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Le Leggende del Calcio Mondiale

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  • Le Leggende del Calcio Mondiale

    1a Puntata :

    Edson Arantes do Nascimiento,noto come Pelè.

    (Três Corações, Brasile 1940) calciatore brasiliano. Pelé è considerato dalla maggior parte dei critici il migliore interprete del calcio di tutti i tempi. Egli riassume in sé, al massimo livello, tutte le doti che un calciatore può possedere: classe, tecnica, visione di gioco, potenza fisica e fiuto del goal.


    I primi goal

    Edson Arantes do Nascimiento, noto al mondo con il nome di Pelé, nasce nel 1940 in una piccola località del Brasile. Suo padre João Ramos do Nascimiento, che aveva militato nelle fila del Fluminense, si trasferisce, con la moglie Celeste e i figli, a Baurù, nello stato di San Paolo. Qui il giovane Edson gioca in squadrette locali e viene notato dall'ex calciatore Waldemar de Brito che lo sottopone all'attenzione dei tecnici del Santos Futebol Clube di San Paolo: è il trampolino di lancio.

    Pelé debutta nel Santos il 7 settembre 1956, all'età di quindici anni e festeggia subito con una rete. Edson brucia le tappe: il suo talento naturale non sfugge al selezionatore della nazionale brasiliana, Sylvio Pirilo, che lo fa esordire il 7 luglio del 1957, e Pelé ripaga la fiducia alla sua maniera, con un goal contro l'Argentina. Nella stagione seguente è già titolare nel Santos e segna la bellezza di 32 goal, affermandosi come capocannoniere della squadra paulista.


    Svezia'58

    Nel 1958 Pelé viene convocato per i Campionati Mondiali di Calcio in Svezia a fianco di campioni del calibro di Vavà, Didì e Garrincha . Il suo campionato inizia al terzo incontro della nazionale verdeoro, contro l'Unione Sovietica: il numero 10 brasiliano incanta tutti con la sua velocità, la sua fantasia e la facilità nel trovare la via del goal. Il 29 giugno si disputa la finale Svezia-Brasile (2-5): Pelé mette a segno una doppietta e si laurea campione del mondo.

    Il Santos

    Nello stesso anno, in campo nazionale, Pelé vince il campionato e stabilisce il record di reti segnate in una sola stagione, 58 marcature! In tutto la «Perla Nera» vincerà otto edizioni del campionato paulista, indossando sempre la maglia del Santos. In campo continentale il Santos affronta quattro volte consecutive il Peñarol nella finale della Coppa Libertadores, conquistandola nel 1962 e nel 1963, e vincendo anche le due conseguenti finali di Coppa Intercontinentale .

    «O'Rey» usa indifferentemente entrambi i piedi, ha un ottimo dribbling e un poderoso stacco di testa. Nel corso della sua carriera segna 1281 volte in 1363 incontri, con una media di 0,93 goal a partita. Il 21 novembre 1964 realizza contro il Botafogo 8 reti nella stessa partita, e il 19 novembre 1969 segna il goal numero 1000 della carriera. A questo proposito ha detto De Andrade, poeta brasiliano: "non è difficile segnare mille goal come Pelé, è difficile segnare un goal come Pelé".



    I mondiali

    Pelé è atteso all'edizione dei mondiali del 1962 in Cile , ma si infortuna contro la Cecoslovacchia e dice addio al torneo; la Seleçao vince ugualmente il titolo. Quattro anni più tardi partecipa alla sfortunata edizione dei Campionati del Mondo in Inghilterra dove la sua nazionale viene eliminata al primo turno.

    Nel 1970 «O' Rey» è di nuovo protagonista: in Messico la marcia del Brasile è inarrestabile. La finale si disputa il 21 giugno allo stadio Azteca di Città del Messico contro l'Italia, Pelé apre le marcature con una splendida rete di testa e il Brasile vince 4 a 1, conquistando definitivamente la Coppa Rimet. La Perla Nera è Campione del Mondo per la terza volta, unico calciatore di sempre ad aver raggiunto questo traguardo.



    Il soccer Usa

    Il 3 ottobre 1974 Pelé disputa la sua ultima partita con i colori del Santos. Seguiranno tre stagioni nei Cosmos di New York per la promozione del soccer negli Stati Uniti. Dopo la carriera da atleta, Pelé diviene ambasciatore del calcio nel mondo ed è stato nominato ministro dello sport nel suo paese.
    Originally Posted by Emiliano
    ° Pelè era un buon giocatore, ma nulla di straordinario.
    NEW!
    °ci sono molto giocatori che preferisco a Pelè, vedi Giggs, Cristiano Ronaldo, Messi, Totti, Van Basten, Henry oltre molti altri e su tutti Roby Baggio. Nella classifica dei miei preferiti Pelè non è ai primi posti di sicuro.

  • #2
    2a Puntata :

    Manoel Francisco dos Santos (Pau Grande, Rio de Janeiro 1933 – 1983) - Noto come Garrincha

    Calciatore brasiliano, due volte campione del mondo con la Seleçao ai Mondiali del 1958 e del 1962. Fu tra i migliori interpreti del cosiddetto ‘fútbol bailado’, la quintessenza del calcio tecnico e fantasioso brasiliano.

    Il ‘passero zoppo’

    Nato in sobborgo poverissimo di Rio, ebbe un’infanzia misera di fame e malattie che influì con evidenti conseguenze sulla sua crescita fisiologica. Scoliosi, piedi storti da uno stesso lato e una gamba leggermente più corta dell’altra – i segni di una forma di poliomielite - gli fecero assumere una palese andatura claudicante, tanto da essere soprannominato ‘passero zoppo’ – con questo nome gli dedicò una poesia Vinicius de Moraes.

    L’aspetto gracile e minuto lo faceva accostare alla fragilità di una ‘garrincha’, un piccolo uccellino tropicale. Questo fu presto il suo soprannome, con il quale iniziò a farsi conoscere grazie all’unica dote che sembrava gli fosse stata concessa dal destino: quella di saper giocare divinamente al pallone. Per le misere strade di Pau Grande, una palla di stracci tra i piedi scalzi, Garrincha iniziò a farsi largo: la cosa più difficile era proprio togliergli dai piedi quella palla. Proprio la sbilenca conformazione delle sue gambe e dei suoi piedi lo resero infallibile in un dribbling sempre uguale a sé stesso ma incredibilmente quasi sempre impossibile da fermare.


    Con la maglia del Botafogo

    All’inizio degli anni Cinquanta osservatori del Botafogo, un club di Rio, lo vide giocare nella squadra locale e lo tesserarono ancora poco più che adolescente. Esordì in prima squadra nel 1953, e mise a segno una tripletta nella vittoria finale, 6-3: con la maglia bianconera del Botafogo, Garrincha passò gli anni migliori della sua carriera di calciatore, disputando 581 e mettendo a segno 232 gol. Per tre volte si laureò campione del campionato carioca (1957, 1961 e 1962) e per altre due campione nella Lega rio-paulista (1962 e 1964). In quest’ultima competizione – non esisteva all’epoca un campionato unico brasiliano, ma era suddiviso per gironi regionali – memorabili erano gli scontri con il Sao Paulo di Pelé.

    I successi mondiali

    La grande fama internazionale di Garrincha, noto anche come Mané, derivò dalle sue prestazioni nei due tornei mondiali di Svezia, nel 1958, e in Cile, nel 1962, durante i quali partecipò in modo determinante al successo della selezione brasiliana. In Svezia fece parte, insieme al giovanissimo Pelé, di una linea di attacco ancora oggi da molti reputata la più forte che una squadra avesse mai potuto schierare: Garrincha, Didì, Vavà, Pelé, Zagalo. In Cile il suo apporto alla vittoria finale fu ancora più decisivo (4 gol), avendo dovuto rinunciare il Brasile a Pelé, infortunato dopo la seconda partita.

    Partecipò anche a due partite del Mondiale d’Inghilterra, nel 1966, segnando un ultimo gol, e perdendo per l’unica volta nelle sue 60 presenze (con 17 gol) in maglia verdeoro proprio alla sua ultima partita, contro l’Ungheria. Nel finale di carriera passò a giocare con il Corinthians e con il Flamengo, prima di accettare ingaggi a gettone in squadre sudamericane ed europee, perlopiù in esibizioni amichevoli. Terminò ufficialmente la sua carriera di calciatore nel 1972.


    Un triste declino

    Garrincha era il dribbling. Punta esterna, il suo colpo preferito era quello di convergere dall’ala verso il centro per poi repentinamente cambiare direzione tornando sull’esterno saltando l’avversario. Nonostante i difensori conoscessero questo dribbling ormai leggendario, difficilmente riuscivano a porvi rimedio anticipandone le mosse. Il mito di Garrincha racconta anche di una figura ingenua al limite della stupidità: indubbiamente, tanto era istintivamente geniale con la palla tra i piedi, tanto era indifeso e intellettualmente sprovveduto nella vita comune. Ebbe tre mogli (la seconda la celebre cantante Elza Soares) e dieci figli, oltre ad altri tre figli naturali riconosciuti. Già negli ultimi anni della sua carriera aveva iniziato ad avere problemi di alcolismo, trasformatisi in una irreversibile patologia verso la fine degli anni Settanta. Morì solo, malato e in povertà in un ospedale di Rio quando non aveva ancora compiuto cinquant’anni.
    Originally Posted by Emiliano
    ° Pelè era un buon giocatore, ma nulla di straordinario.
    NEW!
    °ci sono molto giocatori che preferisco a Pelè, vedi Giggs, Cristiano Ronaldo, Messi, Totti, Van Basten, Henry oltre molti altri e su tutti Roby Baggio. Nella classifica dei miei preferiti Pelè non è ai primi posti di sicuro.

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    • #3
      3a Puntata :

      Alfredo Di Stefano

      (Buenos Aires, 1926) calciatore argentino. Tra i più grandi campioni di sempre, Alfredo Di Stefano ha segnato quasi 900 gol in carriera (quarto marcatore di tutti i tempi), ma soprattutto ha segnato un'epoca nella storia del calcio.


      L'Argentina

      A 12 anni Alfredo Di Stefano inizia a giocare in una squadretta chiamata Los Cardales, ma tre anni più tardi a notarlo è il River Plate che lo tessera per le sue formazioni giovanili. Soltanto un anno dopo è già in prima squadra, ma in quel momento la squadra argentina ha un formidabile attacco soprannominato “La maquina”. Di Stefano viene così prestato allo Huracan, dove Alfredo segna 50 reti in 66 partite e realizza la rete più veloce di sempre della storia del campionato argentino: 15 secondi dopo il fischio d'inizio, proprio contro il River Plate.

      Nel 1947 viene richiamato al River e conquista subito lo scudetto e vince anche la classifica cannonieri . A coronare la stagione arriva la convocazione in nazionale e la conseguente vittoria della Coppa America. Nel 1948 uno sciopero dei calciatori ferma il campionato argentino: per aggirare il divieto di giocare in molti vanno in Colombia, dove le squadre argentine hanno formato una lega ad hoc, la Di Mayor, e Di Stefano viene ingaggiato dai Millionarios di Bogotà.



      Il Real Madrid

      Qui Alfredo, segna 267 reti in 292 partite, vince 4 scudetti e riesce a racimolare anche 4 convocazioni per la nazionale colombiana. Nel 1953 attraversa l'Atlantico per una tournèe con la sua squadra: in Spagna affronta il Real Madrid e il leggendario presidente spagnolo Santiago Bernabeu decide di acquistare l'argentino per 70mila dollari, una cifra incredibile per l'epoca. Il suo debutto è contro il Barcellona e il match finisce 5 a 0 per il Real: 4 goal sono di Di Stefano.

      Il Real vince lo scudetto e si guadagna il passaporto per la prima edizione della Coppa dei Campioni: gli spagnoli se ne aggiudicheranno 5 consecutivamente e Di Stefano segna almeno una rete in tutte le finali. Nel 1960 la squadra di Madrid vince anche la prima edizione della Coppa Intercontinentale ai danni del Penarol, ma la stagione successiva perde per la prima volta la finale di Coppa dei Campioni , cosa che avverrà altre due volte nelle stagioni successive.

      Nel 1962 Di Stefano viene convocato dall'allenatore della nazionale iberica Helenio Herrera per il mondiale cileno, ma un infortunio a qualche settimana dall'inizio del torneo gli impedisce di scendere in campo, e comunque la Spagna non riesce nemmeno a superare il primo turno. Nel 1964, dopo aver perso la finale di Coppa dei Campioni contro l'Inter, lascia il Real per passare all'Espanol di Barcellona dove gioca ancora due stagioni, al termine delle quali, complice anche un infortunio, annuncia il suo ritiro.

      Rimane però nel mondo del calcio come allenatore e nel 1970 vince con il Boca Juniors un campionato argentino. Poi va in Portogallo dove allena lo Sporting di Lisbona nella stagione 1974-75, quindi ritorna in Argentina dove vince un altro titolo ma stavolta con il River Plate, e poi si siede sulla panchina del Valencia, dove riporta lo scudetto dopo 24 anni. Le sue due ultime brevi apparizioni sono state al Real Madrid per due spezzoni di stagione nel 1983 e nel 1991.
      Originally Posted by Emiliano
      ° Pelè era un buon giocatore, ma nulla di straordinario.
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      °ci sono molto giocatori che preferisco a Pelè, vedi Giggs, Cristiano Ronaldo, Messi, Totti, Van Basten, Henry oltre molti altri e su tutti Roby Baggio. Nella classifica dei miei preferiti Pelè non è ai primi posti di sicuro.

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      • #4
        4a Puntata :

        Johann Cruijff

        (Amsterdam, 1947) calciatore olandese. Johann Cruijff rientra nella ristrettissima cerchia dei fuoriclasse assoluti del calcio mondiale, quella a cui appartengono Pelé e Maradona. Oltre alla genialità delle sue movenze in attacco , i suoi punti di forza erano la completezza e l'intelligenza tattica, dote, quest'ultima, che gli ha garantito una carriera vincente anche come allenatore.


        Gli anni dell'Ajax

        Il padre di Johann Cruijff gestisce una drogheria non lontana dallo stadio di Amsterdam. Proprio la vicinanza con il tempio dei «Lancieri» olandesi favorisce l'ingresso del giovane Cruijff nelle fila della gloriosa società dell'Ajax.

        A soli dodici anni il futuro campione dimostra già di possedere notevoli doti tecniche: è in grado di compiere centinaia di palleggi senza far mai cadere il pallone. Tuttavia Cruijff non ha un fisico potente, il che lo costringe ad allenarsi molto più duramente degli altri; si dice che per irrobustirsi corresse con delle zavorre dentro la tuta. A soli diciassette anni debutta in prima squadra nel campionato olandese e l'anno successivo veste la maglia arancione della nazionale. Con l'Ajax dà vita a un'impressionante ciclo di vittorie: 6 campionati nazionali, 3 Coppe dei Campioni e una Coppa Intercontinentale .



        Il calcio totale

        Johann Cruijff è un calciatore completo, possiede tiro, colpo di testa, tackle, scatto, dribbling, cross e tutti gli altri numeri del calciatore moderno, tanto da risultare l'espressione ideale del «calcio totale» imposto al mondo dall'Olanda di quegli anni. La squadra che pratica questo tipo di calcio produce un gioco più votato all'attacco, in cui i ruoli sono meno definiti di prima, nel senso che a un attaccante viene chiesto anche di difendere e viceversa. Un gioco molto più dispendioso di quello tradizionale dal punto di vista delle energie, ma molto più spettacolare e più piacevole a vedersi.

        Il gioco degli Arancioni si estende anche al di fuori del campo, fino a diventare una specie di filosofia. Molti di loro portano i capelli lunghi, collanine colorate, sono accaniti fumatori (Cruijff in special modo), vanno in ritiro con le proprie mogli e non fanno mistero di avere rapporti sessuali anche pochi minuti prima della partita; cose impensabili per il mondo conservatore del calcio. Casa Olanda è un laboratorio creativo in tutti i sensi.

        Cruijff è la punta di diamante di questo sistema, il massimo interprete di questo stile di gioco e la guida di una generazione di grandi campioni, Krol e Neeskens in testa, che sanno adattarsi perfettamente al nuovo modulo «a zona». Tuttavia, pur meravigliando avversari, tecnici e pubblico, la nazionale olandese non riesce a vincere la manifestazione più importante, i Campionati del Mondo di Calcio. I Tulipaniperderanno 2 finali, nel 1974 contro la Germania e nel 1978 contro l'Argentina, quest'ultima però senza Cruijff che, dopo aver trascinato la squadra nel corso delle qualificazioni, aveva annunciato a sorpresa il suo ritiro dal calcio (per poi tornare sui suoi passi poco tempo dopo).



        Gli anni del Barcellona

        Dopo quasi dieci anni di militanza nella compagine di Amsterdam, durante i quali vince anche il primo dei suoi 3 Palloni d'oro (nel 1972), nel 1973 Johann Cruijff chiude un capitolo della sua vita. Abbandona la società dove è cresciuto per Barcellona, dove ritrova il suo ex-allenatore Rinus Michels. Il trasferimento fa molto scalpore anche per l'enorme somma che il club catalano sborsa per l'asso olandese (quasi un milione di dollari dell'epoca).


        Al suo primo anno nella «Liga» spagnola, Cruijff conduce subito gli Azulgrana alla conquista del campionato spagnolo e della Coppa di Lega. Durante le successive quattro stagioni in Spagna non riesce a riconquistare altri importanti trofei con la squadra, ma si consola vincendo altri due palloni d'Oro (nel 1974 e nel 1975). Nel 1978 termina la sua avventura spagnola e un paio d'anni più tardi si trasferisce negli Stati Uniti, dove milita in diverse squadre del campionato locale. Nel 1982 ritorna in Europa per giocare e vincere lo scudetto prima con l'Ajax e poi con il Feyenoord, la società dove conclude la sua carriera. Torna poi al Barcellona come allenatore, vincendo 4 campionati e una Coppa dei Campioni.



        L'uomo d'oro del calcio

        Ottimo manager di se stesso, Johann Cruijff seppe sfruttare al meglio le sue doti, diventando uno dei primi miliardari dello sport moderno. Il suo trasferimento dall'Ajax al Barcellona nel 1973 avvenne per 922.000 dollari, una cifra che a quel tempo non aveva precedenti; egli stesso riuscì a strappare al club catalano un ingaggio record di 500.000 dollari.

        Le sue gambe vennero assicurate ai Lloyd's di Londra per una cifra pari a 2,5 milioni di dollari. Inoltre Cruijff chiuse la sua straordinaria carriera negli Stati Uniti dove, oltre al favoloso stipendio di 3,5 milioni di dollari, gli Azteca di Los Angeles gli assicurarono addirittura una percentuale sugli incassi.
        Originally Posted by Emiliano
        ° Pelè era un buon giocatore, ma nulla di straordinario.
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        °ci sono molto giocatori che preferisco a Pelè, vedi Giggs, Cristiano Ronaldo, Messi, Totti, Van Basten, Henry oltre molti altri e su tutti Roby Baggio. Nella classifica dei miei preferiti Pelè non è ai primi posti di sicuro.

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        • #5
          5a Puntata : Parte 1

          Marco Van Basten

          Marco Van Basten nasce ad Utrecht il 31 ottobre 1964. Ancora giovanissimo debutta nell’Ajax in sostituzione di Cruijff, che lo ha indicato come suo erede, e va subito in gol.
          Nel suo Paese d’origine vince tutto e quando, in scadenza di contratto, decide di accettare l’offerta del Milan.Ha solo 24 anni, da quattro è capocannoniere del torneo olandese, ha vinto la scarpa d’oro come miglior marcatore europeo, ha conquistato 3 titoli di campione d'Olanda, 3 Coppe d'Olanda, 1 Coppa delle Coppe.

          Nell’agosto 1987 Van Basten arriva a Milano per dare inizio al progetto dell’allenatore Arrigo Sacchi e del presidente Silvio Berlusconi. Con lui dall’Olanda arriva Ruud Gullit (che veniva dallo scudetto con il PSV Eindhoven ed era capitano della nazionale olandese), giocatore allora più ambito, considerato il vero fiore all’occhiello del mercato del Milan, che per averlo compie un grande sacrificio economico. Con questi due giocatori inizia l’avventura del Milan di Sacchi, una delle squadre più forti mai viste in campo.

          Van Basten si presenta al pubblico rossonero nell’agosto dell’87 in Coppa Italia, segnando cinque gol nelle prime quattro partite. All’esordio in serie A va subito in gol, calciando e segnando un rigore col Pisa.
          La prima stagione del Milan di Sacchi è però legata soprattutto a Gullit. Van Basten infatti è costretto a fermarsi prestissimo: a novembre viene operato per la seconda volta alla caviglia destra. Dovrà fermarsi sei mesi e tornerà a giocare soltanto ad aprile, alla 25ª giornata di un campionato che vede il Milan inseguire il Napoli di Maradona nella lotta per lo scudetto. A Milano si gioca Milan-Empoli, Van Basten entra nel secondo tempo e firma un’importantissima vittoria.


          Lo scudetto si decide il 1° maggio 1988 al San Paolo: il Napoli è sopra di un punto ma è una squadra che sta calando, mentre il Milan va fortissimo e gioca un ottimo calcio. Nonostante un memorabile gol di Maradona, finisce 3-2 per il Milan ed è Van Basten imbeccato da Gullit (che il dicembre precedente aveva vinto il Pallone d’Oro) a segnare il 3-1.
          L’8 maggio il Milan si aggiudica lo scudetto e a giugno iniziano in Germania gli Europei che mettono in evidenza il fatto che Marco Van Basten è uno dei giocatori più forti del mondo.

          L’olandese è in forma smagliante, è capocannoniere del torneo, rifila una splendida tripletta all’Inghilterra ed uno storico gol in finale all’Unione Sovietica, ponendo così il marchio sul più grande successo del calcio olandese.
          La stagione ‘88/’89 è per Van Basten quella della definitiva consacrazione. Non subisce infortuni e gioca con continuità. Segna 19 gol in campionato, vince il Pallone d’Oro come miglior giocatore europeo del 1988 e anche se il Milan non agguanta lo scudetto (stravinto dall’Inter di Trapattoni), la squadra incanta in Europa.
          Originally Posted by Emiliano
          ° Pelè era un buon giocatore, ma nulla di straordinario.
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          °ci sono molto giocatori che preferisco a Pelè, vedi Giggs, Cristiano Ronaldo, Messi, Totti, Van Basten, Henry oltre molti altri e su tutti Roby Baggio. Nella classifica dei miei preferiti Pelè non è ai primi posti di sicuro.

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          • #6
            5a Puntata : Parte 2

            Gli anni del "Cigno di Utrecht"

            Sempre puntuale agli esordi, per la sua prima rossonera in Coppa dei Campioni Van Basten propina quattro gol ai bulgari del Victoria, poi, prima di incontrare il Real Madrid di Butragueño, segna ancora contro Stella Rossa e Werder Brema.
            Avendo sempre eliminato le italiane dominandole a Madrid, il Real degli anni ’80 era temutissimo. E proprio la capitale spagnola è una delle tappe più importanti del ciclo straordinario del Milan.

            I rossoneri si presentano con un’insolita divisa (con pantaloncini e calzettoni neri) e giocano una splendida partita, senza mostrare nessun senso di soggezione nei confronti degli avversari e della bolgia del Santiago Bernabeu: attaccano, pressano in ogni zona del campo e tengono ritmi altissimi, ma il Real segna con il messicano Sanchez. Poco dopo però è Van Basten a zittire lo stadio con uno dei suoi gol più belli e famosi, uno splendido colpo di testa da fuori area su cross di Tassotti. Finisce 1-1, ma la stella del Milan brilla: la squadra gioca un calcio veloce e aggressivo e può contare su giocatori formidabili. Il ritorno a Milano finisce 5-0 per i padroni di casa e 4-0 (con doppiette di Gullit e Van Basten) termina invece la finale con lo Steaua di Bucarest.

            Nel 1989 arriva per Van Basten il secondo Pallone d’Oro consecutivo e il giocatore si conferma così il miglior centravanti del momento. In questi due anni di Milan l’olandese ha mostrato il suo vasto repertorio, si è rivelato un attaccante praticamente perfetto: ha tecnica sopraffina nonostante i suoi 188 cm di altezza, un controllo di palla invidiabile, calcia molto bene con entrambi i piedi, è rapido e freddo nell’esecuzione, preciso e potente nel gioco aereo e un ottimo uomo-assist.
            Nell’89/’90 il Milan perde il campionato in una disastrosa partita a Verona, dove vengono espulsi sia Sacchi che Van Basten, ma continua a entusiasmare in Europa e nel mondo, vincendo per il secondo anno di fila la Coppa dei Campioni e aggiudicandosi anche Supercoppa europea e Coppa Intercontinentale.

            La stagione successiva è segnata dal dissidio tra Van Basten e Sacchi: quest’ultimo a fine anno lascerà il Milan per la nazionale e sulla panchina rossonera arriverà Fabio Capello.
            Il nuovo allenatore vince subito il campionato, anzi lo stravince: non perde neanche una partita e il suo primato non è mai in discussione, così come non è mai in discussione il ruolo di re del gol per il “Cigno di Utrecht”, che segna 25 gol, 7 più del secondo miglior marcatore.

            Nel ‘92/’93 viene varata la Champions League (la nuova Coppa dei Campioni) e Van Basten la battezza il 25 novembre, segnando 4 gol al Goteborg. L’olandese segna inoltre 12 gol nelle prime 9 giornate di campionato, ma deve poi subire uno stop per essere operato alla caviglia destra. È costretto a fermarsi per quattro mesi, al suo rientro la caviglia non è ancora del tutto a posto e per Van Basten inizia un lungo calvario che passa anche per la sconfitta nella finale di Champions contro l’Olimpique Marsiglia.

            La finale disputata a Monaco è la sua ultima partita, dopodiché nel giugno del ’93 si sottopone a un quarto intervento alla caviglia, ma dopo due anni senza poter mai giocare convoca una conferenza stampa in cui annuncia il suo ritiro.
            Van Basten è rimasto legato al Milan per otto anni, ha segnato 129 gol vincendo 3 scudetti, 2 Coppe dei Campioni, 2 Coppe Intercontinentali e 2 titoli di capocannoniere. Ha inoltre vinto tre volte il Pallone d’Oro (1988, 1989, 1992), come solo Platini e Cruijff prima di lui, ed è stato uno degli attaccanti più forti del calcio moderno, probabilmente il più elegante.
            Originally Posted by Emiliano
            ° Pelè era un buon giocatore, ma nulla di straordinario.
            NEW!
            °ci sono molto giocatori che preferisco a Pelè, vedi Giggs, Cristiano Ronaldo, Messi, Totti, Van Basten, Henry oltre molti altri e su tutti Roby Baggio. Nella classifica dei miei preferiti Pelè non è ai primi posti di sicuro.

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            • #7
              6a Puntata : Michel François Platini

              (Joeuf, Lorena 1955) calciatore francese. Michel François Platini è stato sicuramente uno dei migliori calciatori di tutti i tempi. Un mito del calcio degli anni Ottanta, il simbolo del calcio "pulito", intelligente ma di classe, contrapposto a quello istintivo e fisico di tanti altri. Il fantasista francese è stato uno degli esempi più fulgidi di professionalità ed intelligenza applicati allo sport e al talento puro.


              Gli esordi

              Michel nacque il 21 giugno 1955 a Joeuf, una cittadina della regione della Meurthe-et-Moselle con 11 mila abitanti. Michel è il secondogenito di una coppia di ristoratori di origine italiana. Il nonno era arrivato in Lorena da Agrate Contubria (NO) in cerca di fortuna come tanti altri suoi compaesani d'allora. Una volta disse delle sue origini: « è una ricchezza poter accumulare due culture, due patrie. E poi il sentimento di nazionalità deve affievolirsi se si vuol fare l'Europa». Michel trascorse la sua infanzia schiamazzando con i clienti del bar e seguendo il padre Aldo, capitando della squadra di calcio dell'AS Jovicienne. Non aveva il fisico, da bambino. I compagni di gioco lo chiamavano "ratz", forma contratta di rase bitume, espressione lorena che equivale più o meno a "nanetto".

              Platini firmò il primo contratto da professionista, a Nancy dove debutta in prima squadra nella stagione 1972/1973. Seimila franchi al mese, all'incirca un milione e duecentomila lire.
              Nella stagione '77-78, il Nancy conquista la Coppa di Francia. Il suo nome cominciò allora a diventare famoso, tanto che nel 1976 (a soli vent'anni), fu convocato in nazionale al Parc des Princes per le qualificazioni alla coppa del mondo del 1978 contro la Cecoslovacchia. L'anno seguente fu poi acquistato dal St. Etienne. È la consacrazione: il St. Etienne era allora il motore del calcio transalpino e Michel Platini ne diventa il leader. Il primo titolo di campione di Francia, per Platini, arrivò nel 1981 a coronamento di una ottima stagione.



              La Juventus

              Nel 1982 Platini divenne capocannoniere del campionato e con le sue 22 reti fece raggiungere al Saint-Etienne il secondo posto. Nei mondiali spagnoli dell'82 la Francia concluse la sua avventura in semifinale contro la Germania, al termine di una partita sensazionale. Nell'83 ci fu invece la svolta nella carriera e nella vita del giovane numero 10 transalpino. Il trasferimento alla Juventus, costato 148 milioni e fortemente voluto dall'avvocato Agnelli, trasformerà Platini da campione a leggenda del calcio. Gli inizi in Italia non furono esaltanti a causa delle difese ruvide e asfissianti e di una forma fisica precaria che si portava in dote dai mondiali. Ma dopo una prima parte di stagione giocata nell'ombra, fu proprio il fantasista francese a trascinare la “Signora” alla finale di Coppa Campioni di Atene. Nonostante la sconfitta è proprio a Platini che viene assegnato l'ambitissimo “Pallone d'Oro” .


              Anni di trionfi

              Gli anni seguenti con i bianconeri furono i più esaltanti della sua carriera. Coppe europee, titoli nazionali: Platini diventa il giocatore più decorato di quegli anni. Due scudetti (1983-84 e 1985-86), la Coppa Italia nell'82-83. E poi in campo internazionale: una Coppa delle Coppe, un Mundialito, una Intercontinentale , una Supercoppa Europea ed inoltre due volte ancora il Pallone d'Oro ('84 e '85). Agli Europei dell'84 disputò e vinse un torneo semplicemente perfetto battendo la Spagna in finale. Segnò 9 goal in cinque partite e alla fine venne eletto anche “miglior giocatore del torneo” .


              L'Heysel

              Poi il 29 maggio del 1985 finalmente fu la volta del torneo che tutti i tifosi juventini stavano aspettando ardentemente: la Coppa Campioni. La finale con il Liverpool a Bruxelles non fu però ricordata per la vittoria dei bianconeri. Essa passò infatti alla storia come la notte della tragedia, della follia, della morte assurda: trentanove persone morirono schiacciati sugli spalti a causa dell'assalto degli hooligans inglesi ai tifosi italiani. Michel, e non solo lui, restò indelebilmente segnato da quella terribile strage. Il 1986 fu l'anno del terzo mondiale giocato da Platini (Messico '86 ), mondiali in cui la Francia era annoverata tra le pretendenti al titolo. Il terzo posto raggiunto dalla Nazionale francese fu vissuto dal capitano dei transalpini come una delusione grandissima. La corsa mondiale dei Bleus di Platini si interromperà contro la Germania Ovest (2-0 per i tedeschi).

              Il giorno del ritiro era ormai vicino, la data ufficiale resta scritta negli annali del calcio: 17 maggio 1987, Juventus-Brescia 2-1. In Italia, con l'amata maglia della squadra torinese, aveva giocato 222 partite e segnato 103 reti, tra campionato e coppe. In un'intervista disse: «i campioni passano, la Juve invece resterà sempre, anche senza Platini». Finì così la carriera agonistica di un campione eterno, i suoi lanci di sessanta metri, le sue reti, la fantasia e gli atteggiamenti da gentiluomo lo hanno reso un mito per intere generazioni di ragazzi di tutto il mondo.



              Dopo il campo...

              Ma l'avventura di Platini nel mondo del calcio continuò sotto altre forme. Dapprima, come commissario tecnico della Francia non riesce ad ottenere risultati esaltanti mancando anche la qualificazione ad Italia '90 . Poi alcune apparizioni come commentatore televisivo ed infine tante soddisfazioni come guida del comitato organizzatore della Coppa del mondo di Francia '98. Attualmente è impegnato su più fronti: vicepresidente della Federazione Francese del Calcio, consigliere di Blatter (presidente della FIFA); in molti prevedono per lui un prossimo incarico ai massimi vertici del calcio mondiale..
              Originally Posted by Emiliano
              ° Pelè era un buon giocatore, ma nulla di straordinario.
              NEW!
              °ci sono molto giocatori che preferisco a Pelè, vedi Giggs, Cristiano Ronaldo, Messi, Totti, Van Basten, Henry oltre molti altri e su tutti Roby Baggio. Nella classifica dei miei preferiti Pelè non è ai primi posti di sicuro.

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              • #8
                7a Puntata : Paulo Roberto Falcao

                Paulo Roberto Falcao inizia la sua carriera nel 1965 militando nelle file dell’Internacional Porto Alegre, formazione con cui vince tre campionati brasiliani.
                Arriva a Roma nel 1980: regista esemplare, tanto classico da ricordare grandi del passato come Sani, Schiaffino o Suarez, regala alla sua nuova città negli anni seguenti uno scudetto e due Coppe Italia. In serie A colleziona 107 presenze e mette a segno 22 reti.

                Nel 1982 ai Mondiali di Spagna rischia di infliggere all’Italia la tanto temuta eliminazione, segnando a venti minuti dalla fine il gol del pareggio che avrebbe potuto aprire al Brasile le porte della semifinale.
                Nel 1983 è il principale artefice dello scudetto romanista, vero fuoriclasse in grado di tradurre in pratica le “rivoluzionarie” strategie tattiche di Liedholm.


                Un inizio difficile
                Falcao nasce il 16 ottobre 1953 in Brasile. Gioca per 15 anni, dal 1965 al 1980, nell’Internacional Porto Alegre. Nel 1980 la Federcalcio italiana apre le porte all’ingresso degli stranieri (inizialmente uno per squadra e solo per la serie A): Paulo Roberto viene individuato dai tecnici della Roma, contattato e subito acquistato per un miliardo e settecento milioni.

                Gioca un paio di stagioni abbastanza anonime, un po’ per difficoltà di ambientamento, un po’ per una serie di vicende sfortunate occorse alla squadra: nel 1980-81 la Roma vede sfumare lo scudetto a causa di un discusso gol contestato a Turone in una partita contro la Juve; se il gol fosse stato convalidato la Roma a due giornate dalla fine del campionato avrebbe superato la “Vecchia signora”. La stagione successiva è invece costellata da una serie interminabile di infortuni (fra cui il più grave quello di Ancelotti) che appesantiscono e ostacolano il cammino della squadra.


                Una stella brilla su Roma

                Se nelle due stagioni precedenti la Roma aveva deluso le aspettative dei tifosi non raggiungendo il vertice della classifica in campionato, aveva comunque offerto prestazioni notevoli, classificandosi rispettivamente seconda e terza: il nuovo corso imposto da Liedholm cominciava a dare i suoi frutti. Ed è proprio Falcao a farsi interprete principale delle teorie del “Barone”. Pur essendo reduce dal Mundial spagnolo, ancora sotto shock per l’inaspettata eliminazione imposta proprio dall’Italia, sua seconda partita, Paulo Roberto dimostra grande voglia di rivalsa. Diventa colui che traduce in pratica le difficili e innovative tattiche dell’allenatore, una presenza organizzatrice a centrocampo in grado di tenere le fila di tutta la compagine e di guidarla per mano alla vittoria. Così accade e quando nella primavera del 1983 i tifosi giallorossi invadono le strade della capitale festeggiando lo scudetto, incoronano Liedholm e Falcao come principali artefici di quell’incredibile stagione.

                Con il 1984 comincia il periodo meno fortunato della permanenza di Falcao in Italia: prima la finale di Coppa dei Campioni persa contro il Liverpool, poi un infortunio che lo tiene a lungo fuori dal campo. Decide così di lasciare la Roma al termine della stagione.
                Gioca ancora un paio di anni in Brasile, nella formazione del San Paolo, vincendo il campionato nel 1986 e facendo la sua ultima apparizione in nazionale ai Mondiali messicani. Alla fine della sua carriera potrà contare 21 presenze e 5 reti con la maglia verdeoro.

                Gli anni Novanta lo vedono in veste di allenatore, prima della nazionale brasiliana, poi della formazione messicana dell’America e nella stagione 1992-93 di nuovo in Brasile con l’Internacional Porto Alegre.
                In Italia tutti gli appassionati di bel calcio ricorderanno per sempre lo spettacolo di fantasia tecnica e intelligenza tattica che Falcao sapeva offrire; con nostalgia ancora maggiore i tifosi giallorossi non dimenticheranno mai colui che li condusse allo scudetto e soprattutto contribuì in maniera determinante a formare nella Roma una mentalità da grande squadra.
                Originally Posted by Emiliano
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                • #9
                  8a Puntata : Diego Armando Maradona,El Pibe de Oro.

                  Genio e sregolatezza

                  Maradona nasce il 30 ottobre 1960 nel quartiere povero di Villa Florito, nella periferia di Buenos Aires, dove trascorre i giorni di bambino giocando per strada e dimostrando già sprazzi di talento definito unanimamente divino.
                  La sua carriera inizia nell'argentinos Junior, per poi proseguire, sempre in Argentina, nelle fila del Boca Juniors (squadra della quale Maradona è sempre rimasto accesissimo tifoso).
                  Esordisce a livello internazionale con la nazionale giovanile argentina (con cui vincerà il titolo mondiale nel 1979) e da li a poco verrà inserito nella nazionale maggiore.
                  Dopo il mondiale del 1982 in Spagna, viene ingaggiato dal Barcellona e approda finalmente sul palcoscenico del calcio europeo.
                  In spagna Diego gioca per due stagioni, collezionando prestazioni memorabili e un terribile infortunio (Goicoechea, difensore dell'Athletic Bilbao, gli frattura la caviglia sinistra e gli rompe i legamenti con un'entrata assassina).
                  Nel 1984 l'evento che segna la svolta nella vita calcistica di Maradona: il 30/06/1984 firma un contratto con il Napoli.
                  La città partenopea adotta subito Dieguito a suo idolo e il calore dei tifosi viene ricambiato dall'amore che sempre Maradona manifesterà nei confronti di quella che diventerà la sua "seconda patria".
                  Con il Napoli Diego raggiunge i traguardi più prestigiosi: 2 scudetti, 1 coppa italia, 1 coppa UEFA e una supercoppa italiana.
                  E' il periodo più felice di Maradona: ai successi sul campo si affiancano una condizione fisica e tecnica all'apice e una fama inarrivabile nel mondo, in questo periodo Diego E' il calcio.
                  Nel frattempo trascina la nazionale Argentina alla vittoria nei mondiali del 1986 in Messico: Maradona disputa un torneo strepitoso segnando nella stessa partita due goals(che sarebbero rimasti nella storia) contro l'Inghilterra, uno di mano (la cosiddetta "mano di Dio") e il secondo dribblando avversari come birilli e incantando tutti gli appassionati del mondo.
                  Negli anni novanta arriva il declino della sua stella: nel 91 viene trovato positivo ad un controllo antidoping in campionato e di conseguenza squalificato per 15 mesi.
                  Scontata la squalifica Diego rifiuta di tornare al Napoli: l'idillio con la città è rimasto sempre lo stesso, ma i rapporti con la società sono franati.
                  Chiede perciò di essere ceduto e nel 1992 torna nella Liga spagnola con la maglia del Siviglia.
                  L'anno seguente (1993) sembra veder rinascere Diego: ritorna in nazionale e aiuta l'Argentina a superare l'Australia nello spareggio per la qualificazione ai mondiali americani del 94.
                  Ma ormai la sua carriera ha imboccato il viale del tramonto e tutti gli sportivi soffrono per come questo grande campione riesca a farsi del male: è il giugno del 1994, Stati Uniti d'America, campionato mondiale, Diego risulta positivo al test antidoping ed è cacciato dalla manifestazione.....
                  Tornerà ancora sui campi da gioco (nel 95 col Boca), ma si tratterà solo dell'ombra del campione che fu.
                  Una cosa risalta nitidamente agli occhi di tutti gli sportivi: tanto era grande in campo Diego, quanto era debole nella vita.
                  Le cronache recenti parlano di un uomo imbolzito, grasso, che fatica a rimettere nei giusti binari una vita rovinata dalla droga, ma chiunque abbia visto un suo goal, una punizione, un dribbling.... o un semplice sorriso che regalava senza protervia, non può dimenticare il "Pibe de Oro", forse il più grande fantasista del mondo, di certo l'ultimo grande giocatore tutto "talento e fantasia" in un calcio già divenuto troppo tattico e fisico..

                  UN BREVE RIASSUNTO DELLA VITA DI MARADONA
                  30/10/1960: Diego Armando Maradona nasce a Lanús, nella periferia di Buenos Aires. E' il quinto degli otto figli di Diego Maradona e Dalma Salvadora Franco.
                  5/12/1970: Inizia a giocare nelle Cebollitas, la squadra giovanile dell'Argentinos Juniors.
                  20/10/1976: Gioca la prima partita nella Serie A argentina con la maglia dell' Argentinos Juniors contro il Talleres de Córdoba, dieci giorni prima del suo sedicesimo compleanno, entrando all'inizio del secondo tempo con la maglietta numero 16 al posto di Giacobetti.
                  14/11/1976: Segna il suo primo gol, contro Lucangioli, portiere del San Lorenzo di Mar del Plata.
                  27/02/1977: Debutta con la maglia della nazionale argentina contro l'Ungheria.
                  Maggio 1978: L'allenatore della nazionale Cesar Menotti non lo convoca per il mondiale del 1978 ritenendolo troppo giovane.
                  2/6/1979: Segna il suo primo gol in nazionale, a Glasgow contro la Scozia.
                  7/9/79: Guida l'Argentina alla vittoria della Coppa del Mondo giovanile in Giappone segnando anche un gol su calcio di punizione nella finale vinta 3-1 contro l'Unione Sovietica.
                  19/2/1981: Si trasferisce al Boca Juniors.
                  22/2/1981: Debutta nel Boca vincendo 4-1 contro il Talleres de Córdoba e segnando due reti.
                  16/8/1981: Vince il campionato con il Boca Juniors.

                  4/6/1982: Firma per il Barcellona .
                  24/9/1983: Subisce l'infortunio piú grave della sua carriera quando Andoni Goicoechea, difensore dell'Athletic Bilbao, gli frattura la caviglia sinistra e gli rompe il legamento.
                  30/6/1984: Firma per il Napoli.
                  5/7/1984: Presentazione ai tifosi del Napoli -foto!- in una festa indimenticabile.
                  22-29/6/1986: Segna prima il celebre gol con la "Mano di Dio" e poi realizza un gol meraviglioso nella vittoria per 2-1 contro l'Inghilterra nei quarti del mondiale. Guida praticamente da solo l'Argentina fino al trionfo contro la Germania Ovest per 3-2 nella finale.
                  10/5/1987: Guida il Napoli alla vittoria del primo scudetto (foto della squadra).
                  17/5/1989: Vince la Coppa UEFA col Napoli, che ottiene la prima vittoria in una competizione europea.
                  Agosto-Settembre 1989:Trascorre due mesi in Argentina, tornando in Italia solo dopo l'inizio del campionato.
                  29/4/1990: Vince il secondo scudetto col Napoli.
                  8/7/1990: Porta l'Argentina alla finale del mondiale a Roma, partita persa per 1-0 con la Germania Ovest a causa di un calcio di rigore molto dubbio.
                  17/3/1991: Viene trovato positivo a un controllo antidoping e viene squalificato per 15 mesi dai campi di calcio.
                  1992: Rifiuta di tornare al Napoli dopo la squalifica e chiede un trasferimento. Viene ingaggiato dal Siviglia.
                  4/10/1992: Debutta con la maglia del Siviglia, perdendo 2-1 contro l'Athletic Bilbao.
                  10/10/1993: Lascia il Siviglia per il Newell's Old Boys in Argentina. Perde la prima partita per 3-1 contro l'Independiente.
                  31/10/1993: Ritorna a giocare in nazionale a Sydney contro l'Australia per gli spareggi di qualificazione al mondiale USA 1994. Pareggia 1-1 e il gol argentino è propiziato da una grande giocata di Diego.
                  17/11/1993: L'Argentina con Maradona come capitano batte 1-0 l'Australia e si qualifica per il mondiale.
                  2/12/1993: Gioca la sua ultima partita con il Newell's contro l'Huracán.
                  Giugno 1994: Gioca due partite con la nazionale argentina nel mondiale americano segnando anche un gran gol contro la Grecia, prima di essere squalificato per uso di efedrina, sostanza non consentita dalla FIFA.
                  3/10/1994: Prima esperienza da allenatore: viene ingaggiato dal Deportivo Mandiyú di Corrientes. Due mesi dopo rinuncerá all'incarico.
                  6/5/1995: Seconda esperienza da allenatore: viene ingaggiato dal Racing. Quattro mesi dopo dará le dimissioni.
                  7/10/1995: Ritorna a giocare nel Boca Juniors nella partita Boca-Colón 1-0. I tifosi del Boca gli preparano un'accoglienza indimenticabile nello stadio della "Bombonera".
                  1996: Continua a giocare per il Boca Juniors.
                  24/8/1997: Ritorna in gran forma a giocare per il Boca Juniors, segnando nella partita vinta 4-2 contro l'Argentinos Juniors. Viene di nuovo trovato positivo, nonostante ci siano dei sospetti su un possibile complotto.
                  25/10/1997: Gioca la sua ultima partita col Boca, vincendo 1-2 in casa del River Plate.
                  30/10/1997: Decide di ritirarsi dal calcio proprio il 30 ottobre, giorno del suo 37esimo compleanno.
                  1998: Non gioca la coppa del mondo, ma va in Francia per commentare le partite per una televisione argentina.
                  Novembre 1998: Torna per la prima volta in Italia dopo oltre sette anni.
                  1999: Approva con entusiasmo la realizzazione di un film sulla sua vita e partecipa al film "Tifosi"
                  Originally Posted by Emiliano
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                  • #10
                    9a Puntata : Johan Neeskens

                    Giocatore universale


                    Il personaggio più noto della grande Olanda degli anni 70, quella del calcio totale, è sicuramente Crujff, passato alla storia per la sua indiscussa capacità di essere personaggio anche fuori dai campi di gioco.
                    Non bisogna dimenticare, però, un altro grande campione che, forse più dello stesso Crujff, incarnò al meglio lo spirito di quella mitica formazione orange: Johan Neeskens.
                    Egli sapeva interpretare al meglio quell'universalità di ruolo predicata al tempo in Olanda: vero jolly a tutto campo, Neeskens era giocatore completo e continuo, capace di adattarsi a giocare in qualsiasi zona del campo.
                    Talento precoce (esordisce in nazionale all'età di 19 anni), durante la sua carriera vestì le maglie di Haarlem, Ajax, Barcellona e Cosmos.
                    Nato nel 1951, visse la sua stagione più imprtante proprio nel 1970 quando, oltre all'esordio in nazionale, partecipò con l'Ajax alla conquista dello scudetto (il primo di tre che quel favoloso Ajax vincerà consecutivamente).
                    L'anno seguente iniziano anche le vittorie in Coppa Europa (quella che sarà poi Coppa Campioni e oggi Champions League): anche in questo caso, l'Ajax, ne vincerà tre consecutivamente.
                    Grazie alle sue caratteristiche fisiche ed alle grandi doti di incontrista, Neeskens diventa uno dei più grandi difensori europei, ma nella stagione 1973/74 (quando parte Crujff, destinazione Barcellona) si ricicla trequartista-attaccante. In questo ruolo segnerà numerosissime reti (17 in 49 presenze in nazionale ad esempio, giocando una buona parte di queste gare da difensore!), esibendosi in conclusioni altamente spettacolari e molto efficaci.
                    Neeskens è la dimostrazione vivente dellafilosofia olandese dell'epoca: se sei un buon giocatore, non importa in che ruolo gioco, farai comunque bene.
                    Durante i mondiali del 1974, Neeskens è uno dei giocatori più ammirati: l'Olanda va in Germania (paese organizzatore) e dà spettacolo.
                    In quell'anno i tulipani sono la squadra che esprime il miglior calcio al mondo, ma sfortunatamente non basta. E non bastano nemmeno le 5 reti (capocannoniere della manifestazione) che Neskeens realizza: in finale l'Olanda è piegata dai tedeschi, che le impongono un 2-1.
                    Dopo i mondiali tedeschi si riforma la coppia Neeskens-Crujff: entrambi nel Barcellona, saranno determinanti nella conquista di 1 coppa di Spagna e della Coppa Coppe.
                    Nel 1978 tentò nuovamente l'assalto alla coppa del Mondo, ma gli orange furono nuovamente sconfitti in finale, questa volta dagli argentini (anche loro padroni di casa!).
                    La sua carriera termina nelle fila dei New York Cosmos, la stessa squadra in cui terminò la carriera Pelè.
                    In tempi di super-specializzazioni, dove un tornante si lamenta se deve giocare al centro e viceversa, non sarebbe sbagliato andare a rivedere le partite di questo straordinario giocatore, che seppe imporre la sua classe e il suo talento in ogni ruolo ove venisse impiegato.
                    Originally Posted by Emiliano
                    ° Pelè era un buon giocatore, ma nulla di straordinario.
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                    • #11
                      10a Puntata : Franz Beckenbauer


                      L'unico ad avere vinto il campionato del mondo sia da allenatore che da giocatore


                      E' (ad oggi) l'unico uomo ad aver vinto i Campionati Mondiali di calcio sia come giocatore che come allenatore: Franz Beckenbauer, il Kaiser. Ha vinto tutto, tranne la Coppa UEFA.
                      Beckenbauer nasce l'11 settembre del 1945 in un qurtiere operaio di Monaco, in Germania.
                      Nel 1955, alla giovanissima età di 10 anni, comincia a giocare per la squadra giovanile del FC Monaco 1906; dopo soli quattro anni, nel 1959, entra a far parte delle giovanili del Bayern di Monaco.
                      Nel 1962, a diciassette anni, lascia il lavoro come praticante assicuratore, per dedicare il proprio tempo al calcio, alla sua squadra, il Bayern. Nel 1964, debutta con il Bayern di Monaco vincendo per 4 a 0 contro il St. Pauli, ad Amburgo. Il 1965 è un anno molto importante per il Kaiser; infatti, debutta in Nazionale, con la Germania Ovest, a Stoccolma, Svezia, contro i padroni di casa, in una partita decisiva per le qualificazioni ai Mondiali del 1966 in Inghilterra.
                      26 settembre: l'occasione è unica, il palcoscenico ideale per farsi conoscere ai grandi livelli. Franz Beckenbauer non delude, la sua è una freddezza glaciale, gioca e lotta da grande campione. La Germania Ovest vince per 2 a 1, il Mondiale lo aspetta. Nel 1966, ai Campionati organizzati dall'Inghilterra, tutto il mondo scopre il Kaiser ed il ruolo da lui inventato: il libero d'attacco, che insieme al suo allenatore del Bayern, Taschik Cajkovski, stava sviluppando.
                      Ai mondiali inglesi è grande protagonista, segna 4 gol nel torneo; uno di questi, contro la Svizzera, è da ricordare: si lancia all'attacco insieme al compagno di squadra Uwe Seeler, è un dai e vai continuo e quando si trova di fronte al portiere svizzero Elsner che si lancia a sinistra, Beckenbauer scarta a destra e tira, è gol! In finale, nel tempio di Wembley, è bravissimo a marcare da vero mastino l'asso inglese Bobby Charlton; nonostante ciò, è l'Inghilterra a vincere il Mondiale. L'incontro finisce 4 a 2, dopo i tempi supplementari; il Kaiser ha perso la battaglia, ma una stella è nata nel firmamento del calcio internazionale. Con la sua nazionale, disputerà ben 103 incontri, tra il 26 settembre 1965, contro la Svezia, ed il 23 febbraio 1977, contro la Francia, un record! Nell'anno della delusione riesce però a vincere la Coppa di Germania, che permetterà al Bayern di disputare la Coppa delle Coppe l'anno successivo. Molti critici sostenevano che Beckenbauer, giocando da difensore, sprecasse il proprio talento: ha sempre smentito tutti, il calcio stava cambiando, ed il suo ruolo innovativo gli permetteva di comandare le partite a suo piacimento: nessuno dimentica le sue micidiali discese e i suoi uno-due con il compagno Gerd Muller, azioni e goal rimasti negli annali del calcio come grandi pezzi da antologia. Willi Schulz, suo compagno ai mondiali del 1966, dice di lui: "Ha trasformato il calcio in una forma d'arte". Nel 1967, da capitano, guida il Bayern di Monaco alla vittoria della Coppa delle Coppe contro il Glasgow Rangers, partita giocata a Norimberga e chiusasi con il punteggio di 1 a 0, dopo i tempi supplementari. Nel 1969, vince il campionato di calcio tedesco e la seconda Coppa di Germania, ma saranno gli anni 70 a dargli le massime soddisfazioni.


                      Franz Beckenbauer


                      Nel 1970, ai mondiali messicani, nel pieno della propria maturità, incontra un'altra storica sconfitta, quella dell'indimenticabile semifinale contro l'Italia di Riva e Rivera, finita con la vittoria degli azzurri per 4 a 3, dopo i tempi supplementari, e giudicata dagli esperti "la partita più bella di tutti i tempi".
                      Nel 1972, a Bruxelles, la Germania ovest, capitanata da un certo Franz Beckenbauer vince il Campionato Europeo, battendo, in finale, l'Unione Sovietica per 3 a 0. Il Kaiser attacca dal fondo e dimostra calma e visione di gioco impeccabili e, insieme a Muller e Wimmer (autori dei gol), crea il caos nella retroguardia sovietica. I tedeschi, con questa vittoria, si confermano squadra da battere, anche perché i prossimi Mondiali li avrebbero disputati in casa. La grazia e l'eleganza dei suoi movimenti in campo, unite ad un fisico atletico ed ottima visione di gioco, gli danno la possibilità di sfruttare ogni errore delle difese avversarie, procurando tante opportunità di gol. Quest'anno si corona con la nomina di Beckenbauer a "Miglior calciatore europeo dell'anno", vince il Pallone d'oro, ma anche il secondo scudetto con il Bayern.
                      Nel 1973, vince nuovamente il campionato tedesco: è in una forma stupenda, aspetta il Mondiale che si disputerà l'anni successivo. Nel 1974, Beckenbauer detta legge, è il suo anno, quello che riesce ad ottenere è più di un Grande Slam; infatti vince scudetto e Coppa dei Campioni, ma al posto della Coppa nazionale, il Kaiser preferisce il Mondiale. Dopo aver vinto il terzo scudetto di fila, il Bayern si presenta a Bruxelles per la finalissima di Coppa Campioni; la partita finisce 1 a 1 contro gli spagnoli dell'Atletico Madrid, ma nella ripetizione dell'incontro (il regolamento non prevedeva ancora i rigori), i tedeschi battono con un sonoro 4 a 0 i madrileni. Il trofeo più importante vinto quest'anno è però la Coppa del Mondo. I tedeschi riescono a riportare la coppa in patria;


                      Franz Beckenbauer allenatore

                      sono passati vent'anni dal loro ultimo trionfo nella prestigiosa competizione e quest'anno sono anche gli organizzatori del torneo.
                      La finalissima è tra i padroni di casa e l'Olanda, del calcio totale, di Cruyff. L'avvio è tremendo, i tulipani partono all'attacco ed al 1' minuto Cruyff è steso in area da Hoeness: è rigore e Neeskens mette in rete il gol più veloce segnato in una finale di Coppa del Mondo. La Germania non ci sta; dopo il pareggio di Breitner su rigore, arriva al 43'(sempre del primo tempo) il gol successo di Muller. La Germania ovest è campione del mondo, il Kaiser è il difensore-attaccante più invidiato.
                      Non ancora sazio, guida la sua squadra ad altri due storici trionfi in Coppa dei Campioni: prima battendo nel 1975, a Parigi, gli inglesi del Leeds United, con un facile 2 a 0, poi vincendo per il terzo anno consecutivo la competizione, questa volta ai danni del St. Etienne, a Glasgow nel 1976, anno in cui gli viene assegnato il secondo Pallone d'oro. Il 1976 non è ancora finito; in una doppia finale contro il Cruzerio, il Bayern si aggiudica anche la Coppa Intercontinentale: è l'apice della carriera di quello che possiamo definire il "Kaiser di tutti i titoli". Tra il 1965 ed il 1977, gioca più di 396 incontri, segnando 44 gol per il Bayern di Monaco; gioca la sua ultima partita con la maglia della nazionale tedesca il 23 febbraio 1977, al Parco dei Principi di Parigi. Vince la Francia e Beckenbauer, a 32 anni, esce di scena, ma non abbandona ancora il calcio giocato. Nel 1977 viene accolto in America, gioca con la squadra di New York, al fianco di Pelè; comincia a vincere anche oltre oceano: infatti, nel 1977/78/80, arrivano i trionfi nel campionato di calcio statunitense, NASL Soccer Bowl, con la maglia dei Cosmos. Classe e popolarità di due campioni del loro calibro sono stati un vero e proprio veicolo promozionale per il calcio negli Stati Uniti.
                      Nel 1984, lasciato il calcio giocato, Beckenbauer è ambito da giornali ed emittenti televisive, fino a quando gli viene offerta la possibilità di allenare la nazionale maggiore. Succede a Jupp Derwall come commissario tecnico della Germania ovest: la scommessa è vincente. Dopo un secondo posto ai Mondiali messicani del 1986, sconfitta subita contro l'Argentina di Maradona per 3 a 2, la nazionale tedesca si prende la rivincita quattro anni più tardi.


                      Beckenbauer oggi


                      In Italia nel 1990, Matthaeus e compagni, guidati dal Kaiser versione tecnico vincente, battono l'Argentina per 1 a 0, negando a Maradona il secondo Mondiale consecutivo. Beckenbauer entra nella storia: nessuno fino a quel momento vantava un mondiale da giocatore ed uno da allenatore. Lasciata la panchina della nazionale nel 1993, dopo una breve parentesi come allenatore dell'Olympique di Marsiglia, torna al Bayern come vicepresidente.
                      Nel 1994, allena la sua squadra di una vita, la porta a vincere il campionato, divenendone poi presidente. Nel 1998, Franz Beckenbauer è nominato giocatore tedesco del secolo e boccia l'idea del regista Tony Wiegand di un film sulla sua vita.
                      Di Kaiser Franz si può dire che è stato il primo interprete del calcio.
                      Originally Posted by Emiliano
                      ° Pelè era un buon giocatore, ma nulla di straordinario.
                      NEW!
                      °ci sono molto giocatori che preferisco a Pelè, vedi Giggs, Cristiano Ronaldo, Messi, Totti, Van Basten, Henry oltre molti altri e su tutti Roby Baggio. Nella classifica dei miei preferiti Pelè non è ai primi posti di sicuro.

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                      • #12
                        11a Puntata : Ferreira Da Silva,noto come Eusebio,La perla Nera del Mozambico.



                        Il primo calciatore del Continente Nero a sfondare nel calcio internazionale è stato una classe 42, una vera leggenda, tra i più grandi di sempre: Ferreira Da Silva, detto EUSEBIO.
                        Eusebio nasce il 25 gennaio del 1942 a Lourenço Marques, in Mozambico, a quei tempi colonia portoghese. Nel 1952, entra a fare parte della squadra giovanile dello Sporting di Lourenço Marques, vivaio dello Sporting Lisbona. Alla fine del 1960, decide di lasciare la madre vedova ed otto tra fratelli e sorelle, per intraprendere la carriera di calciatore. Nel 1961, quando lo Sporting di Lisbona lo convoca in Portogallo per un provino, viene "rapito" da uomini del Benfica, squadra rivale dello Sporting.
                        Per accaparrarsi la perla nera del Mozambico, così è stato soprannominato l'asso africano, le due squadre lottano fino all’ultimo, ma a spuntarla è il Benfica: il 23 maggio dello stesso anno, Eusebio firma il contratto. L’allenatore del Benfica, Guttmann, aggrega il fuoriclasse africano alla prima squadra, alla fine della stagione 1960/61. A 19 anni, è ancora una riserva, quando il Benfica vola in Francia per affrontare il Santos di Pelè, nel Torneo di Parigi. A metà partita, il Santos conduce per 3 a 0; a quel punto, Guttmann fa entrare il suo asso. Il Benfica perde la partita, ma Eusebio segna una spettacolare tripletta, giocando meglio dello stesso Pelè.
                        Nel 1961, vince il suo primo campionato portoghese, con la maglia del Benfica; ne vincerà ben 7, in tredici stagioni, oltre a cinque coppe nazionali. Nel 1962, il 2 maggio, è protagonista nella finalissima di Coppa dei Campioni, ad Amsterdam, il Benfica affronta il Real Madrid. Dopo soli 23 minuti il Real è già sul 2 a 0; entrambi i gol vengono siglati da Puskas; il Benfica riesce pareggiare, ma, con un altro gol del "magico magiaro", il Real chiude il primo tempo in vantaggio per 3 a 2. Nella ripresa, dopo il pareggio dei portoghesi, sale in cattedra la perla nera: due cannonate e via, campioni d’Europa. Va vicino alla Coppa dei Campioni in altre occasioni, nel 1963 e nel 1965, la spuntano però le due squadre avversarie, le milanesi Inter e Milan, mentre nel 1968 il Benfica deve arrendersi (4 a 1 ai supplementari) al Manchester United.
                        In questa partita, giocata a Wembley, si nota la grande sportività di Eusebio, che, a pochi minuti dalla fine dei tempi regolamentari, si vede negare il gol da una splendida parata di Stepney, il portiere inglese, ma la reazione del campionissimo africano, naturalizzato potoghese, non è stata quella di imprecare, ma di fare i complimenti all’avversario, gesto che fa scattare in piedi il pubblico per un indimenticabile applauso. Nello stesso anno, vince anche la Coppa del Portogallo, che si aggiudica anche nel 1964/69/70/72, successi che incrementano il suo palmares e contribuiscono ad aumentarne la notorietà in Europa e nel Mondo.
                        Nel 1965, si aggiudica il trofeo sognato da ogni calciatore, il Pallone d’oro, che di diritto lo fa entrare nel mondo dei fuoriclasse; è un giocatore fantastico, uno di quei pochi atleti veramente completi: ha un buon dribbling, potenza, tiro, fiuto del gol e velocità. Quella velocità che, secondo Eduardo Galeano, noto scrittore uruguayano, deriva dalle sue origini povere: "correre e correre, per fuggire da polizia o per fuggire dalla miseria che gli morde i talloni".
                        Nel 1966, ai Mondiali inglesi, con i suoi 9 gol, è capocannoniere; il Portogallo si classifica terzo. Da ricordare è la partita del Goodison Park di Liverpool, quando Eusebio e la nazionale portoghese affrontano i Coreani (del Nord), che hanno sconfitto l’Italia, contribuendone all’eliminazione.
                        Nei quarti di finale, dopo nemmeno 30 minuti, la Corea del Nord è in vantaggio per 3 a 0. Purtroppo per gli intraprendenti calciatori coreani, in campo c’è una certa "pantera nera", che in soli 32 minuti segna 4 gol. Il finale è di 5 a 3 per il Portogallo, che viene in seguito eliminato dai padroni di casa dell’Inghilterra. Ha detto, all’epoca, Mario Soares, Presidente del Portogallo: "Dovunque io vada, tutti mi parlano di Eusebio". Oltre alle sue doti tecniche, Eusebio possiede un carisma tale, da dare una forza immensa ai compagni, spaventando gli avversari.
                        Nel 1974, a soli 32 anni, un problema al ginocchio lo costringe a gettare la spugna, ma solo nel calcio che conta. E’ infatti talmente innamorato di questo sport, che quando la NASL (North American Soccer League) gli offre la possibilità di finire la carriera in un torneo, per lui poco impegnativo, accetta subito.
                        Originally Posted by Emiliano
                        ° Pelè era un buon giocatore, ma nulla di straordinario.
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                        °ci sono molto giocatori che preferisco a Pelè, vedi Giggs, Cristiano Ronaldo, Messi, Totti, Van Basten, Henry oltre molti altri e su tutti Roby Baggio. Nella classifica dei miei preferiti Pelè non è ai primi posti di sicuro.

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                        • #13
                          Sono passati tanti anni dal giorno in cui Helenio Herrera, guardando una prova non soddisfacente di un terzino, disse: "Questo ragazzo sará una colonna fondamentale della mia Inter". Lo spilungone bergamasco Giacinto Facchetti, nato a Treviglio il 18 luglio 1942, era al suo esordio assoluto in serie A, (21 maggio 1961, Roma-Inter 0-2). Non aveva convinto troppo, ma quella profezia si riveló abbastanza azzeccata, e una volta inserito nel meccanismo d'orologio che erano i nerazzurri, vide pentirsi i critici.

                          Alla Trevigliese dei suoi esordi Giacinto Facchetti non era terzino, bensí attaccante, ma una volta arrivato in nerazzurro il Mago lo piazzó in difesa. Il dono della sua antica posizione, lo scatto, era l'arma in piú che cercava: un terzino diventato all'improvviso ala, avanzando fino alla porta rivale.



                          Inatteso goleador oltre che forte nei recuperi, Facchetti si fece un nome prestissimo nella compagine milanese ed inscrisse il proprio nome in tutte le
                          prodezze degli anni d'oro della Grande Inter.

                          Senza paura di sbagliare, chiunque poteva dire che per il ruolo di laterale sinistro c'era un Prima e un Dopo Facchetti. Infatti, la sua ascesa fu presa in considerazione presto per il nuovo Commisario Tecnico Edmondo Fabbri, che lo chiamò per le qualificazioni della Coppa Europea di Nazioni il 27 marzo 1963 contro la Turchia ad Istambul (vinse l'Italia per 1-0). Per il primo gol dovette aspettare 20 mesi, sbloccando il risultato al primo minuto della gara ad eliminazione con la Finlandia, finita 6-1 per gli azzurri.

                          L'annata 1963 con l'Inter fu speciale. Il terzino bergamasco ricevette lodi in tutte le lingue. Nascono forti perplessitá per il suo impiego in nazionale in un ruolo difensivo, dove la velocitá viene dosata in ben altra maniera.
                          La mobilitá che Fabbri si auspicava dai suoi terzini in Nazionale, e che Facchetti aveva, non arrivó, principalmente perché i primi due anni in maglia
                          azzurra non significarono per lui la grande svolta che molti si aspettavano.
                          La novitá della sua posizione gli fa soffrire una strana dualitá con Sandro Mazzola, se uno dei due non segna, si comincia a parlare di crisi. Come se non bastasse questo tormentone, i rapporti tra lui e Fabbri si incrinano.

                          Scoppia tutto dopo la prima amichevole, giá ottenuti i biglietti per l'Inghilterra. Era il momento propizio per far sí che il gruppo interista passasse proprio allora al contrattacco. Il CT sosteneva di non poter trapiantare un modulo senza il giocatore cardine - Suárez - e i giocatori (Corso e Facchetti in primis) lamentavano le scelte del tecnico romagnolo.

                          "Il vero calcio italiano é quello dell'Inter e non quello della Nazionale italiana", apre i fuochi alla stampa francese un - a dir poco - insoddisfatto Facchetti, che spiega non aver realizzato reti, sua specialitá cardine "perché il signore Fabbri ci proibisce di andare avanti. Lui vuole solo pareggiare, e con i soli pareggi non arriveremmo da nessuna parte in Inghilterra".

                          Profetiche parole. "Giacinto Magno", como lo chiamó il grande giornalista Gianni Brera, ebbe dura vita ai mondiali inglesi, specialmente di fronte al russo Cislenko, l'ala che segnó la rete della vittoria dell'Urss, e non meno contro i coreani. Si macchia cosí della caduta sportiva piú vergognosa del calcio italiano, ma anche questa volta risorge. Dopo la Corea diviene capitano a soli 24 anni e riprende con la solita forza la strada.

                          Mentre l'Inter nel 1967 andava incontro a Mantova e falliva a conquistare una storica tripletta, Facchetti avanzava verso la gloria mondiale. E se qualcuno prima dubitava del suo ruolo, e parlava di crisi e della cosidetta "alimentazione di guerra", presto dovette ricredersi. La rivincita giungerà sotto forma della prima Coppa Europea di Nazioni vinta dall'Italia (1968).

                          Una Coppa segnata dall'azzardo, una semifinale giocata sul lancio della monetina che Facchetti stesso scelse. Capitano nel bene e nel male, dunque, è tra i giocatori di rilievo ad aver giocato in tutte e tre le Nazionali: Giovanile, B (1 partita ognuna) e naturalmente A.

                          In Messico, tre anni dopo, sembrava la volta buona per mettersi in mostra. Smarrito all'inizio come la maggioranza degli azzurri per la altezza, pressione e caldo, via via il suo gioco andò migliorando, e anche se la finalissima lo vide con il solito "animus pugnandi", finì con un 4-1 sfavorevole agli azzurri, ma con l'orgoglio rifatto.
                          Anni dopo ricorderà: "Mi volevano condannare all'ergastolo quando la Corea ci sconfisse in Inghilterra, e quattro anni dopo, quando vincemmo sulla Germania per 4 a 3 in Messico, raggiungendo la finale con i brasiliani, la polizia dovette fare un operazione di sicurezza per evitare che i tifosi prendessero mia moglie per portarci in trionfo. Comunque, fra i tanti difetti che ha, il calcio é una delle poche cose che all'estero fa parlar bene degli italiani".

                          La Vecchia Guardia interista chiude il ciclo di Herrera: vincerà uno scudetto con Invernizzi nel 1971 ma non sarà mai lo stesso. Giacinto ammira il Mago
                          oltre ogni limite: la visione e la competenza del suo allenatore lo esaltano. Ne diventa amico, ne canta le imprese, resta affascinato della maniera di affacciarsi al gioco.

                          E Facchetti si avvia alla ripartenza. I Mondiali di Germania sono il suo canto del cigno, attorno a lui, all'Inter e nella Nazionale i compagni di molte
                          battaglie vanno via oppure si ritirano. E lui resta, consapevole di poter ancora smentire chi lo definisce vecchio e finito.

                          Nella metà degli anni '70, Facchetti chiede a Suárez - diventato allenatore dell'Inter - di provare a farlo giocare da libero. Lo spagnolo resta convinto delle qualità del suo antico compagno: un libero mobile, plastico, un po' troppo "cavalleresco" per i suoi gusti ma infine un grande libero. In questa veste riconquista il posto di diritto e, incredibilmente, ritorna in Nazionale per arrivare al suo quarto mondiale.

                          Qui arriva la tragedia. Giocando per l'Inter Facchetti s'infortuna e, stringendo i denti, torna, anche se non in piena forma. Quando Enzo Bearzot chiama i 22 per andare in Argentina, in un atto di grande uniltà e sincerità sportiva, il capitano gli fa sapere di non essere in condizioni ideali e chiede al tecnico di scegliere un altro al posto suo.
                          Facchetti andò ugualmente, come dirigente accompagnatore. L'Italia arrivò quarta.

                          Il 16 novembre 1977, con 94 partite da capitano azzurro, Giacinto Facchetti lascia la Nazionale con questo record, che verrà poi superato solo da Dino Zoff e Paolo Maldini.
                          L'addio per l'Inter arriva il 7 maggio 1978, vincendo 2-1 sul Foggia: nell'arco della sua pulitissima carriera Facchetti è stato espulso una sola volta. Inizia la carriera di dirigente; lascia l'Inter solo per fare il vicepresidente all'Atalanta, poi torna al suo grande amore.

                          Ricopre ruoli di dirigente accompagnatore, o di rappresentanza all'estero. Il progetto di Helenio Herrera di farlo diventare l'allenatore dell'Inter con
                          lui come direttore tecnico non ebbe fortuna. Oggi che è Presidente dell'Inter, Giacinto Facchetti custodisce ancora gelosamente i taccuini del Mago allo stesso modo in cui sapeva pattugliare l'area di rigore.
                          Originally Posted by Emiliano
                          ° Pelè era un buon giocatore, ma nulla di straordinario.
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                          °ci sono molto giocatori che preferisco a Pelè, vedi Giggs, Cristiano Ronaldo, Messi, Totti, Van Basten, Henry oltre molti altri e su tutti Roby Baggio. Nella classifica dei miei preferiti Pelè non è ai primi posti di sicuro.

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                          • #14
                            Il grande campione argentino Omar Sivori nasce il 2 ottobre 1935 in Argentina, a San Nicolas. Comincia a calciare il pallone nel Teatro Municipale della città. Arriva così al River Plate di Renato Cesarini, ex giocatore della Juventus.

                            Sivori viene presto soprannominato "el cabezon" (per la grande testa) oppure "el gran zurdo" (per l'eccezionale sinistro di cui è dotato). Con i biancorossi di Buenos Aires, Sivori è campione d'Argentina per un triennio, dal 1955 al 1957.


                            Sempre nel 1957 con la nazionale argentina vince il campionato sudamericano disputato in Perù, dando vita con Maschio e Angelillo a un trio centrale d'attacco incontenibile.
                            Poco dopo Sivori raggiungere l'Italia e la Juventus. Anche gli altri due protagonisti argentini partono per il campionato italiano: i tifosi ribattezzeranno i tre come gli "angeli dalla faccia sporca".

                            Umberto Agnelli, all'epoca presidente, ingaggia Omar Sivori su segnalazione dello stesso Renato Cesarini, pagandolo ben 160 milioni, cifra che consentì al River Plate di ristrutturare il proprio stadio.

                            Al suo arrivo a Torino, Sivori rivela in breve tutto il suo talento. Sivori non conosce le giocate banali, è nato per stupire, per divertire e per divertirsi. Immenso per i suoi dribbling e le sue finte. Segna e fa segnare. Inganna frotte di terzini e diventa il primo giocoliere del campionato, irridendo, con i suoi calzettoni abbassati (alla "cacaiola", diceva Gianni Brera) e il caratterino che si ritrova, fior di avversari in campo e in panchina. E' considerato l'inventore del cosiddetto "tunnel". Omar non si tira indietro nemmeno quando le sfide si fanno infuocate.

                            Il suo limite è rappresentato dal nervosismo che lo accompagna: irriverente, provocatore, non sa tenere a freno la lingua, è vendicativo. Nei dodici anni di carriera in Italia accumulerà ben 33 turni di squalifica.

                            Milita al servizio della Juventus per otto stagioni. Vince 3 scudetti e 3 Coppe Italia e segnando 167 gol in 253 partite.

                            Nel 1960 con 28 centri vince la classifica dei cannonieri del campionato italiano.
                            Nel 1961 "France Football" gli assegna il prestigioso "Pallone d'Oro".

                            Nel 1965 Sivori divorzia dalla Juventus. Si trasferisce al Napoli dove in compagnia di Josè Altafini manda in visibilio la tifoseria partenopea. Abbandona l'attività - causa anche una pesante squalifica - proprio prima della fine del campionato 1968-69 e rientra in Argentina.

                            Omar Sivori veste per nove volte la maglia azzurra segnando 8 gol e partecipando allo sfortunato Mondiale cileno del 1962.

                            Dopo tanti anni nel 1994 riprende il rapporto di lavoro con la Juventus, con l'incarico di osservatore per il Sud America.

                            Omar Sivori è stato anche commentatore per la Rai: poco diplomatico da giocatore, non era cambiato in tv. Andava giù piatto, con giudizi netti, forse troppo per la prudenza dell'emittente di Stato.

                            Omar Sivori è morto a 69 anni, il 18 febbraio 2005 a causa di un tumore al pancreas. E' morto a San Nicolas, la città a circa 200 chilometri da Buenos Aires, dove era nato, dove risiedeva da molto tempo e dove manteneva un'azienda agricola.
                            Originally Posted by Emiliano
                            ° Pelè era un buon giocatore, ma nulla di straordinario.
                            NEW!
                            °ci sono molto giocatori che preferisco a Pelè, vedi Giggs, Cristiano Ronaldo, Messi, Totti, Van Basten, Henry oltre molti altri e su tutti Roby Baggio. Nella classifica dei miei preferiti Pelè non è ai primi posti di sicuro.

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