La realmadritudine
La terza giornata passa consegnandoci qualcosa di simile ai verdetti. Pippo Inzaghi è giovane e probabilmente anche capace, ma come l'ormai famoso inventore della gomitata non violenta, non ha le palle. La Juventus di Allegri ringrazia e passeggia, con i soliti limiti in fase di realizzazione, sul fortino milanista, 11 uomini arroccati in difesa, come l'ultima delle provinciali, uno spettacolo indecoroso per il sold out di San Siro. Non c'è nulla da aggiungere su questo incontro, la Juventus è carta conosciuta: deve costruire mille palle gol per metterne dentro una con i soliti uomini. Va detto, però, che Mister Allegri pur non possedendo il carisma di Conte e neanche la sua stampa a favore, a noi sembra allenatore più europeo. Ci piace che la sua Juventus abbia smesso di fare catenaccio, marchio di fabbrica delle scorse stagioni, e abbia iniziato a puntare sul possesso palla. Sicuramente è più bella da vedere.
Brutta invece l'Inter, che nonostante scopre un bel centrocampo, così, dal cilindro, non va oltre il pari all'estremo sud del mondo pallonaro e, a proposito di sud, anche il Napoli degli ormai separati in casa Benitez, Dela e Curva del San Paolo cade per la seconda volta in due giornate. Male, anzi malissimo. Si vocifera di un probabile avvicendamento con Mancini in panchina. Noi, invece, riteniamo che se Dela avesse voluto investire avrebbe comprato qualcuno ad agosto, quindi secondo noi, a meno di clamorose dimissioni, Benitez resta ben saldo al comando della scialuppa che naviga a vista.
Anche la Lazio cade e oltre al danno anche la beffa, Gentiletti, che qualche laziale per darsi un tono pronuncia Ghentiletti, fa crack, sei mesi di stop. Bye bye mercato. L'altro centrale, quello olandese, sembra mal adattarsi sia al gioco di Pioli che al campionato italiano, in buona sostanza ci sembra una compagine dall'undicesimo posto in giù. Montella finalmente si sblocca, anche se non capiamo alcune sue scelte di formazione, mentre il Verona, che ormai non è una novità, se ne sta lì, terzo da solo, passeggiando sulla discount di Cairo. Un peccato che la squadra di Torino sia stata ridotta così. Davvero.
E chiudiamo, ancora una volta, con la capolista. Ennesima prova di forza, vince la partita nel primo quarto d'ora, annientando l'avversario come quella che sembra ormai una consuetudine e gestendo il resto della gara: atteggiamento da grande squadra, una rosa lunghissima che centellina le energie, stravolge l'undici di partenza e vince sempre e comunque. In pratica i primi della classe hanno giocato con l'undici titolare solo nella sontuosa prova di champion's (al netto degli infortuni), per il resto hanno regolato via via le avversarie che gli si paravano davanti con quelli che a Roma chiamano rincalzi, ma che in Italia e forse anche fuori sarebbero titolari inamovibili ovunque. Un nome su tutti: Keita, uno che se cade il mondo non si scansa, lo stoppa di collo e lo mette al suo posto.
La terza giornata passa consegnandoci qualcosa di simile ai verdetti. Pippo Inzaghi è giovane e probabilmente anche capace, ma come l'ormai famoso inventore della gomitata non violenta, non ha le palle. La Juventus di Allegri ringrazia e passeggia, con i soliti limiti in fase di realizzazione, sul fortino milanista, 11 uomini arroccati in difesa, come l'ultima delle provinciali, uno spettacolo indecoroso per il sold out di San Siro. Non c'è nulla da aggiungere su questo incontro, la Juventus è carta conosciuta: deve costruire mille palle gol per metterne dentro una con i soliti uomini. Va detto, però, che Mister Allegri pur non possedendo il carisma di Conte e neanche la sua stampa a favore, a noi sembra allenatore più europeo. Ci piace che la sua Juventus abbia smesso di fare catenaccio, marchio di fabbrica delle scorse stagioni, e abbia iniziato a puntare sul possesso palla. Sicuramente è più bella da vedere.
Brutta invece l'Inter, che nonostante scopre un bel centrocampo, così, dal cilindro, non va oltre il pari all'estremo sud del mondo pallonaro e, a proposito di sud, anche il Napoli degli ormai separati in casa Benitez, Dela e Curva del San Paolo cade per la seconda volta in due giornate. Male, anzi malissimo. Si vocifera di un probabile avvicendamento con Mancini in panchina. Noi, invece, riteniamo che se Dela avesse voluto investire avrebbe comprato qualcuno ad agosto, quindi secondo noi, a meno di clamorose dimissioni, Benitez resta ben saldo al comando della scialuppa che naviga a vista.
Anche la Lazio cade e oltre al danno anche la beffa, Gentiletti, che qualche laziale per darsi un tono pronuncia Ghentiletti, fa crack, sei mesi di stop. Bye bye mercato. L'altro centrale, quello olandese, sembra mal adattarsi sia al gioco di Pioli che al campionato italiano, in buona sostanza ci sembra una compagine dall'undicesimo posto in giù. Montella finalmente si sblocca, anche se non capiamo alcune sue scelte di formazione, mentre il Verona, che ormai non è una novità, se ne sta lì, terzo da solo, passeggiando sulla discount di Cairo. Un peccato che la squadra di Torino sia stata ridotta così. Davvero.
E chiudiamo, ancora una volta, con la capolista. Ennesima prova di forza, vince la partita nel primo quarto d'ora, annientando l'avversario come quella che sembra ormai una consuetudine e gestendo il resto della gara: atteggiamento da grande squadra, una rosa lunghissima che centellina le energie, stravolge l'undici di partenza e vince sempre e comunque. In pratica i primi della classe hanno giocato con l'undici titolare solo nella sontuosa prova di champion's (al netto degli infortuni), per il resto hanno regolato via via le avversarie che gli si paravano davanti con quelli che a Roma chiamano rincalzi, ma che in Italia e forse anche fuori sarebbero titolari inamovibili ovunque. Un nome su tutti: Keita, uno che se cade il mondo non si scansa, lo stoppa di collo e lo mette al suo posto.
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