Originariamente inviato da DominÆ
Siamo accerchiati, ed è proprio per la gente come te e Countcoso che questo è il peggiore e il meno onesto degli assedi perché gli assedianti sono dentro la città e non fuori le mura. Il calcio che è, dopo brevissima stagione, sul punto di essere di nuovo espugnato e messo a catena dalla più spietata e barbara tribù, quella degli “addetti ai lavori”. Gli addetti alla sicurezza che appiccano incendi e fomentano rivolte, gli addetti al governo che congiurano in piazza, gli addetti alla comunicazione che tifano per i congiurati, insomma le guardie fanno il lavoro dei ladri. Non è una coincidenza che, nello stesso giorno in cui alla Juventus non riesce il colpo grosso del rientrare in serie A, il presidente Matarrese gridi in faccia al commissario Rossi il suo tre volte «Adesso basta!». C’è una frase di Matarrese rivolta appunto a Rossi che esemplifica, sfacciata, come gli assedianti chiedano, esigano la resa di chi non è della loro tribù. Dice Matarrese: «Rossi deve imparare a conoscere e rispettare i meccanismi del nostro mondo». E’ un ordine, l’ordine di adeguarsi a quel mondo. Bene, facciamola, ripercorriamola la breve storia di quel mondo da maggio ad oggi.
Durante tutta l’inchiesta sul calcio truccato e corrotto quel mondo non ha prodotto una sola testimonianza d’accusa, non un pentito, non un’ammissione di colpevolezza. Arbitri, dirigenti, giocatori, allenatori, manager tutti hanno taciuto. O meglio, anzi peggio, tutti hanno detto la stessa cosa con le stesse parole: sì, forse di truccare le partite si parlava al telefono, ma era solo per gioco o vanteria o maleducazione. Non potevano negare l’evidenza delle intercettazioni telefoniche ma tutti, proprio tutti, hanno negato a chi indagava le prove materiali. Erano quelle che venivano fuori dagli interrogatori dichiarazioni fotocopia, improbabili ma unanimi. Non sarà, come dice Matarrese, quel mondo un mondo di “malfattori”. Di certo però quel mondo ha prodotto un comportamento di massa fatto di omertà e di ostacolo organizzato alla giustizia.
E non era solo autodifesa, era il trampolino della riscossa, il primo cerchio dell’assedio. Ottenuto che la prima sentenza accantonasse l’ipotesi di un reato associativo, ottenuta cioè la garanzia che ciascuno rispondesse solo di ciò che era evidente e registrato non solo nei nastri e tabulati, gli “addetti ai lavori” non hanno ringraziato la giustizia, le hanno anzi ritorto contro questo suo garantismo. Hanno cominciato a lavorare di politica e di sponda con la politica. L’ariete dell’assedio è stato l’argomento, ancora l’altro giorno impugnato dal neo presidente della Juve, per cui chi conta molto può essere punito poco (“Noi bianconeri siamo il 25 per cento del mercato calcistico”). Sotto i colpi di questo ariete la prima sentenza ha ceduto ed è arrivata la seconda, scritta apposta e a misura perché gli “addetti ai lavori” non passassero all’assedio per fame. Sentenza morbida perché i morbidamente condannati in cambio non strangolassero il calcio con il ricorso alla giustizia sportiva, non prendessero il campionato in ostaggio come una banda di sequestratori che per estorcere il riscatto taglia a fette l’orecchio del sequestrato. Non è bastato, gli “addetti ai lavori”, ottenuto quel che avevano chiesto, hanno cambiato misura, hanno alzato il prezzo del riscatto e non hanno rilasciato il rapito.
Anzi, un attimo dopo la sentenza buona per loro sono corsi in ogni tv e giornale e piazza e comizio a intimare l’espulsione di giudici e commissari, il ritorno del potere, tutto il potere, nelle loro mani di “addetti ai lavori”. E ora si muovono nella città arroganti, protervi, prepotenti, potenti, sicuri. Da ogni angolo annunciano: stiamo tornando, siamo tornati, datevi una regolata, la ricreazione è finita. Esemplare è la parabola del comportamento della Juventus. Sono passati da un dateci la B e non la C e saremo nel giusto, a uno sprezzante rifiuto perfino di una diminuzione dei punti di penalizzazione in B. Non sono pazzi, si sentono forti, sul punto di perfezionare l’assedio e la riconquista. Simmetrico è il comportamento dell’informazione sportiva. Con sia pure numerose eccezioni individuali, il tono è quello di un festoso e familiare coro di buon ritorno agli amici di sempre, un saluto di riconoscimento tra famiglie, diverse ma affini, di “addetti ai lavori”.
Questa è la storia del mondo del calcio da maggio ad oggi. Una storia che parla di un mondo non riformabile se lasciato a se stesso e ai suoi “addetti ai lavori”. C’è da disperare, a meno che qualcuno, da fuori e non da dentro la città del calcio, faccia più di qualcosa. Il mercato: c’è da sperare che chi davvero paga il calcio, paghino di meno. Lo facciano nel loro interesse e, se lo faranno, lo faranno per questo. Ma, se lo faranno, faranno anche un’operazione di bonifica sociale, togliendo droga ed armi agli “addetti ai lavori”. Il governo: ha altro e di più grave da affrontare in autunno, ma la sconfitta di ogni ipotesi di calcio normale sarebbe anche una sua sconfitta, politica e culturale. Quindi non “concerti” con gli “addetti ai lavori” le nuove leggi, gli “addetti ai lavori” sono l’avversario e non il partner. Infine i tifosi: per Un Dominae, un Count Neclord disposto a incensare e ingoiare qualsiasi nefandezza in cambio di un acquisto di nome ce ne sono mille che cominciano a provare fastidio e distacco da quel mondo che pure produce partite e tornei. Non si tratta di boicottare il calcio ma di trovare il modo di dire che gli “addetti ai lavori” non sono i leader dei venti milioni di amanti del calcio. Talvolta può bastare un telecomando da spegnere quando gli “addetti ai lavori” si danno convegno in tv. E poi, via a salire, con ogni forma e ogni mezzo tranquillo e massiccio per togliere loro consenso. Non è detto che funzionerà, la città del calcio se la sono quasi tutta ripresa. Se ci restiamo dentro anche noi, occorrerà resistere casa per casa. Altrimenti non resterà che evacuare la città, lasciarla ai vittoriosi assedianti vuota. Almeno vuota di tutte quelle persone che non usano la testa solo per separare le orecchie.
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