 soldati.
TAPPE DEL RITIRO
In realtà tutti sanno che questo piano è già vecchio mentre di quello nuovo ancora non c’è traccia anche se indiscrezioni rivelano che il governo intende portare a casa tutti entro l’estate.
Il generale Natalino Madeddu, comandante di “Antica Babilonia” ha ammesso che “se arrivasse l’ordine e con i mezzi navali adeguati tutte le forze italiane potrebbero essere ritirate in 80-90 giorni”, ma nei giorni scorsi autorità militari e politiche irachene, rumene, statunitensi, britanniche e dell’ONU hanno visitato la base italiana chiedendo dettagli circa il futuro della nostra presenza in Iraq. In caso di ritiro anticipato gli alleati dovranno occuparsi di inviare truppe nel Dhiqar per garantire il controllo del territorio, specie ora che i disordini e gli scontri fomentatoi dall’Iran a Basora e nel maysan minacciano di coinvolgere anche il Dhiqar.
GUIDA AMERICANA
Se è incerta la conclusione della missione militare non è da meno l’inizio di quella civile che prevede l’installazione di un PRT simile a quelli istituiti in Afghanistan che però in Iraq saranno a guida civile.
Ugo Trojano, nominato direttore del PRT di Nassiryah, è già da tempo a Camp Mittica con la sua squadra di tecnici civili della Cooperazione allo Sviluppo che sarà pienamente operativa a giugno. Sempre che l’intera missione non venga annullata di fronte all’esigenza di fornire un robusto contingente militare a supporto della missione e soprattutto di fronte ai rischi che comunque gli italiani continueranno a correre.
Il PRT italiano fa parte di un progetto della Coalizione e delle autorità irachene che prevede di costituire centri di supporto alla ricostruzione in tutte le 18 province irachene: 8 saranno guidati dagli americani, sei dagli iracheni stessi e 4 da britannici, italiani, polacchi e sud coreani.
Sul PRT italiano contano non solo alleati e iracheni ma anche l’ONU che intende appoggiarsi sull’Unità di Supporto alla Ricostruzione per i suoi progetti di sviluppo del Dhiqar.
Panorama
di Gianandrea Gaiani
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