Ciao Dariolampa, il tuo capitano si dà gli schiaffi da solo per far ammonire gli avversari con l'arbitro venduto.
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totti e il senso di appartenenza
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ma cmq nn capisco tutto questo scalpore
balotelli e' un provocatore e questo e' risaputo
totti e' uno che cade facilmente nelle provocazioni e anche questo e' risaputo
era una cosa magari non scontata ma che poteva accadere alla fin fine
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Originariamente inviato da wickedsick Visualizza il messaggio
meno male che c'è sempre un modello positivo come l'a.s roma in campo. Se no sai che brutte immagini per i bambini
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Originariamente inviato da Nobbbbu Visualizza il messaggioma cmq nn capisco tutto questo scalpore
balotelli e' un provocatore e questo e' risaputo
totti e' uno che cade facilmente nelle provocazioni e anche questo e' risaputo
era una cosa magari non scontata ma che poteva accadere alla fin fine
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Io davvero neanche vi leggo più, tanto un gruppetto composto da menti brillanti quali Apocalisse91, Edoplegico, icsvy, supernatural, macca e qualche altro scemo che ho dimenticato non è una gran perdita. Un po' come quando smisi con Topolino per passare a Verne. E che sia chiaro, un paragone con Topolino vi sta più che largo, ma oggi mi sento buono, la stupidità non è una colpa, cioè, voglio dire, lo è se vi foste lanciati ripetutamente contro il muro battendo la testa e procurandovi il danno. Ma voi così ci siete nati non avete più colpe nell'essere stupidi, di quanti meriti abbia io per essere così spudoratamente più intelligente di voi. E lo dico con imbarazzo, credetemi, che una superiorità così schiacciante l'ultima volta che la vidi fu a Verona, l'anno dello scudetto, quando Francesco, per restare in tema, dopo che avevamo preso un gol nei minuti iniziali, si girò verso di noi e disse, tranquilli ora je ne famo quattro.
E infatti finì 1 a 4.
Ho trovato questa, in giro, la posto di seguito perchè tutta non c'entra, GN non è abbastanza grande per il Capitano. L'ha scritta un figlio di emigrati, dubito che possiate capirla, comprenderla o anche solo lontanamente intuire di cosa parla. Ma se hai tante perle, qualcuna puoi anche buttarla ai porci che non serve a niente, chiaro, ma è proprio questo che li rende porci.
Ecco, cretini, fateci quello che vi pare e continuate a rotolarvi nel fango dandovi pacche sulle spalle a vincenda, che non venga mai il giorno che mi trovi d'accordo con un coglione e riceva una pacca anche io.
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Ciao Francè,
meglio scriverti. Ora.
Nonostante avessi voluto farlo nella miriade di occasioni in cui mi hai reso orgoglioso di vederti giocare, di saperti romanista e romano. Schizzi e abbozzi ce ne sono a iosa. Lettere cominciate e piantate lì. Per esaltarti, farti grande al mondo, celebrarti per qualità sportive, umane, calcistiche. Da quella volta che hai esordito a quando hai segnato l’ultimo gol. Dalle visite negli ospedali di mezzo mondo per garantire vicinanza a chiunque ne avesse necessità. Dai record polverizzati a furia di consumare scarpini a quel sogno che custodisco con una miriade di tifosi i quali – come me – quel 10 giallorosso lo vorrebbero impresso nell’eternità di una bacheca che esiste “solo” per noi. E quel “solo” sta messo lì perché è motivo di vanto.
Fra vent’anni, quando smetterai. Ovvio.
Scarabocchi ed espressioni montate su da una passione figlia di istinto e ragione. Perché sei riuscito a farmi dono anche di questo miscuglio specialissimo che ho vissuto poche altre volte, Francè: farti amare di sensazioni venute fuori all’improvviso – come i grandi amori nati col colpo di fulmine; e lasciarti bere tutto d’un fiato anche attraverso un affetto che si è alimentato giorno dopo giorno. Ora dopo ora. Avvenimento su avvenimento. Facile innamorarsi, Francè.
Ma rimanere legati a vita è un casino. A meno che tu non sia un platonico convinto e io – Francè – sono sempre stato uno che per rimanergli dentro al petto te devo toccà. Te devo vedè. Te devo capì. Quante ne ho cominciate: di missive, mail, messaggini incisi pure sugli scontrini del caffè. Ma poi, rimasti incompiuti. Perché bastava un attimo: partivo a scriverti, e finivo a parlarti. Come se fossi lì. A berti una birra. Mangiarti due bocconi. Fare tre passaggi. Scambiare quattro chiacchiere. Passarti cinque carte.
Dicono che accada quando t’impinzi de roba. Ai pazzi. Ai sognatori e agli adulatori.
In tutta sincerità, non c’ho mai provato a capire se fossi parte di uno degli insiemi – come a Trigoria, quando v’allenate. Pettorina verde, pettorina rossa -, se stessi (malauguratamente per me) con un piede in ciascuna categoria o se potesse rientrare – quel comportamento – in un equilibrio mentale di uno sano, vivo e vegeto. Ovvio che nun me ‘n’impinzo, Francè.
E’ che io, come migliaia di altri come me, so’ cresciuto col poster tuo che mi stava di fronte quando dormivo. Ho cominciato a leggere i giornali quotidianamente, grazie a te. Ho iniziato a comprarli e li sventagliavo meccanicamente alle pagine dello sport. Arrivato lì, cercavo solo notizie sulla Roma. Ma se, tra quel pugno di battute, si parlava de te, io ritagliavo e mettevo da parte. Col tempo, con gli anni, l’abitudine di acquistare un quotidiano m’è rimasta e s’è aggiunta anche l’esigenza di sfogliarlo tutto. La politica, la cronaca, l’economia.
M’hai ‘mparato a legge er giornale, Francè. A pijà coscienza der contesto sociale. E tu manco lo sai.
Forse ora è il momento che te lo racconti.
Sono un tifoso a distanza. Nel senso che sulla carta di identità c’è scritto che sono nato a Roma ma manca l’altro dato. Che sono figlio di emigranti. E il Cupolone, San Pietro, Cinecittà, i vicoli, Piazza di Spagna, il raccordo. Li ho visti, sì. Ma dopo parecchi anni. Da turista.
Però, a casa mia, tra noi se parla romano. E quando è partita, mamma piangeva.
Papà, dentro, era un fiume che prorompeva ma de fori, er maschio, s’è sforzato a rimanere integerrimo.
Se so’ portati tutto: i panni, er conto, gli spicci, i mobili, i quadri, le cassette di Venditti, gli odori di Castro Pretorio, i sapori di Trastevere, la caciara del Testaccio, le illusioni di Sant’Eustachio, le espressioni gergali di Campitelli, la maglietta di Agostino. Comprata al baracchino, forse per 5 mila lire.
Abbiamo fatto, di ogni angolo di mondo in cui siamo stati, una Roma in miniatura. A scuola ero l’unico a fare il tifo per la Magica. Non poi capì. O erano prese in giro – che la Roma, per lo scudetto, non ci lottava quasi mai – o solo indifferenza – quella che, l’ho capito crescendo, si manifesta verso i poracci, i perdenti.
Non me n’è mai fregato niente. Perché il senso di appartenenza maturava pian piano. Ma maturava. Procedeva a passi più veloci rispetto alle amarezze di risultati poco esaltanti.
Orgoglioso di sentirmi uno in mezzo a tanti, esclusivo – e non diverso – tutte le volte che gli altri dicevano “bagnato” e io je rispondevo “fracico”. E quando mi addormentavo, Francè, immaginavo sempre le stesse identiche due scene: che stavo in mezzo al campo con la maglia della Roma e correvo, correvo e scartavo tutti; o che stavo seduto a una scrivania. E scrivevo, scrivevo anche sulle carte delle caramelle. Poi, un sogno dietro l’altro, un centimetro alla volta, un errore dietro l’altro sono diventato adulto. Da un momento, che ricordo solo vagamente ma in questo gli annali e le statistiche offrono un sostegno da “seduta psicologica”, sei entrato in casa nostra e nun te ne sei ‘nnato più.
Il 28 marzo 1993 tu esordivi e io me stavo a preparà per l’esame di terza media.
L’adolescenza è un tempo indefinito che poi finisce troppo presto. Vorresti esser grande in un istante. Solo dopo daresti qualche anno di vita in dote, pur di riaverla indietro.
Ho rischiato più volte di lasciare la scuola e preferirle percorsi differenti. Avessi avuto i piedi buoni come i tuoi, m’avrebbero detto che solo con la tecnica e senza disciplina, allenamenti non si arriva da nessuna parte.
Francè, papà mi faceva sempre l’esempio tuo: “Che pensi che er Capitano, senza sacrifici, potrebbe esse ogni giorno più forte?”. Nun ce crederai, ma a furia de sentirmelo ripete, France, me so’ messo a studià come ‘n matto. A testa bassa. Ar liceo, all’università.
M’hai ‘mparato l’umiltà e a fa’ fatica. E tu, Francè, manco lo sai.
Capitano, è qualche anno che quel poster l’ho staccato dal muro.
Perché con la maturazione, anche gli eroi e i miti riesci a vederli in maniera diversa. Non rivivo più i tuoi movimenti in campo per riuscire a trovare sonno. E’ arrivato un lavoro, una famiglia, sono arrivati problemi che mi tocca risolvere in prima persona perché non c’è più nessuno a pensarci per me. Come è giusto sia.
Ciò che provavi per gli eroi – senso di emulazione infinita – diventa stima, ammirazione, riconoscimento. In qualche caso, riconoscenza.
Per questo, ora, la voglia matta di scriverti viene fuori da sé.
Un giorno, magari, tornerò a Roma per imparare a conoscere la città in cui sono nato e che ho custodito come il tesoro più prezioso marchiatomi nel cuore da mio padre. Da mia madre.
Ma fino ad allora, è te che porto a esempio di Roma, della Roma e della romanità. In questo non differisco affatto dall’intero popolo giallorosso. Assiepato in ogni porzione del pianeta.
Chi per scelta, chi per necessità. Chi “col pensiero ricorrente” e chi con la fortuna di riuscire, ogni tanto, a farci una capatina. Nella Capitale, tra i rioni, in curva Sud, a casa.
Tu sei Roma, Francè, perché per tanti come me la Capitale è alta un metro e ottanta, pesa ottantadue chili e sta mettendo su una squadra de calcetto.
E sei la Roma, Francè, perché – credimi – riuscire a fare “piccoli così” quei giganti nell’eternità che sono Amedeo Amadei, Sergio Santarini, Giacomo Losi, Agostino, Aldair è roba che solo se ne fondi quattro come pe’ fa’ ‘na lega metallica, ce puoi riuscì.
Poi, sei pure la romanità. Schierato, brusco, schietto, sincero, appassionato e fiero.
Dirtelo ora, dopo la finale di Coppa Italia, è il modo migliore che conosco per mostrarti riconoscenza.
I sogni, i giornali, la scola: m’hai ‘mparato a crède e a ragionà, Francè. E de questo te ringrazio. Sei stato ‘n amico, ‘n confidente, sei stato – per quanto detto – il motivo che ha giustificato “il prezzo del biglietto” tutte le volte che ho avuto la fortuna di vederti in uno stadio che fosse a malapena vicino a dove abito. Perché quelle che per i romanisti sono trasferte, per me erano partite in casa.
So’ cresciuto, Capità, e nun te posso dì che quello che ho visto ieri sia ‘n gesto da Campione. Quale sei. Nun te lo posso dì e nun te lo dico.
Però, oggi, ti scrivo di getto per dirti che quanno me so’ sposato, da casa di mio padre e mia madre, ho portato con me le cassette di Venditti, gli odori di Castro Pretorio, i sapori di Trastevere, la caciara del Testaccio, le illusioni di Sant’Eustachio, le espressioni gergali di Campitelli, la maglietta di Agostino. Comprata al baracchino, forse per 5 mila lire.
E il tuo poster, Capità.
Perché mio figlio, ne sono certo, sceglierà da solo.
Sbaglierà, pagherà, cercherà nella maniera a lui più congeniale una felicità soggettiva. Tutta sua.
Ma suo padre, quel poster, glielo metterà tra le mani e gli racconterà di chi sei stato. Di quello che ha fatto. E nel momento in cui mi dovesse chiedere perchè, sotto la tua gigantografia, appare una scritta grande così che recita “IL MIO CAPITANO” gli racconterò che quando l’ho impressa, erano le 22.28 del 5 maggio 2010. E comincerò a raccontargli di te proprio da quell’istante. Dicendogli che anche i personaggi più incredibili, qualche volta, se so’ bagnati. Fracichi.
E’ così che gli presenterò Francesco Totti. Il mio Capitano.
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Originariamente inviato da KoroshiyaIchi Visualizza il messaggiocut
Ti avvali di frasi, autori, lettere di persone che non comprendi e non sei degno di quotare. Mi fai davvero pena, Fabio.
Danilo.
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Originariamente inviato da KoroshiyaIchi Visualizza il messaggioIo davvero neanche vi leggo più, tanto un gruppetto composto da menti brillanti quali Apocalisse91, Edoplegico, icsvy, supernatural, macca e qualche altro scemo che ho dimenticato non è una gran perdita. Un po' come quando smisi con Topolino per passare a Verne. E che sia chiaro, un paragone con Topolino vi sta più che largo, ma oggi mi sento buono, la stupidità non è una colpa, cioè, voglio dire, lo è se vi foste lanciati ripetutamente contro il muro battendo la testa e procurandovi il danno. Ma voi così ci siete nati non avete più colpe nell'essere stupidi, di quanti meriti abbia io per essere così spudoratamente più intelligente di voi. E lo dico con imbarazzo, credetemi, che una superiorità così schiacciante l'ultima volta che la vidi fu a Verona, l'anno dello scudetto, quando Francesco, per restare in tema, dopo che avevamo preso un gol nei minuti iniziali, si girò verso di noi e disse, tranquilli ora je ne famo quattro.
E infatti finì 1 a 4.
Ho trovato questa, in giro, la posto di seguito perchè tutta non c'entra, GN non è abbastanza grande per il Capitano. L'ha scritta un figlio di emigrati, dubito che possiate capirla, comprenderla o anche solo lontanamente intuire di cosa parla. Ma se hai tante perle, qualcuna puoi anche buttarla ai porci che non serve a niente, chiaro, ma è proprio questo che li rende porci.
Ecco, cretini, fateci quello che vi pare e continuate a rotolarvi nel fango dandovi pacche sulle spalle a vincenda, che non venga mai il giorno che mi trovi d'accordo con un coglione e riceva una pacca anche io.
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Originariamente inviato da Supernatural Visualizza il messaggioTu non rosichi solo, tu sei scemo proprio.
Ti avvali di frasi, autori, lettere di persone che non comprendi e non sei degno di quotare. Mi fai davvero pena, Fabio.
Danilo.
Te non hai capito, non che ci fossero dubbi, ma non hai capito davvero un càzzo.
Tu sei un cretino, uno dei tanti, ma sempre un cretino. Se io non ti facessi pena, vorrebbe dire che mi considereresti un tuo pari.
Ecco, io voglio continuare a farti pena, io non sono un tuo pari.
Ed è per questo che tu sei un cretino.
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Originariamente inviato da KoroshiyaIchi Visualizza il messaggioTe non hai capito, non che ci fossero dubbi, ma non hai capito davvero un càzzo.
Tu sei un cretino, uno dei tanti, ma sempre un cretino. Se io non ti facessi pena, vorrebbe dire che mi considereresti un tuo pari.
Ecco, io voglio continuare a farti pena, io non sono un tuo pari.
Ed è per questo che tu sei un cretino.
Macca, sopra dice che stai esagerando, ma tu in realtà non stai esagerando, sei solo un cretino qualsiasi.
Tornando a Totti: difendere un gesto del genere, è pur sempre il capitano, ma ci sono capitani e capitani per fortuna.
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se è finita la parentesi ichinsulto...
Originariamente inviato da Supernatural Visualizza il messaggio
Tornando a Totti: difendere un gesto del genere, è pur sempre il capitano, ma ci sono capitani e capitani per fortuna.
+ un uomo e' gretto + le sue affermazioni sono assolute
Parla in modo sensato ad uno stupido e questi ti chiamerà stupido.
Accetto qualunque critica ma non accetto insulti
3. È VIETATO scrivere messaggi senza contenuto (SPAM - solo puntini, emoticons etc..) o fuori argomento, con l'intento, volontario o involontario, di creare flame ed appesantire le discussioni.
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Originariamente inviato da KoroshiyaIchi Visualizza il messaggioCiao Francè,
meglio scriverti. Ora.
Nonostante avessi voluto farlo nella miriade di occasioni in cui mi hai reso orgoglioso di vederti giocare, di saperti romanista e romano. Schizzi e abbozzi ce ne sono a iosa. Lettere cominciate e piantate lì. Per esaltarti, farti grande al mondo, celebrarti per qualità sportive, umane, calcistiche. Da quella volta che hai esordito a quando hai segnato l’ultimo gol. Dalle visite negli ospedali di mezzo mondo per garantire vicinanza a chiunque ne avesse necessità. Dai record polverizzati a furia di consumare scarpini a quel sogno che custodisco con una miriade di tifosi i quali – come me – quel 10 giallorosso lo vorrebbero impresso nell’eternità di una bacheca che esiste “solo” per noi. E quel “solo” sta messo lì perché è motivo di vanto.
Fra vent’anni, quando smetterai. Ovvio.
Scarabocchi ed espressioni montate su da una passione figlia di istinto e ragione. Perché sei riuscito a farmi dono anche di questo miscuglio specialissimo che ho vissuto poche altre volte, Francè: farti amare di sensazioni venute fuori all’improvviso – come i grandi amori nati col colpo di fulmine; e lasciarti bere tutto d’un fiato anche attraverso un affetto che si è alimentato giorno dopo giorno. Ora dopo ora. Avvenimento su avvenimento. Facile innamorarsi, Francè.
Ma rimanere legati a vita è un casino. A meno che tu non sia un platonico convinto e io – Francè – sono sempre stato uno che per rimanergli dentro al petto te devo toccà. Te devo vedè. Te devo capì. Quante ne ho cominciate: di missive, mail, messaggini incisi pure sugli scontrini del caffè. Ma poi, rimasti incompiuti. Perché bastava un attimo: partivo a scriverti, e finivo a parlarti. Come se fossi lì. A berti una birra. Mangiarti due bocconi. Fare tre passaggi. Scambiare quattro chiacchiere. Passarti cinque carte.
Dicono che accada quando t’impinzi de roba. Ai pazzi. Ai sognatori e agli adulatori.
In tutta sincerità, non c’ho mai provato a capire se fossi parte di uno degli insiemi – come a Trigoria, quando v’allenate. Pettorina verde, pettorina rossa -, se stessi (malauguratamente per me) con un piede in ciascuna categoria o se potesse rientrare – quel comportamento – in un equilibrio mentale di uno sano, vivo e vegeto. Ovvio che nun me ‘n’impinzo, Francè.
E’ che io, come migliaia di altri come me, so’ cresciuto col poster tuo che mi stava di fronte quando dormivo. Ho cominciato a leggere i giornali quotidianamente, grazie a te. Ho iniziato a comprarli e li sventagliavo meccanicamente alle pagine dello sport. Arrivato lì, cercavo solo notizie sulla Roma. Ma se, tra quel pugno di battute, si parlava de te, io ritagliavo e mettevo da parte. Col tempo, con gli anni, l’abitudine di acquistare un quotidiano m’è rimasta e s’è aggiunta anche l’esigenza di sfogliarlo tutto. La politica, la cronaca, l’economia.
M’hai ‘mparato a legge er giornale, Francè. A pijà coscienza der contesto sociale. E tu manco lo sai.
Forse ora è il momento che te lo racconti.
Sono un tifoso a distanza. Nel senso che sulla carta di identità c’è scritto che sono nato a Roma ma manca l’altro dato. Che sono figlio di emigranti. E il Cupolone, San Pietro, Cinecittà, i vicoli, Piazza di Spagna, il raccordo. Li ho visti, sì. Ma dopo parecchi anni. Da turista.
Però, a casa mia, tra noi se parla romano. E quando è partita, mamma piangeva.
Papà, dentro, era un fiume che prorompeva ma de fori, er maschio, s’è sforzato a rimanere integerrimo.
Se so’ portati tutto: i panni, er conto, gli spicci, i mobili, i quadri, le cassette di Venditti, gli odori di Castro Pretorio, i sapori di Trastevere, la caciara del Testaccio, le illusioni di Sant’Eustachio, le espressioni gergali di Campitelli, la maglietta di Agostino. Comprata al baracchino, forse per 5 mila lire.
Abbiamo fatto, di ogni angolo di mondo in cui siamo stati, una Roma in miniatura. A scuola ero l’unico a fare il tifo per la Magica. Non poi capì. O erano prese in giro – che la Roma, per lo scudetto, non ci lottava quasi mai – o solo indifferenza – quella che, l’ho capito crescendo, si manifesta verso i poracci, i perdenti.
Non me n’è mai fregato niente. Perché il senso di appartenenza maturava pian piano. Ma maturava. Procedeva a passi più veloci rispetto alle amarezze di risultati poco esaltanti.
Orgoglioso di sentirmi uno in mezzo a tanti, esclusivo – e non diverso – tutte le volte che gli altri dicevano “bagnato” e io je rispondevo “fracico”. E quando mi addormentavo, Francè, immaginavo sempre le stesse identiche due scene: che stavo in mezzo al campo con la maglia della Roma e correvo, correvo e scartavo tutti; o che stavo seduto a una scrivania. E scrivevo, scrivevo anche sulle carte delle caramelle. Poi, un sogno dietro l’altro, un centimetro alla volta, un errore dietro l’altro sono diventato adulto. Da un momento, che ricordo solo vagamente ma in questo gli annali e le statistiche offrono un sostegno da “seduta psicologica”, sei entrato in casa nostra e nun te ne sei ‘nnato più.
Il 28 marzo 1993 tu esordivi e io me stavo a preparà per l’esame di terza media.
L’adolescenza è un tempo indefinito che poi finisce troppo presto. Vorresti esser grande in un istante. Solo dopo daresti qualche anno di vita in dote, pur di riaverla indietro.
Ho rischiato più volte di lasciare la scuola e preferirle percorsi differenti. Avessi avuto i piedi buoni come i tuoi, m’avrebbero detto che solo con la tecnica e senza disciplina, allenamenti non si arriva da nessuna parte.
Francè, papà mi faceva sempre l’esempio tuo: “Che pensi che er Capitano, senza sacrifici, potrebbe esse ogni giorno più forte?”. Nun ce crederai, ma a furia de sentirmelo ripete, France, me so’ messo a studià come ‘n matto. A testa bassa. Ar liceo, all’università.
M’hai ‘mparato l’umiltà e a fa’ fatica. E tu, Francè, manco lo sai.
Capitano, è qualche anno che quel poster l’ho staccato dal muro.
Perché con la maturazione, anche gli eroi e i miti riesci a vederli in maniera diversa. Non rivivo più i tuoi movimenti in campo per riuscire a trovare sonno. E’ arrivato un lavoro, una famiglia, sono arrivati problemi che mi tocca risolvere in prima persona perché non c’è più nessuno a pensarci per me. Come è giusto sia.
Ciò che provavi per gli eroi – senso di emulazione infinita – diventa stima, ammirazione, riconoscimento. In qualche caso, riconoscenza.
Per questo, ora, la voglia matta di scriverti viene fuori da sé.
Un giorno, magari, tornerò a Roma per imparare a conoscere la città in cui sono nato e che ho custodito come il tesoro più prezioso marchiatomi nel cuore da mio padre. Da mia madre.
Ma fino ad allora, è te che porto a esempio di Roma, della Roma e della romanità. In questo non differisco affatto dall’intero popolo giallorosso. Assiepato in ogni porzione del pianeta.
Chi per scelta, chi per necessità. Chi “col pensiero ricorrente” e chi con la fortuna di riuscire, ogni tanto, a farci una capatina. Nella Capitale, tra i rioni, in curva Sud, a casa.
Tu sei Roma, Francè, perché per tanti come me la Capitale è alta un metro e ottanta, pesa ottantadue chili e sta mettendo su una squadra de calcetto.
E sei la Roma, Francè, perché – credimi – riuscire a fare “piccoli così” quei giganti nell’eternità che sono Amedeo Amadei, Sergio Santarini, Giacomo Losi, Agostino, Aldair è roba che solo se ne fondi quattro come pe’ fa’ ‘na lega metallica, ce puoi riuscì.
Poi, sei pure la romanità. Schierato, brusco, schietto, sincero, appassionato e fiero.
Dirtelo ora, dopo la finale di Coppa Italia, è il modo migliore che conosco per mostrarti riconoscenza.
I sogni, i giornali, la scola: m’hai ‘mparato a crède e a ragionà, Francè. E de questo te ringrazio. Sei stato ‘n amico, ‘n confidente, sei stato – per quanto detto – il motivo che ha giustificato “il prezzo del biglietto” tutte le volte che ho avuto la fortuna di vederti in uno stadio che fosse a malapena vicino a dove abito. Perché quelle che per i romanisti sono trasferte, per me erano partite in casa.
So’ cresciuto, Capità, e nun te posso dì che quello che ho visto ieri sia ‘n gesto da Campione. Quale sei. Nun te lo posso dì e nun te lo dico.
Però, oggi, ti scrivo di getto per dirti che quanno me so’ sposato, da casa di mio padre e mia madre, ho portato con me le cassette di Venditti, gli odori di Castro Pretorio, i sapori di Trastevere, la caciara del Testaccio, le illusioni di Sant’Eustachio, le espressioni gergali di Campitelli, la maglietta di Agostino. Comprata al baracchino, forse per 5 mila lire.
E il tuo poster, Capità.
Perché mio figlio, ne sono certo, sceglierà da solo.
Sbaglierà, pagherà, cercherà nella maniera a lui più congeniale una felicità soggettiva. Tutta sua.
Ma suo padre, quel poster, glielo metterà tra le mani e gli racconterà di chi sei stato. Di quello che ha fatto. E nel momento in cui mi dovesse chiedere perchè, sotto la tua gigantografia, appare una scritta grande così che recita “IL MIO CAPITANO” gli racconterò che quando l’ho impressa, erano le 22.28 del 5 maggio 2010. E comincerò a raccontargli di te proprio da quell’istante. Dicendogli che anche i personaggi più incredibili, qualche volta, se so’ bagnati. Fracichi.
E’ così che gli presenterò Francesco Totti. Il mio Capitano.
La lettera è veramente bella (anche lui ha il senso di appartenenza, deve essere una cosa nel dna) però non capisco cosa voglia dimostrare. Totti ha sbagliato ed è da sciocchi non ammetterlo.
Ha preso a spinte chiunque, ha dato calci in testa, spallate e quasi rotto la gamba.. Per la cronaca poteva pure spaccare il ginocchio di balo e far chiudere la carriera a un ragazzo di 20 anni.
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