Milanesi e romane vendono il marchio a se stesse: 567 milioni di incassi.
Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Dopo due anni di austerity e di rigore finanziario, i big del calcio italiano (Juventus, a suo onore, esclusa) tornano a cadere nella trappola del "doping contabile". La partita in questione è di quelle decisive, valida però solo per la salvezza: in ballo ci sono quei 700 milioni di perdite che Milan, Inter, Roma e Lazio devono (o a questo punto dovevano) mettere in bilancio entro giugno 2007 per coprire la voragine aperta dall'addio allo spalma-debiti, cassato dalla Ue. Una cifra gigantesca, che avrebbe costretto i presidenti e i piccoli azionisti delle squadre a mettere mano al portafoglio per firmare l'assegno monstre per evitare il crac. Pericolo scampato. Grazie allo stesso metodo utilizzato negli anni della finanza allegra della Serie A: le plusvalenze fai-da-te.
Una volta ci si scambiava i ragazzini della squadra primavera a peso d'oro, incassando guadagni milionari del tutto fittizi ma utili a tappare i buchi nei conti. Oggi il giochino è un po' più sofisticato, fatto tutto in casa ma - tutto sommato - nemmeno troppo diverso: il trucco del marchio. Milan e Inter, Roma e Lazio hanno girato a se stesse il proprio brand. Rivalutandone il valore. Una partita di giro in cui non è passata di mano una lira, certificata da relazioni di fior di luminari per giustificare la lievitazione delle cifre. Ma sufficiente a creare un tesoretto di plusvalenze fittizie di 567 milioni di euro (186 i rossoneri, 159 la squadra di Moratti, 127 la Lupa e 95 i biancazurri). Un'iniezione di sano "doping contabile" dal sapore antico che consentirà tra quest'anno (come ha fatto il Milan) e il 2007 di mandare in archivio senza drammi finanziari la zavorra dello spalmaperdite. E da cui esce del tutto "pulita" la Juventus, pietra dello scandalo dell'estate di Calciopoli, che non è dovuta ricorrere ad artifici amministrativi perché in passato aveva rinunciato all'applicazione del decreto del governo Berlusconi per allungare gli ammortamenti dei giocatori.
Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Dopo due anni di austerity e di rigore finanziario, i big del calcio italiano (Juventus, a suo onore, esclusa) tornano a cadere nella trappola del "doping contabile". La partita in questione è di quelle decisive, valida però solo per la salvezza: in ballo ci sono quei 700 milioni di perdite che Milan, Inter, Roma e Lazio devono (o a questo punto dovevano) mettere in bilancio entro giugno 2007 per coprire la voragine aperta dall'addio allo spalma-debiti, cassato dalla Ue. Una cifra gigantesca, che avrebbe costretto i presidenti e i piccoli azionisti delle squadre a mettere mano al portafoglio per firmare l'assegno monstre per evitare il crac. Pericolo scampato. Grazie allo stesso metodo utilizzato negli anni della finanza allegra della Serie A: le plusvalenze fai-da-te.
Una volta ci si scambiava i ragazzini della squadra primavera a peso d'oro, incassando guadagni milionari del tutto fittizi ma utili a tappare i buchi nei conti. Oggi il giochino è un po' più sofisticato, fatto tutto in casa ma - tutto sommato - nemmeno troppo diverso: il trucco del marchio. Milan e Inter, Roma e Lazio hanno girato a se stesse il proprio brand. Rivalutandone il valore. Una partita di giro in cui non è passata di mano una lira, certificata da relazioni di fior di luminari per giustificare la lievitazione delle cifre. Ma sufficiente a creare un tesoretto di plusvalenze fittizie di 567 milioni di euro (186 i rossoneri, 159 la squadra di Moratti, 127 la Lupa e 95 i biancazurri). Un'iniezione di sano "doping contabile" dal sapore antico che consentirà tra quest'anno (come ha fatto il Milan) e il 2007 di mandare in archivio senza drammi finanziari la zavorra dello spalmaperdite. E da cui esce del tutto "pulita" la Juventus, pietra dello scandalo dell'estate di Calciopoli, che non è dovuta ricorrere ad artifici amministrativi perché in passato aveva rinunciato all'applicazione del decreto del governo Berlusconi per allungare gli ammortamenti dei giocatori.
Commenta