Saturiamoci di pixel quanto vogliamo, prendiamoci la definizione che più alta non si può, la verità è una sola, la bella visione non cancella la realtà, anzi la amplifica. Gli stadi vuoti restano una schifezza. Squallore assoluto. Non ce la faccio proprio a godere fino in fondo se la Roma straccia il Genoa dentro un’Olimpico che risuona come la casa degli spettri. E’ come fare festa avendoci addosso la rogna.
Quei fenomeni che amministrano il calcio non vogliono capirlo. E cosa s’inventano? In nome della giustizia, svuotano l’altro Olimpico, l’imitazione di Torino. Sabato sera, Juventus-Roma, la partita più romanzesca degli ultimi trent’anni, si giocherà in un mezzo deserto ghiacciato.
Devo gioire da romanista? No, provo rabbia. Quel sentimento di ulcerosa sconfitta, quando la stupidità prevale.
Io voglio che la mia Roma stravinca in uno stadio farcito di gobbi, li voglio tutti, dal primo all’ultimo, bercianti, ululanti, assatanati, senza nemmeno un romanista attorno, perché lo stadio sia compiutamente, ferocemente “nemico”.
Lo sento il benpensante come un foruncolo sotto pelle: ma come, e i cori razzisti? Non li puniamo? Ecco il punto. La farsa. Piatto forte di questa nazione. Da Maroni a Campana, passando per Abete, Beretta, Petrucci, Collina, per una volta sono tutti d’accordo: le partite vanno sospese in caso di manifestazioni razziste. Bello. Molto edificante. Piccolo dettaglio, nessuno si assume la responsabilità della decisione. Parte un balletto da sbellicarsi, tocca a te, no a lui, macché...E allora che si fa? Qualcosa bisogna pur fare. Via il bambino cattivo con l’acqua sporca. Zac. Avanti la scure. Decapitiamo. Tessere, tornelli, trasferte proibite, striscioni censurati, curve abolite. Le autorità del calcio, preposte per riempire gli stadi, li svuotano. Geniale paradosso, sarebbe tanto piaciuto a Oscar Wilde. Come investire milioni di euro per allestire uno spettacolo e poi negarlo al pubblico.
Il provvedimento del giudice sportivo di chiudere la curva a Torino è solo una cosa: testimonianza imbarazzante di due deficit, un deficit di strategia e uno di pensiero. L’incapacità di colpire i veri, eventuali colpevoli ti spinge a sparare nel mucchio. Non entro nel merito del caso Balotelli. La spiegazione è complessa, proprio perché terribilmente semplice, tribale e dunque politicamente scorretta. Il ragazzo offre e soffre, se cosi si può dire, di un caso “alta definizione”. Detto altrimenti, il suo problema è l’eccesso d’individuazione. Due i fattori, anzi tre: la pelle nera, i lampi da guerriero masai e le notevoli cazzate che distribuisce in campo a livello di comportamenti. L’insieme fa il “babau”, il diverso su cui la collettività esercita il diritto di rimozione. Un fattore su tre non è eliminabile, sugli altri due ci si può lavorare. La prova di quanto dico? Il focus su Balotelli non è solo delle curve di tutta Italia, ma anche di Mourinho che lo bastona un giorno sì e l’altro pure, dei media che lo assediano, del giudice sportivo che lo punisce in modo originale. Sono razzisti anche loro? E comunque, torno alla questione che conta, se quattro scemi berciano Balotelli, il rimedio è ammazzare il calcio?
Quei fenomeni che amministrano il calcio non vogliono capirlo. E cosa s’inventano? In nome della giustizia, svuotano l’altro Olimpico, l’imitazione di Torino. Sabato sera, Juventus-Roma, la partita più romanzesca degli ultimi trent’anni, si giocherà in un mezzo deserto ghiacciato.
Devo gioire da romanista? No, provo rabbia. Quel sentimento di ulcerosa sconfitta, quando la stupidità prevale.
Io voglio che la mia Roma stravinca in uno stadio farcito di gobbi, li voglio tutti, dal primo all’ultimo, bercianti, ululanti, assatanati, senza nemmeno un romanista attorno, perché lo stadio sia compiutamente, ferocemente “nemico”.
Lo sento il benpensante come un foruncolo sotto pelle: ma come, e i cori razzisti? Non li puniamo? Ecco il punto. La farsa. Piatto forte di questa nazione. Da Maroni a Campana, passando per Abete, Beretta, Petrucci, Collina, per una volta sono tutti d’accordo: le partite vanno sospese in caso di manifestazioni razziste. Bello. Molto edificante. Piccolo dettaglio, nessuno si assume la responsabilità della decisione. Parte un balletto da sbellicarsi, tocca a te, no a lui, macché...E allora che si fa? Qualcosa bisogna pur fare. Via il bambino cattivo con l’acqua sporca. Zac. Avanti la scure. Decapitiamo. Tessere, tornelli, trasferte proibite, striscioni censurati, curve abolite. Le autorità del calcio, preposte per riempire gli stadi, li svuotano. Geniale paradosso, sarebbe tanto piaciuto a Oscar Wilde. Come investire milioni di euro per allestire uno spettacolo e poi negarlo al pubblico.
Il provvedimento del giudice sportivo di chiudere la curva a Torino è solo una cosa: testimonianza imbarazzante di due deficit, un deficit di strategia e uno di pensiero. L’incapacità di colpire i veri, eventuali colpevoli ti spinge a sparare nel mucchio. Non entro nel merito del caso Balotelli. La spiegazione è complessa, proprio perché terribilmente semplice, tribale e dunque politicamente scorretta. Il ragazzo offre e soffre, se cosi si può dire, di un caso “alta definizione”. Detto altrimenti, il suo problema è l’eccesso d’individuazione. Due i fattori, anzi tre: la pelle nera, i lampi da guerriero masai e le notevoli cazzate che distribuisce in campo a livello di comportamenti. L’insieme fa il “babau”, il diverso su cui la collettività esercita il diritto di rimozione. Un fattore su tre non è eliminabile, sugli altri due ci si può lavorare. La prova di quanto dico? Il focus su Balotelli non è solo delle curve di tutta Italia, ma anche di Mourinho che lo bastona un giorno sì e l’altro pure, dei media che lo assediano, del giudice sportivo che lo punisce in modo originale. Sono razzisti anche loro? E comunque, torno alla questione che conta, se quattro scemi berciano Balotelli, il rimedio è ammazzare il calcio?
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