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Il Centenario della nascita del Balilla

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  • Il Centenario della nascita del Balilla

    MILANO - Prendete il genio di Sneijder, la potenza di Stankovic, il senso del gol di Milito, il dribbling di Eto'o, lo spirito di Zanetti, mischiateli bene in un unico giocatore, ma qualche ingrediente mancherà sempre per costruire un altro Giuseppe Meazza. Forse la magia di un tempo in cui c'era meno tv e più fantasia, il tempo in cui i cronisti sapevano fare anche i poeti e per raccontare Pepin quasi facevano ricorso ai versi e il calcio diventava epica.

    "Grandi giocatori esistevano al mondo, magari più tosti e continui di lui, però non pareva a noi che si potesse andar oltre le sue invenzioni improvvise, gli scatti geniali, i dribbling perentori e tuttavia mai irridenti, le fughe solitarie verso la sua smarrita vittima di sempre, il portiere avversario", così scriveva Gianni Brera di Meazza, calciatore per vent'anni, con la Guerra di mezzo: dal 1927, quando diciassettenne esordì nell'Inter, fino al 1947, quando - sempre nell'Inter - terminò la sua carriera, dopo aver militato pure nel Milan e nella Juventus, anche se per brevi comparsate. Non se ne abbiano a male gli altri, Pepin Meazza rimane una leggenda nerazzurra (oltre che azzurra, ma quella è un'altra magnifica storia), che all'Inter ha dato il meglio di sé, anche dopo aver smesso di terrorizzare i portieri avversari. Al di là dell'esperienza da allenatore, è da talent scout che Meazza regala all'Inter gioielli preziosi quanto i suoi gol (sono 288 in totale con la maglia nerazzurra): fra le sue scoperte nel settore giovanile nerazzurro spicca Sandro Mazzola, ma sono tanti i ragazzi di cui lui riesce ad annusare il talento e lanciare in prima squadra. Sempre ricordandosi della sua storia, dei suoi quattordici anni, che lo vedono vestire per la prima volta la maglia dell'Inter nella squadra "ragazzi", e di Fulvio Bernardini che lo segnala all'allenatore della prima squadra per il suo incredibile talento.

    Arpad Weisz cederà due anni dopo alle insistenze di Bernardini, aggregandolo ai "grandi" a sedici anni e facendolo esordire a diciassette. Fu lì che nacque il suo soprannome, Balilla. I compagni che lo videro fra i titolari della "Coppa Volta" ironizzarono: "Ora facciamo giocare pure i Balilla!" (ragazzi dagli 8 ai 14 anni organizzati dal fascio). È l'ultima volta che Meazza suscita ilarità fra compagni o avversari, perché già in quella gara d'esordio piazza una tripletta spettacolare e, di fatto, non si ferma più.

    Devastante in fase offensiva, è solito partire da dietro. Il ruolo è quello di attaccante in senso generico, anche perché tradurre tatticamente il calcio di allora è sempre un po' complicato: un po' Vieri, un po' Totti, dicono alcuni, comunque micidiale, dicono tutti. Anche gli stranieri che impararono a conoscerlo e temerlo fin da subito, perché anche con la maglia azzurra Pepin ha scritto la Storia. Vince due mondiale consecutivi, nel 1934 e nel 1938, sempre da trascinatore della squadra. Ma vince anche due "Coppe Internazionali", competizione che ora ci dice poco ma che aveva una sua importanza e segna la prima vittoria italiana in Ungheria, una vera impresa in quegli anni.

    Anche se l'Impresa, quella memorabile, è una... sconfitta. Ma subita contro l'Inghilterra dei maestri, nazionale imbattibile all'epoca, soprattutto quando giocava in casa. E il 14 novembre del 1934 si gioca proprio a Londra, nel leggendario stadio di Highbury, dove giocava l'Arsenal. L'Italia, fresca campione del mondo, perde dopo due minuti Luisito Monti, il fenomenale oriundo. Senza sostituzioni (allora non previste) deve giocare in dieci e va sotto di tre gol nel giro di poco. Ma, a quel punto l'orgoglio azzurro, trascinato da Meazza, compie il miracolo: Pepin segna due gol e alla fine prende pure una traversa che sarebbe stato il pareggio. Finisce 3-2, ma gli inglesi si inchinano all'eroismo e alla classe degli italiani (ribattezzati poi dalla cronaca "I leoni di Highbury"). Eccolo qui Meazza, così fenomeno da essere magnifico anche nelle sconfitte.

    http://www.inter.it/aas/news/reader?N=49236&L=it
    ----------------------------------------------------




    Difficile, sempre, identificare l'origine nella specie in una scienza inesatta quale è il calcio. L'eccezione tuttavia c'è, basta cercarla: e nella categoria del calciatore italiano divo, predestinato, fuori schema, fuoriclasse l'origine della specie è Giuseppe Meazza. Goleador e deus-ex-machina, genio e sregolatezza, artista e capitano, piuttosto bello e piuttosto bullo, ricco e idolatrato, adescatore e adescato. Meazza sta agli anni '30 del calcio mondiale come i Beatles agli anni '60 della musica. Ai due estremi del decennio l'inizio e la fine della sua traiettoria: in mezzo, tutto quello che si poteva godere della sua arte pedatoria, per dirla come il vate Brera.

    La data che va usata come segnalibro è il 9 febbraio 1930. Il "Peppino" di Porta Vittoria non conta nemmeno anni 20 all'anagrafe e si trova nello Stadio Nazionale di Roma con addosso una maglia di un azzurro molto chiaro, quasi sbiadito. Il Commendator Cittì Vittorio Pozzo, in vista dell'importante incontro con la Svizzera (che tempi) per la Coppa Internazionale sceglie di baciare il rischio: fa fuori il talentuoso asso del Napoli Attila Sallustro e al suo posto inserisce quello che per i tifosi milanesi della ruggente Ambrosiana-Inter era già noto come il "Balilla", fenomeno prodotto in casa, tirato su a bistecche da dirigenti generosi per avere in cambio gol.

    Debutto di fuoco, ragazzi. E Meazza, da subito, è film da cassetta: da Milano, per vedere il suo piscinin si muove in treno mamma Ersilia, vedova di guerra che lavora al Verziere, il mercato della verdura. Dalla direzione opposta (Napoli) si muovono invece centinaia di fans di Sallustro intenzionati a contestare Pozzo, l'Italia, il bamboccio che ha spodestato l'idolo: chi pensa in tempi recenti di avere inventato il tifo anti-azzurro ha veramente sbagliato indirizzo. I campanilisti di Partenope fischiano, fischiano e ci si mette pure la Svizzera con doppietta dell'ottimo Poretti (uno che si chiama Poretti deve essere ottimo, per fare due gol all'Italia): leggenda vuole che Ersilia, cuore di mamma, si metta a piangere disperata. Il suo bambino, al contrario, rimane calmo e viene su pian piano come il caffè nella moka: prima borbotta partecipando alle azioni che raddrizzano la partita sul 2-2. Poi, ecco la sbroffata potente, calda, repentina: due gol nel giro di due minuti comprendenti la specialità della casa, vale a dire il tocco, preciso angolato sull'uscita del portiere.

    Che esordio, buona la prima: è la promessa (poi stramantenuta) di grandissime cose a venire. Mamma Ersi si asciuga le lacrime, mentre il pubblico - napoletani compresi - agita i cappelli per l'entusiasmo. Da lì, e per quasi dieci anni, Giuseppe Meazza è faccia e piedi dell'italico calcio capace di tutto vincere. Trentatre gol in 53 partite, due mondiali, Coppe Internazionali. Se i francesi - che lo definirono "grand peintre du football", grande pittore di calcio - si fossero svegliati prima col Pallone d'Oro, garantito che ne avrebbe portati a casa due o tre. Ha anticipato i Vieri, i Totti, gli Inzaghi anche fuori dal campo: leggendarie, e per nulla inventate, le sue notti nei dancing milanesi tra tanghi e promiscuità assortite con coniugate, celibi e professioniste. E poi gran macchinoni (altro che l'omonima Balilla), biliardo, sigarette, poker. Per sua fortuna, ha vissuto il tutto in tempi ancora distanti da gossip e cronaca rosa. Per sua sfortuna, e di tantissimi altri contemporanei, ha vissuto il tutto in tempi in cui le "veline" erano tristemente un'altra cosa.



    Tratto da "Cento volte Italia"
    di Paolo Madeddu e Andrea Saronni
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    http://www.sportmediaset.mediaset.it...olo40310.shtml
    ModeratoreGDR CARTACEI-WAR GAMES-TCG
    - UFO-MISTERI-PARANORMALE
    - Al Bar dello sport

  • #2
    Originariamente inviato da s_12 Visualizza il messaggio
    MILANO - Prendete il genio di Sneijder, la potenza di Stankovic, il senso del gol di Milito, il dribbling di Eto'o, lo spirito di Zanetti, mischiateli bene in un unico giocatore, ma qualche ingrediente mancherà sempre per costruire un altro Giuseppe Meazza. Forse la magia di un tempo in cui c'era meno tv e più fantasia, il tempo in cui i cronisti sapevano fare anche i poeti e per raccontare Pepin quasi facevano ricorso ai versi e il calcio diventava epica.

    "Grandi giocatori esistevano al mondo, magari più tosti e continui di lui, però non pareva a noi che si potesse andar oltre le sue invenzioni improvvise, gli scatti geniali, i dribbling perentori e tuttavia mai irridenti, le fughe solitarie verso la sua smarrita vittima di sempre, il portiere avversario", così scriveva Gianni Brera di Meazza, calciatore per vent'anni, con la Guerra di mezzo: dal 1927, quando diciassettenne esordì nell'Inter, fino al 1947, quando - sempre nell'Inter - terminò la sua carriera, dopo aver militato pure nel Milan e nella Juventus, anche se per brevi comparsate. Non se ne abbiano a male gli altri, Pepin Meazza rimane una leggenda nerazzurra (oltre che azzurra, ma quella è un'altra magnifica storia), che all'Inter ha dato il meglio di sé, anche dopo aver smesso di terrorizzare i portieri avversari. Al di là dell'esperienza da allenatore, è da talent scout che Meazza regala all'Inter gioielli preziosi quanto i suoi gol (sono 288 in totale con la maglia nerazzurra): fra le sue scoperte nel settore giovanile nerazzurro spicca Sandro Mazzola, ma sono tanti i ragazzi di cui lui riesce ad annusare il talento e lanciare in prima squadra. Sempre ricordandosi della sua storia, dei suoi quattordici anni, che lo vedono vestire per la prima volta la maglia dell'Inter nella squadra "ragazzi", e di Fulvio Bernardini che lo segnala all'allenatore della prima squadra per il suo incredibile talento.

    Arpad Weisz cederà due anni dopo alle insistenze di Bernardini, aggregandolo ai "grandi" a sedici anni e facendolo esordire a diciassette. Fu lì che nacque il suo soprannome, Balilla. I compagni che lo videro fra i titolari della "Coppa Volta" ironizzarono: "Ora facciamo giocare pure i Balilla!" (ragazzi dagli 8 ai 14 anni organizzati dal fascio). È l'ultima volta che Meazza suscita ilarità fra compagni o avversari, perché già in quella gara d'esordio piazza una tripletta spettacolare e, di fatto, non si ferma più.

    Devastante in fase offensiva, è solito partire da dietro. Il ruolo è quello di attaccante in senso generico, anche perché tradurre tatticamente il calcio di allora è sempre un po' complicato: un po' Vieri, un po' Totti, dicono alcuni, comunque micidiale, dicono tutti. Anche gli stranieri che impararono a conoscerlo e temerlo fin da subito, perché anche con la maglia azzurra Pepin ha scritto la Storia. Vince due mondiale consecutivi, nel 1934 e nel 1938, sempre da trascinatore della squadra. Ma vince anche due "Coppe Internazionali", competizione che ora ci dice poco ma che aveva una sua importanza e segna la prima vittoria italiana in Ungheria, una vera impresa in quegli anni.

    Anche se l'Impresa, quella memorabile, è una... sconfitta. Ma subita contro l'Inghilterra dei maestri, nazionale imbattibile all'epoca, soprattutto quando giocava in casa. E il 14 novembre del 1934 si gioca proprio a Londra, nel leggendario stadio di Highbury, dove giocava l'Arsenal. L'Italia, fresca campione del mondo, perde dopo due minuti Luisito Monti, il fenomenale oriundo. Senza sostituzioni (allora non previste) deve giocare in dieci e va sotto di tre gol nel giro di poco. Ma, a quel punto l'orgoglio azzurro, trascinato da Meazza, compie il miracolo: Pepin segna due gol e alla fine prende pure una traversa che sarebbe stato il pareggio. Finisce 3-2, ma gli inglesi si inchinano all'eroismo e alla classe degli italiani (ribattezzati poi dalla cronaca "I leoni di Highbury"). Eccolo qui Meazza, così fenomeno da essere magnifico anche nelle sconfitte.

    http://www.inter.it/aas/news/reader?N=49236&L=it
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    Difficile, sempre, identificare l'origine nella specie in una scienza inesatta quale è il calcio. L'eccezione tuttavia c'è, basta cercarla: e nella categoria del calciatore italiano divo, predestinato, fuori schema, fuoriclasse l'origine della specie è Giuseppe Meazza. Goleador e deus-ex-machina, genio e sregolatezza, artista e capitano, piuttosto bello e piuttosto bullo, ricco e idolatrato, adescatore e adescato. Meazza sta agli anni '30 del calcio mondiale come i Beatles agli anni '60 della musica. Ai due estremi del decennio l'inizio e la fine della sua traiettoria: in mezzo, tutto quello che si poteva godere della sua arte pedatoria, per dirla come il vate Brera.

    La data che va usata come segnalibro è il 9 febbraio 1930. Il "Peppino" di Porta Vittoria non conta nemmeno anni 20 all'anagrafe e si trova nello Stadio Nazionale di Roma con addosso una maglia di un azzurro molto chiaro, quasi sbiadito. Il Commendator Cittì Vittorio Pozzo, in vista dell'importante incontro con la Svizzera (che tempi) per la Coppa Internazionale sceglie di baciare il rischio: fa fuori il talentuoso asso del Napoli Attila Sallustro e al suo posto inserisce quello che per i tifosi milanesi della ruggente Ambrosiana-Inter era già noto come il "Balilla", fenomeno prodotto in casa, tirato su a bistecche da dirigenti generosi per avere in cambio gol.

    Debutto di fuoco, ragazzi. E Meazza, da subito, è film da cassetta: da Milano, per vedere il suo piscinin si muove in treno mamma Ersilia, vedova di guerra che lavora al Verziere, il mercato della verdura. Dalla direzione opposta (Napoli) si muovono invece centinaia di fans di Sallustro intenzionati a contestare Pozzo, l'Italia, il bamboccio che ha spodestato l'idolo: chi pensa in tempi recenti di avere inventato il tifo anti-azzurro ha veramente sbagliato indirizzo. I campanilisti di Partenope fischiano, fischiano e ci si mette pure la Svizzera con doppietta dell'ottimo Poretti (uno che si chiama Poretti deve essere ottimo, per fare due gol all'Italia): leggenda vuole che Ersilia, cuore di mamma, si metta a piangere disperata. Il suo bambino, al contrario, rimane calmo e viene su pian piano come il caffè nella moka: prima borbotta partecipando alle azioni che raddrizzano la partita sul 2-2. Poi, ecco la sbroffata potente, calda, repentina: due gol nel giro di due minuti comprendenti la specialità della casa, vale a dire il tocco, preciso angolato sull'uscita del portiere.

    Che esordio, buona la prima: è la promessa (poi stramantenuta) di grandissime cose a venire. Mamma Ersi si asciuga le lacrime, mentre il pubblico - napoletani compresi - agita i cappelli per l'entusiasmo. Da lì, e per quasi dieci anni, Giuseppe Meazza è faccia e piedi dell'italico calcio capace di tutto vincere. Trentatre gol in 53 partite, due mondiali, Coppe Internazionali. Se i francesi - che lo definirono "grand peintre du football", grande pittore di calcio - si fossero svegliati prima col Pallone d'Oro, garantito che ne avrebbe portati a casa due o tre. Ha anticipato i Vieri, i Totti, gli Inzaghi anche fuori dal campo: leggendarie, e per nulla inventate, le sue notti nei dancing milanesi tra tanghi e promiscuità assortite con coniugate, celibi e professioniste. E poi gran macchinoni (altro che l'omonima Balilla), biliardo, sigarette, poker. Per sua fortuna, ha vissuto il tutto in tempi ancora distanti da gossip e cronaca rosa. Per sua sfortuna, e di tantissimi altri contemporanei, ha vissuto il tutto in tempi in cui le "veline" erano tristemente un'altra cosa.



    Tratto da "Cento volte Italia"
    di Paolo Madeddu e Andrea Saronni
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    http://www.sportmediaset.mediaset.it...olo40310.shtml


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    Originariamente inviato da Kaisersouze
    Ma ancora non l'avete imparato che Wang non si giudica? Si ama.

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