Il calcio è questo.
Esiste una realtà, che dice che l’Inter è la squadra più forte, più ricca, con il maggior numero di giocatori, che campione d’Italia in carica ha comprato Eto’o e Milito, Snejder e Thiago Motta, Pandev e Lucio, e ha fatto inzialmente il largo in campionato raggiunta verso la fine dalla squadra della capitale del mondo, squadra che si è presentata ai blocchi di partenza con un allenatore sfiduciato, nessun acquisto, un prestito ridicolo dell’ultim’ora e la dolorosa perdita di Aquilani. Una società fortemente contestata da molti tifosi che vorrebbero un russo, un americano un cinese, chiunque, a prendere la Roma e fare quello che Perez fa al Real Madrid o Moratti all’Inter: comprare tutti.
A 4 giornate dalla fine la classifica vedeva, incredibilmente la Roma sopra di un punto all’Inter: se l’aveste giocato a settembre sareste diventati ricchi sfondati.
Per fare ciò la Roma ha dovuto vincere 18 partite e pareggiarne 6. Qualche pareggio sfortunato qualche vittoria di piglio più che di merito, ma ha fatto una cosa straordinaria.
Però per arrivare in fondo, e lo sapevamo tutti, a quelle 18 vittorie bisognava aggiungerne altre 4.
Praticamente impossibile.
E’ una stagione nella quale abbiamo vinto a Torino e Firenze, ma soprattutto a Milano, che dopo aver battuto il Milan sul campo, siamo stati battuti a nostra volta da Rosetti (e Dio sa quanto pesa il furto della squadra di Berlusconi, Galliani e Meani), comunque, abbiamo anche trionfato in tutti e due i derby e ci accingiamo a giocare la finale di coppa Italia: una grande, grandissima stagione.
Ieri c’è stata la battuta d’arresto, prima o poi sarebbe arrivata, perché è scritto nel calcio ed è scritto a lettere di fuoco nella nostra storia.
Se alla fine del primo tempo fossimo stati almeno 3 a 0 (la rovesciata di Juan, la mezza rovesciata di Totti, il palo di Totti, il rigore che se avessimo avuto la casacca a strisce di qualunque colore ci avrebbero assegnato) sarebbe stato assolutamente meritato e avremmo vinto e continuato la corsa, ma prima o poi c’è sempre la partita che ti dice male. L’inter le ha avute, con la Samp, con il Catania, con la Roma stessa, le hanno avute tutte le squadre.
Però ora non è il momento di abbandonarsi a pianti e strepiti, abbiamo passato una notte insonne, abbiamo visto parenti e amici con i lucciconi, probabilmente abbiamo represso anche i nostri, ma oggi è un altro giorno. Questa squadra ha dimostrato palle e forza, ora le staremo accanto per queste 4 partite, e la sosterremo come merita: c’è una finale da giocare, e ci sono 3 partite da cui tirare fuori 9 punti. Probabilmente non basteranno, ma la dea bendata a volte i dadi li tira a casaccio, e nella vita o guardi gli altri giocarsela, come fanno i laziali e i milanisti quando son privi di arbitri, senza mai soffrire e gioire, o metti tutto in gioco ogni volta, rischiando amarezze e lacrime con la prospettiva dell’immenso e il sogno.
La nostra storia, le nostre vite, si imperniano sulla seconda ipotesi. Ero nato da poco quando mi raccontavano Graziani tirare il rigore verso la curva quel maledetto 30 maggio, quando mi raccontavano di un Lecce retrocesso venire a togliere uno scudetto già mezzo cucito sulla maglia, si sa i Meani, i Moggi, i Rosetti non sono roba solo degli anni nostri, ho visto la Roma spallettiana farsi prendere a pallonate in quel di Manchester: tante ferite che mai si rimargineranno, ma sui corpi segnati è scritta la storia e il destino.
Il nostro, calcisticamente parlando è stare lì, lì vicino perché non sei mai stata, la più protetta, quella con il maggior potere economico, ma pervicacemente stare lì a un passo, senza mai arrivare; per un popolo nel cui sangue scorre l’impeto dei legionari all’attacco, è dura da accettare.
Ma niente lacrime, un giorno Brenno entrando in Roma pensò di essere il padrone del mondo; di lì a poco dei galli non rimase traccia: è questo il nostro destino.
Esiste una realtà, che dice che l’Inter è la squadra più forte, più ricca, con il maggior numero di giocatori, che campione d’Italia in carica ha comprato Eto’o e Milito, Snejder e Thiago Motta, Pandev e Lucio, e ha fatto inzialmente il largo in campionato raggiunta verso la fine dalla squadra della capitale del mondo, squadra che si è presentata ai blocchi di partenza con un allenatore sfiduciato, nessun acquisto, un prestito ridicolo dell’ultim’ora e la dolorosa perdita di Aquilani. Una società fortemente contestata da molti tifosi che vorrebbero un russo, un americano un cinese, chiunque, a prendere la Roma e fare quello che Perez fa al Real Madrid o Moratti all’Inter: comprare tutti.
A 4 giornate dalla fine la classifica vedeva, incredibilmente la Roma sopra di un punto all’Inter: se l’aveste giocato a settembre sareste diventati ricchi sfondati.
Per fare ciò la Roma ha dovuto vincere 18 partite e pareggiarne 6. Qualche pareggio sfortunato qualche vittoria di piglio più che di merito, ma ha fatto una cosa straordinaria.
Però per arrivare in fondo, e lo sapevamo tutti, a quelle 18 vittorie bisognava aggiungerne altre 4.
Praticamente impossibile.
E’ una stagione nella quale abbiamo vinto a Torino e Firenze, ma soprattutto a Milano, che dopo aver battuto il Milan sul campo, siamo stati battuti a nostra volta da Rosetti (e Dio sa quanto pesa il furto della squadra di Berlusconi, Galliani e Meani), comunque, abbiamo anche trionfato in tutti e due i derby e ci accingiamo a giocare la finale di coppa Italia: una grande, grandissima stagione.
Ieri c’è stata la battuta d’arresto, prima o poi sarebbe arrivata, perché è scritto nel calcio ed è scritto a lettere di fuoco nella nostra storia.
Se alla fine del primo tempo fossimo stati almeno 3 a 0 (la rovesciata di Juan, la mezza rovesciata di Totti, il palo di Totti, il rigore che se avessimo avuto la casacca a strisce di qualunque colore ci avrebbero assegnato) sarebbe stato assolutamente meritato e avremmo vinto e continuato la corsa, ma prima o poi c’è sempre la partita che ti dice male. L’inter le ha avute, con la Samp, con il Catania, con la Roma stessa, le hanno avute tutte le squadre.
Però ora non è il momento di abbandonarsi a pianti e strepiti, abbiamo passato una notte insonne, abbiamo visto parenti e amici con i lucciconi, probabilmente abbiamo represso anche i nostri, ma oggi è un altro giorno. Questa squadra ha dimostrato palle e forza, ora le staremo accanto per queste 4 partite, e la sosterremo come merita: c’è una finale da giocare, e ci sono 3 partite da cui tirare fuori 9 punti. Probabilmente non basteranno, ma la dea bendata a volte i dadi li tira a casaccio, e nella vita o guardi gli altri giocarsela, come fanno i laziali e i milanisti quando son privi di arbitri, senza mai soffrire e gioire, o metti tutto in gioco ogni volta, rischiando amarezze e lacrime con la prospettiva dell’immenso e il sogno.
La nostra storia, le nostre vite, si imperniano sulla seconda ipotesi. Ero nato da poco quando mi raccontavano Graziani tirare il rigore verso la curva quel maledetto 30 maggio, quando mi raccontavano di un Lecce retrocesso venire a togliere uno scudetto già mezzo cucito sulla maglia, si sa i Meani, i Moggi, i Rosetti non sono roba solo degli anni nostri, ho visto la Roma spallettiana farsi prendere a pallonate in quel di Manchester: tante ferite che mai si rimargineranno, ma sui corpi segnati è scritta la storia e il destino.
Il nostro, calcisticamente parlando è stare lì, lì vicino perché non sei mai stata, la più protetta, quella con il maggior potere economico, ma pervicacemente stare lì a un passo, senza mai arrivare; per un popolo nel cui sangue scorre l’impeto dei legionari all’attacco, è dura da accettare.
Ma niente lacrime, un giorno Brenno entrando in Roma pensò di essere il padrone del mondo; di lì a poco dei galli non rimase traccia: è questo il nostro destino.
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