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La storia narrava di 23 piccoli indiani, tutti vestiti con abiti di fortuna estirpati alla pelle di animali di bosco durante la caccia, che tinti di giallo e di rosso, partivano dalla lontana riserva dei castelli Romani, che tanto piaceva a Giulio Cesare, alla volta del gran Re di Torino Andrea, figlio di umberto, fratello di Giovanni.
Il loro capo veniva dai lontani paesi dell'est, freddi come il suo carattere e tenaci come il suo capitano in prima l'illustrissimo Francesco da Roma in arte Totti.
Con tanta convinzione i 23 partivano pieni di prepotenza, tra strani ululati romaneschi e l'urlo convinto di Zdenek come Attila. Il capitano in seconda, un certo Daniele Futuro, famoso per aver rifiutato offerte principesche in giro per il mondo, affezionatissimo al suo capo aveva la dote di perlustrare lui per primo le zone da superare. Tutti senza pietà, non lasciavano niente che si muovesse dopo esservi passati.
L'eco era grande, e Torino si preparava. Ma nessuna vera grande prova di forza era arrivata lì, sotto le Alpi. Erano solo voci quelle che correvano, di gesta Zemaniane di quale chissà gran prodigio. All'arrivo, l'armata Zemaniana non suscitò nessun grande effetto, se non per la fragilità dei suoi componenti. in primis francesco da Roma, così tanto elogiato dalle sue parti ma sconosciuto al mondo che lo circonda.
Ma bisognava comunque porre fine totalmente ai 23, troppo spudorati e senza vergogna, e fu così che Capitan Conte, col dono dell'invisibilità pronunciò la sacra frase del bianco sigillo, che colpì tutta l'armata giallrossa, scarventadola in alto, fermandola sospesa nel vuoto. Il sacro Drago uscì fuori dalle mani di Conte che disegnavano antichi codici, si avvicinava con fare arcigno dinanzi i poveri malcapitati, pian piano quasi ad annusalri, fin quando un tremendo urlo echeggiò per tutta la valle.
Dei 23 non si seppe più nulla, del loro capo Boemo e del suo capitano non vi sono oggi nessune tracce.
Ad oggi ci sono pervenute solamente queste pergamene che raccontano la vicenda della battaglia di Piemonte, finita in modo netto e vincente per il Gran Re.
Il loro capo veniva dai lontani paesi dell'est, freddi come il suo carattere e tenaci come il suo capitano in prima l'illustrissimo Francesco da Roma in arte Totti.
Con tanta convinzione i 23 partivano pieni di prepotenza, tra strani ululati romaneschi e l'urlo convinto di Zdenek come Attila. Il capitano in seconda, un certo Daniele Futuro, famoso per aver rifiutato offerte principesche in giro per il mondo, affezionatissimo al suo capo aveva la dote di perlustrare lui per primo le zone da superare. Tutti senza pietà, non lasciavano niente che si muovesse dopo esservi passati.
L'eco era grande, e Torino si preparava. Ma nessuna vera grande prova di forza era arrivata lì, sotto le Alpi. Erano solo voci quelle che correvano, di gesta Zemaniane di quale chissà gran prodigio. All'arrivo, l'armata Zemaniana non suscitò nessun grande effetto, se non per la fragilità dei suoi componenti. in primis francesco da Roma, così tanto elogiato dalle sue parti ma sconosciuto al mondo che lo circonda.
Ma bisognava comunque porre fine totalmente ai 23, troppo spudorati e senza vergogna, e fu così che Capitan Conte, col dono dell'invisibilità pronunciò la sacra frase del bianco sigillo, che colpì tutta l'armata giallrossa, scarventadola in alto, fermandola sospesa nel vuoto. Il sacro Drago uscì fuori dalle mani di Conte che disegnavano antichi codici, si avvicinava con fare arcigno dinanzi i poveri malcapitati, pian piano quasi ad annusalri, fin quando un tremendo urlo echeggiò per tutta la valle.
Dei 23 non si seppe più nulla, del loro capo Boemo e del suo capitano non vi sono oggi nessune tracce.
Ad oggi ci sono pervenute solamente queste pergamene che raccontano la vicenda della battaglia di Piemonte, finita in modo netto e vincente per il Gran Re.
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